Con Walter Mitty, il cinema tra sogno e realtà

A breve in sala il remake di lusso diretto e interpretato dal versatile Ben Stiller; ne approfittiamo per rivisitare la cinematografia che mette in scena il rapporto, a volte stridente, altre volte sottilmente ambiguo, fra il mondo reale e il mondo immaginario.

Sognare ad occhi aperti: quale miglior veicolo per allontanarsi da un'esistenza frustrante, opprimente, o più semplicemente noiosa, e dirigersi verso territori inesplorati, laddove perfino i desideri più reconditi ci sembrano a portata di mano? L'immaginazione, del resto, è una delle facoltà che costituiscono una parte irrinunciabile della nostra identità di esseri umani: anche - e soprattutto - quando serve ad espandere o modificare tale identità, per dar vita ad una differente versione del "sé", in cui navigare con un maggior senso di libertà. E in effetti, è esattamente quello che accade a Walter Mitty, il personaggio interpretato da Ben Stiller ne I sogni segreti di Walter Mitty, quinta prova da regista del popolarissimo attore americano (che esordì dietro la macchina da presa nel lontano 1994, con un piccolo cult quale Giovani, carini e disoccupati), remake dell'omonima pellicola del 1947 intitolata in italiano Sogni proibiti, e tratta a sua volta da un racconto di James Thurber.

In questa nuova versione cinematografica, Walter Mitty è il modesto editor fotografico della rivista Life Magazine, rinchiuso in una vita di grigie certezze fin troppo rassicuranti, incapace di imporsi in campo professionale, né tantomeno di trovare il coraggio per fare la corte alla sua graziosa collega Cheryl Melhoff (Kristen Wiig). Perché Walter, piuttosto che agire, preferisce assentarsi dal mondo reale per viaggiare con l'immaginazione, raffigurandosi una realtà parallela in cui lui è un intrepido avventuriero. Almeno fino al giorno in cui, su esortazione dell'amata Cheryl, Walter non deciderà di abbandonare la sua triste routine e di imbarcarsi in prima persona nelle avventure fino ad allora soltanto vagheggiate. E in attesa de I sogni segreti di Walter Mitty, in arrivo al cinema dal 19 dicembre, esploriamo insieme alcuni tra i principali film in cui viene messo in scena il rapporto, a volte stridente, altre sottilmente ambiguo, fra il mondo reale e il mondo immaginario...

L'arte del sogno: Federico Fellini, Woody Allen e Michel Gondry
Walter Mitty è appena l'ultimo, in ordine di tempo, di una lunga serie di "sognatori" al cinema: personaggi in grado di colorare la propria realtà con le tinte bizzare e imprevedibili offerte dalla tavolozza della fantasia, rifugiandosi all'occorrenza in un "mondo parallelo" costruito a propria immagina e somiglianza. Il maestro indiscusso, in tal senso, era e rimane il mitico Federico Fellini: nel suo cinema barocco e fuori dagli schemi, difatti, l'elemento onirico è una componente assolutamente imprescindibile. Basti pensare a Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), il regista in crisi di ispirazione del capolavoro , che rielabora la realtà secondo i propri desideri, includendovi anche le numerose donne che fanno parte della propria vita. Un modello narrativo ripreso in seguito in almeno due riadattamenti di in chiave musicale: il primo, All That Jazz di Bob Fosse, trae ispirazione dall'opera felliniana spostando però l'attenzione su un alter-ego di Fosse, Joe Gideon (Roy Scheider), mentre il secondo, Nine di Rob Marshall, con Daniel Day-Lewis, è una vera e propria trasposizione in forma di musical del classico felliniano.

Sulla scia di Fellini, un altro abilissimo "manipolatore della realtà" resta senza dubbio Woody Allen, che ha spesso utilizzato inserti surreali o fantastici nei propri film: basti ricordare, a tal proposito, un capolavoro come Io e Annie, in cui il protagonista-narratore Alvy Singer mette in scena immaginarie conversazioni fra se stesso e i simulacri del proprio passato, si improvvisa cartone animato accanto alla Regina di Biancaneve e i sette nani o, in una scena esilarate, evoca Marshall McLuhan nel bel mezzo di una fila al cinema. Ma l'elemento immaginifico resterà una costante della filmografia alleniana, come dimostra pure il recente Midnight in Paris. Altro formidabile maestro della "scienza del sogno" è il regista francese Michel Gondry, per il quale la fantasia diventa il veicolo per un'ideale realtà parallela dai toni malinconicamente romantici: come per Joel Barish (Jim Carrey) e la sua amata Clementine (Kate Winslet) in Se mi lasci ti cancello, o lo stravagante Stéphane Miroux (Gael García Bernal), innamoratissimo di Stephanie (Charlotte Gainsbourg), ne L'arte del sogno.

In fuga dalla realtà
Talvolta, il sogno può costituire una breve parentesi di spensieratezza o di felicità entro la quale trovare ristoro dalle asperità dell'esistenza... è quanto accade a Sam Lowry (Jonathan Pryce) nel surreale cult futuristico Brazil di Terry Gilliam; al piccolo Ludovic, un bambino che ama vestirsi da femmina, nel delicato racconto di coming-of-age de La mia vita in rosa di Alain Berliner; all'eccentrico Drugo impersonato da Jeff Bridges ne Il grande Lebowski dei fratelli Coen; a Lester Burnham (Kevin Spacey), che materializza le proprie fantasie erotiche in una pioggia di petali di rosa, in una sequenza cult del pluripremiato American Beauty di Sam Mendes; o ad Amélie Poulin, la giovane e adorabile cameriera interpretata da Audrey Tautou nel popolarissimo Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet. Altro genere consacrato da sempre alla dicotomia fra sogno e realtà è ovviamente il musical, come dimostravano già i classici diretti negli Anni '50 dal regista Vincente Minnelli - su tutti Un americano a Parigi. E pure in epoca moderna, il musical continua ad offrire una valvola di sfogo a personaggi tormentati che tentano di sfuggire ai propri drammi: è il caso dell'operaia cecoslovacca Selma, a cui presta volto e voce la cantante islandese Björk, in Dancer in the Dark di Lars von Trier, o di Roxie Hart (Renée Zellweger), aspirante starlette e frivola assassina nel frizzante film da Oscar Chicago di Rob Marshall.

Oltre l'arcobaleno, verso l'Isola-che-non-c'è
In alcuni casi la fantasia non si limita ad un breve interludio che fa capolino nella vita quotidiana, ma prende prepotentemente il sopravvento sulla realtà, imponendo sullo schermo un nuovo mondo in cui a dominare sono esclusivamente le regole dell'immaginazione, e in cui trovano spesso posto creature fantastiche e frammenti di autentica magia. Il leggendario capostipite di questo filone è un classico senza tempo come Il mago di Oz, diretto da Victor Fleming e basato sul libro per l'infanzia dello scrittore L. Frank Baum, con la sedicenne Judy Garland nel ruolo di Dorothy Gale, adolescente del Kansas che, dopo essere stata travolta da un tornado, si ritrova nel meraviglioso regno di Oz, un mondo a colori situato "oltre l'arcobaleno". Con un grande salto temporale, dal mondo di Oz si passa alle avventure di Ed Bloom (Ewan McGregor), protagonista di storie assurde e sorprendenti, in uno dei film più apprezzati di Tim Burton, Big Fish - Le storie di una vita incredibile; alle creazioni letterarie di James M. Barrie (Johnny Depp), la cui fervida immaginazione gli permetterà di creare uno dei personaggi-simbolo del potere della fantasia, Peter Pan, nel film Neverland - Un sogno per la vita, diretto da Marc Forster; al mondo fatato, dai contorni mitologici e mostruosi, disegnato dalla piccola Ofelia nella Spagna franchista, al culmine della Seconda Guerra Mondiale, nell'applauditissimo film di Guillermo del Toro Il labirinto del fauno.

Sogno e allucinazione, a un passo dall'orrore
Se nei casi appena presi in esame la fantasia riveste un potere benigno e addirittura salvifico, in altri film i personaggi perdono del tutto il controllo sulla propria immaginazione, ritrovandosi incapaci di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, e finendo per trascinare in questo vortice anche lo spettatore. Un caso esemplare, che si pone alle origini della settima arte: Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, pietra miliare del cinema espressionista (e proprio l'espressionismo basa gran parte della sua poetica sulla sistematica distorsione della realtà), un thriller notturno e orrorifico dai contorni allucinati. E le allucinazioni, del resto, sono diventate una componente immancabile nel genere del dramma psicologico e del thriller: ricordiamo gli invisibili spettri che sembrano terrorizzare i bambini sui quali è incaricata di vegliare la governante Miss Giddens (una magnifica Deborah Kerr) nel cult Suspense di Jack Clayton, basato su Il giro di vite di Henry James; le straordinarie sequenze oniriche e surreali vissute dalla protagonista Alma (Bibi Andersson) in uno dei massimi capolavori di Ingmar Bergman, Persona; le angosciose presenze e le imperscrutabili minacce che spingono sull'orlo della pazzia la giovane Carole (Catherine Deneuve) in Repulsione di Roman Polanski, o sempre dello stesso Polanski un film altrettanto inquietante come L'inquilino del terzo piano, senza dimenticare un piccolo cult da riscoprire firmato dal grande Robert Altman, Images, con Susannah York nel ruolo di Cathryn, scrittrice di libri per bambini che perderà il contatto con il mondo reale, precipitando in un abisso di orrore.

Tra follia e incubo, percorrendo la Mulholland Drive

Se l'allucinazione come effetto della follia costituiva il nucleo narrativo del succitato Il gabinetto del dottor Caligari, questo topos cinematografico ha continuato a proliferare anche nelle epoche successive, tanto da ritrovarlo in numerosi film di produzione ben più recente. Due esempi canonici - per i quali, tuttavia, preferiamo avvertire i lettori dell'altissimo rischio di spoiler - riguardano i due titoli di cui stiamo per parlarvi ora: A Beautiful Mind, pluripremiato dramma biografico diretto da Ron Howard, con l'attore Russell Crowe nella parte del geniale matematico John Nash, le cui eccezionali abilità si accompagnano però ad una grave forma di schizofrenia che lo induce ad immaginare cose, fatti e persone; e Shutter Island, thriller firmato da Martin Scorsese dal romanzo di Dennis Lehane, in cui l'agente federale Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio) è protagonista di un'indagine da incubo che si rivelerà il frutto della sua mente disturbata. L'allucinazione e la follia costituiscono inoltre il binomio su cui si fonda la produzione più recente del rivoluzionario regista David Lynch, da sempre interessato ad esplorare i meandri della psiche umana, laddove la razionalità cede il posto all'incubo. Ed è Lynch a condurci lungo la Mulholland Drive, una delle strade più famose di Hollywood, in compagnia di Betty Elms (Naomi Watts), apirante attrice coinvolta in un bizzarro intrigo da film noir, in uno dei titoli più enigmatici ed affascinanti dello scorso decennio, Mulholland Drive. Soltanto il preludio all'opera successiva del regista americano: Inland Empire, in cui un'altra attrice biondissima, Nikki Grace (Laura Dern), è al centro di un impressionante incubo ad occhi aperti che finisce per catturare anche lo spettatore nel suo malefico incanto. E nel capitolo dedicato alle donne in preda alla follia, come non citare Nina Sayers, ballerina impegnata a districare la propria identità fra il duplice ruolo di Odile e Odette, impersonata da una memorabile Natalie Portman ne Il cigno nero, il tenebroso e visionario thriller di Darren Aronofsky, altro film posto al confine fra realtà ed incubo?

Rubando orchidee: fantasia e creazione letteraria
Per concludere, c'è almeno un ulteriore filone da prendere in considerazione parlando del conflittuale rapporto fra realtà e immaginazione al cinema: si tratta dei film basati sulla creazione letteraria, laddove è l'estro artistico di uno scrittore a impossessarsi della realtà, mutandola a proprio piacimento e giocando con la consapevolezza del lettore - e, quindi, dello spettatore. Una categoria molto particolare ma di grande fascino, che induce ad un'interessante riflessione sul potere della scrittura, e per la quale abbiamo raccolto alcuni casi esemplari. Il primo è Il ladro di orchidee - Adaptation, l'originale e spiazzante film di Spike Jonze in cui lo sceneggiatore Charlie Kaufman immagina se stesso, in un alter-ego cinematografico impersonato da Nicolas Cage, mentre tenta tra mille difficoltà di realizzare un copione da Il ladro di orchidee, un romanzo della scrittrice Susan Orlean (Meryl Streep), in una sapiente operazione di mise en abîme.

La scrittura, strumento privilegiato dell'immaginazione, può costituire inoltre un mezzo per espiare il proprio senso di colpa e conferire concretezza ad un'altra "versione dei fatti": è la scelta radicale messa in atto dall'anziana scrittrice Briony Tallis (Vanessa Redgrave) nello straziante epilogo di Espiazione, il film di Joe Wright tratto dall'omonimo capolavoro di Ian McEwan. Ma al contrario, la fantasia di uno scrittore può servire anche a dare corpo ad un ideale romantico che sembra impossibile trovare nella vita di tutti i giorni: è quanto succede a Calvin Weir-Fields (Paul Dano), il giovane romanziere che porta in vita la ragazza dei propri sogni (Zoe Kazan) nella deliziosa commedia Ruby Sparks, di Jonathan Dayton e Valerie Faris. Infine, un autore che ha saputo analizzare in maniera magistrale le ambiguità insite in quel labile confine fra realtà e finzione è il regista François Ozon, in particolare in due tra i suoi film più apprezzati: Swimming pool, torbido thriller psicologico che vede protagonista la matura scrittrice Sarah Morton (Charlotte Rampling); ed il recentissimo Nella casa, stupendo adattamento di una pièce teatrale di Juan Mayorga, in cui Fabrice Luchini impersona in ruolo del professor Germain, un insegnante di liceo che decide di coltivare il talento letterario di un suo talentuoso studente, Claude Garcia, senza rendersi conto che la fantasia del ragazzo rischia di trascinarlo in un territorio ambiguo ed insospettabilmente pericoloso...