Da Dogman a The First Slam Dunk, i film da recuperare del 2023

Abbiamo interrogato i nostri redattori per farci (e farvi) consigliare film del 2023 da recuperare, non solo tra quelli più in vista e sulla bocca di tutti, ma anche titoli da riscoprire.

Da Dogman a The First Slam Dunk, i film da recuperare del 2023

Fine anno, tempo di bilanci, di riflessioni, di guardarsi un'ultima volta indietro prima di volgere lo sguardo in avanti con convinzione, speranza e curiosità. Vi abbiamo già parlato di quelli che ci sono sembrati i migliori film del 2023, ma abbiamo voluto aggiungere un'ulteriore livello di approfondimento a questa selezione, più personale, più emotiva e di cuore. Per questo abbiamo chiesto ai nostri redattori di rispondere d'istinto e proporre un film da recuperare di quest'anno, scelti per mero gusto personale e non per oggettive riflessioni da bilancio conclusivo. Titoli consigliati che in alcuni casi hanno una sovrapposizione con il meglio dell'anno che vi abbiamo già raccontato, in altri casi può essere l'occasione per scoprire dei film che possono essere passati più inosservati, che sono passati sui nostri schermi, piccolo o grandi che siano, un po' sottotraccia. Ci sono quindi gli inevitabili film sulla bocca di tutti, da Oppenheimer a C'è ancora domani, ma anche piccole gemme come As Bestas o Marcel the Shell. Scopriamoli insieme.

I nostri film consigliati dell'anno

Rapito

Rapito Papa
Rapito: un'immagine di Paolo Pierobon

Presentato in concorso al 76° Festival di Cannes, Rapito conferma lo stato di grazia di Marco Bellocchio, la cui carriera è stata contraddistinta da vette registiche eccezionali e che, di recente, è stata impreziosita da alcune opere di altissima cifra artistica: basti citare Il Traditore ed Esterno Notte. Rapito racconta la storia vera di Edgardo Mortara, sottratto nel 1858 alla propria famiglia ebraica di Bologna, per essere cresciuto dallo Stato Pontificio a Roma secondo l'educazione cattolica. Edgardo, all'epoca dei fatti dell'età di sette anni, era stato infatti battezzato di nascosto dai genitori Salomone e Marianna. Così, ebbe inizio una lunga battaglia per la famiglia Mortara, che tentò con le proprie forze di riportare il bambino a casa, senza però riuscirci. Edgardo verrà, dopo anni, convertito definitivamente al cattolicesimo, tanto da diventare sacerdote e ritrovando le sue origini soltanto per fugaci momenti.

Cannes 2023: l'Italia ha perso, l'Italia ha vinto

Oltre la straordinaria intensità narrativa dell'opera per merito della regia di Bellocchio e di una robusta sceneggiatura, è da evidenziare il magnifico cast, dal quale spiccano Barbara Ronchi, Fausto Russo Alesi e Paolo Pierobon (con la partecipazione, tra gli altri, di Fabrizio Gifuni, Paolo Calabresi e Filippo Timi, oltre al giovanissimo Enea Sala). Rapito suggerisce una riflessione sul potere temporale dello Stato della Chiesa e sulle sue gravi contraddizioni, alle quali pose fine la presa di Roma da parte dell'esercito italiano nel 1870, e sul rapporto tra ebraismo e cattolicesimo, all'epoca molto teso a causa delle rigide restrizioni imposte dal papato. Ma il film è soprattutto la storia di una famiglia, distrutta fino alle sue fondamenta da una profonda ingiustizia.

Giuseppe Causarano

Saltburn

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Saltburn: una foto del film

Il ritorno di Emerald Fennell è nuovamente folgorante e divisivo. Se in Una donna promettente sovvertiva la figura del bravo ragazzo, in Saltburn, la sua opera seconda, entra nelle dinamiche ambigue e borghesi di una famiglia benestante, disintegrandola dall'interno attraverso i loro vizi e preconcetti, dipingendone concettualmente la parte più debole e superficiale al netto di uno stato sociale altolocato e risorse significative. Non basta essere ricchi per sopravvivere, non quando una disponibilità di facciata (ma non sempre) mina il giudizio sugli altri, pensando di essere superiori e dunque al sicuro. Bastano una piccola bugia e un manipolatore compulsivo a distruggere il palazzo fisico e mentale della classe sociale agiata. Un film che guarda al Teorema pasoliniano, a Chiamami col tuo nome e anche a Parasite, elegantemente barocco, dallo stile pop furioso e riconoscibile, mix sensuale e respingente, trash e raffinato, tra cifra autoriale e cinema di commercio, perfettamente (s)bilanciato tra finezza estetica e contenuti al limite della dissacrazione cinematografica. Il finale, poi, è già cult.

(Luca Ceccotti)

Godzilla Minus One

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Godzilla Minus One: Godzilla insegue un'imbarcazione

Godzilla è la furia della natura deturpata e offesa dalla hybris umana.  Godzilla è la metafora della paura e del senso di colpa che perseguitano chi ha visto e compiuto troppi orrori.  Godzilla è il mostro, il Re dei mostri, capace di mettere a nudo l'ipocrisia e la pochezza di chi dovrebbe guidare un popolo ma, nei fatti, è capace solo di badare ai propri biechi e meschini interessi. Godzilla è la variabile impazzita che riporta ogni tentativo di rinascita al punto zero. Anzi: a meno uno. Godzilla Minus One è il ritorno alle origini del kaiju per eccellenza dopo settant'anni di onorata carriera. E, nonostante una distribuzione italiana poco lungimirante l'abbia pesantemente condizionato in termini di visibilità, è un film che rasenta la perfezione, in equilibrio tra dramma, critica sociale e spettacolo esaltante.  Assolutamente da recuperare.

(Massimiliano Ciotola)

Nimona

Il 2023 è stato un anno denso di grande animazione, sia sul fronte occidentale che in ambito anime. Sono arrivati a noi grandi titoli del Sol Levante, da The First Slam Dunk a Suzume, ma anche grandi titoli americani che continuano a sperimentare sul fronte della fusione di tecniche diverse, da Spider-Man: Across the SpiderVerse a quella splendida esplosione pop che è Tartarughe Ninja: Caos Mutante. Ma poi c'è Netflix Animation che continua a sorprendere con un cammino ragionato e di qualità, non solo con Leo e Galline in fuga 2, ma anche con il salvataggio di Nimona, nato dagli ormai chiusi Blue Sky Studios sotto l'egida di Fox, cancellato da Disney e per fortuna recuperato e terminato dalla piattaforma streaming. E non possiamo che sottolineare il per fortuna, perché il risultato è splendido sia dal punto di vista tecnico che narrativo, una gioia per gli occhi che riesce a parlare di temi attuali in un contesto di fantasia. Un film moderno, ricco, avvincente che non posso non consigliare di recuperare a tutti.

Antonio Cuomo

Dogman

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Dogman: Caleb Landry Jones in un primo piano

La carriera di Luc Besson è costellata di alti e bassi, ma quando meno ce lo si aspettava il regista francese ha tirato fuori dal cilindro un film sorprendente, che esula dai canoni della sua produzione. Per DogMan, Besson ha riesumato un progetto ideato durante l'adolescenza e strettamente legato al mondo dei fumetti. Il risultato è una pellicola emozionante e coinvolgente, che oscilla costantemente tra fantasy e thriller ed è immersa in una New York dal sapore brutale e al tempo stesso fiabesco. Un film che denota la profonda passione di Luc Besson per gli animali, i cani nello specifico, e per gli attori. Caleb Landry-Jones non è nuovo a trasformismi, ma il personaggio che gli viene cucito addosso dal cineasta francese è una sorta di Joker devastato dalla vita che nasconde un grande cuore. Una figura tragica en travesti magistralmente interpretata dall'attore texano che stravolge aspetto, movenze e voce in una performance che meriterebbe senza dubbio una nomination dall'Academy. Tra citazione alte e strizzate d'occhio a opere pop, Dogman rappresenta l'opera della rinascita per Besson grazie a un climax finale potente e suggestivo che invita a non arrendersi mai. Detto fatto. 

Valentina D'Amico

Anatomia di una caduta

Anatomy Of A Fall
Anatomia di una caduta: Swann Arlaud e Sandra Hüller

In un'epoca, non soltanto cinematografica, dove l'importante è mostrare tutto senza nascondere nulla all'occhio sempre più vigile e attento dello spettatore, spesso pronto a cercare il pelo nell'uovo e demonizzare qualsiasi presunta mancanza di sorta, un film come Anatomia di una caduta è quanto mai prezioso e il gran numero di riconoscimenti ottenuti è un qualcosa di importante, tanto che dopo le candidature ai Golden Globe si appresta a conquistare molto probabilmente anche il palcoscenico degli Oscar. D'altronde qui il pubblico è chiamato ad assumere in prima persona il ruolo di giudice, obbligato se credere o meno alla versione della protagonista, accusata di aver ucciso il marito pur senza prove certe ma con tanti sospetti a suo carico: colpevole o innocente? Starà all'occhio e al cuore di chi guarda deciderlo, in un gioco narrativo sottilmente ambiguo e affascinante, dove nelle fasi processuali viene espletato chirurgicamente il male di vivere in un matrimonio sbilenco, portato agli estremi soltanto per il presunto bene di quel figlio rimasto cieco e ora suo malgrado elemento chiave delle indagini, portato per l'appunto a fungere un ruolo immedesimante quanto mai amaro e complesso. Per un film destinato a restare e a lasciare il segno, non soltanto tra chi mastica cinema d'essai.

Maurizio Encari

Babylon

Babylon
Babylon: Margot Robbie e Diego Calva

C'è ancora il sogno, ma anche una grassa risata a dissacrarlo. Quello di Babylon è, per la prima volta, un Damien Chazelle divertito e divertente, che sfiora il comico e il grottesco. Che smitizza il sogno del cinema e ci fa vedere il dark side of the moon di La La Land. Nella sua storia ci sono ancora la fatica, il sudore, il dolore, ma stavolta Chazelle ci fa ridere: sembra quasi prendersi gioco di un'umanità varia e variopinta che si affanna per raggiungere il proprio sogno. Babylon torna agli albori della Settima Arte per ricordarci come il cinema sia sogno ma anche incubo. E come sia eccezionale perché è un'arte popolare, per tutti: permette ad ognuno, anche a chi non è ricco, di sognare, di evadere, di passare due ore in un altro mondo. D'altro canto, assicura l'immortalità a chi il cinema lo fa: "Passerai l'eternità in compagnia di angeli e fantasmi". Babylon è un film eccessivo, sovraeccitato, un The Wolf Of Wall Street ambientato nella Hollywood degli anni Venti. È un film che deborda passione, anche fuori misura, anche di cattivo gusto. È un film viscerale, nel verso senso della parola, pieno di liquidi organici sparsi ovunque, un film che spesso oltrepassa il limite. Ma preferiamo comunque vedere film così vitali che opere che rimangono nella media.

(Maurizio Ermisino)

Gli oceani sono i veri continenti

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Gli oceani sono i veri continenti: un'immagine del film

L'anno scorso ci aveva depresso, figlio della pandemia e della fine del mondo. Pochi film, pochi spettatori. Quest'anno ci siamo ripresi. La stagione festivaliera, nonostante gli scioperi, si è rianimata e le sale hanno cominciato ad avere un'affluenza a volte anche importante. Con tutti i nostri limiti abbiamo avuto un mezzo Barbenheimer e C'è ancora domani, quinto incasso italiano di sempre e sentenza su di un'annata segnata da ottimi esordi. Oltre a quello di Paola Cortellesi ci sono stati infatti, tra gli altri, Patagonia, Mimì - Il principe delle tenebre, Palazzina Laf, Una sterminata domenica e Gli oceani sono i veri continenti. Tra tutti questi ho scelto di consigliare l'ultimo titolo, quello di Tommaso Santambrogio, perché è una lettera d'amore al cinema e al cinema italiano, in cui possiamo trovare frasi dedicate al neorealismo e all'evoluzione del mezzo partendo dalla sua forma primaria. Una pellicola che ci parla dell'universalità delle vicende umane, di come sentimenti e vissuti possono essere sovrapponibili anche con un oceano di mezzo e, soprattutto, una pellicola che ci ricorda la dignità di un popolo vittima di un ostracismo terribile, ma che ancora non gli ha tolto la memoria. Un tema fondamentale per questo periodo storico in cui non si orienta più.

(Jacopo Fioretti)

Tar

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Tár: un'immagine di Cate Blanchett

Il miglior cinema possibile al giorno d'oggi: denso, stratificato, provocatorio, inquietante, sempre pronto a sfidarci con nuovi interrogativi anziché farci adagiare su facili risposte. Proprio come la sua protagonista, l'irresistibile Lydia Tàr a cui presta volto, corpo e voce una maestosa Cate Blanchett, dotata di un fascino tanto più magnetico quanto più subdolo e oscuro. In questo racconto gremito di fantasmi, di enigmi e di zone d'ombra, Todd Field ci trascina passo dopo passo all'interno di un vertiginoso corto circuito di contrasti: iperrealismo e allucinazione, studiata lentezza ed eventi che precipitano all'improvviso, fredda lucidità e passioni esplosive. E attraverso una messa in scena di geometrica, inesorabile perfezione (si riveda la scena del dibattito durante la master-class alla Juilliard: una lezione di regia e di scrittura che lascia sbalorditi), ci consegna un capolavoro ipnotico in cui tornare a perdersi ancora infinite volte, avvinti dalla tenebrosa magia di un personaggio indimenticabile - e, di riflesso, di un'attrice sublime.

Stefano Lo Verme

Oppenheimer

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Oppenheimer: Cillian Murphy durante una scena

Oppenheimer ha rappresentato tante cose in questo 2023 così tanto ricco di uscite cinematografiche e seriali: il ritorno di Christopher Nolan, dopo l'accoglienza piuttosto tiepida di Tenet (distribuito nel 2020), ha dimostrato, ancora una volta, che l'esperienza cinematografica in sala continua ad essere una tradizione consolidata che riscuote ancora un ampio successo oltre che riuscire a veicolare un messaggio complesso racchiudendolo in una struttura mainstream. D'altronde Oppenheimer parla prepotentemente della nostra modernità, descrivendo, in modo sottile e puntuale, l'evento culmine che ha condannato il mondo: una storia, quindi, che riguarda tutti, partendo dal racconto particolare della vita del timido e tormentato J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) arrivando poi al generale, all'invenzione fatidica che ha dato inizio al countdown atomico.

Oppenheimer: perché l'incontro tra Einstein e il protagonista è una sequenza iconica

Se quindi, fino al momento della nascita della bomba, ci sentiamo quasi distanti e infastidititi da quella mole infinita e confusionaria di nomi, situazioni e intrecci politici, dal Trinity Test il velo di Maya si squarcia e iniziamo a vedere la verità così com'è, senza sovrastrutture né edulcorazioni. Se, quindi, da un lato, il protagonista diventa consapevole dei danni che ha arrecato (in parte inconsapevolmente e ingenuamente) all'umanità con la sua creazione, anche il pubblico si rende finalmente conto della scomoda realtà al di là del falso perbenismo occidentale. A chiusura, una scena di raccordo evocativa, quella del dialogo tra Albert Einstein e Oppenheimer, che rimane stampata, come una fotografia, negli occhi degli spettatori.

Massimiliano Meucci

Il cielo brucia

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Afire: un'immagine del film

Se paragonato a film simbolo di quest'anno come Barbie, Oppenheimer e persino il sorprendente Saltburn, Il cielo brucia potrebbe a prima vista suonare come un titolo minore. Il secondo capitolo della trilogia sugli elementi diretta da Christian Petzold è invece un racconto che ti entra dentro, una sorta di sensazione che ti si piazza addosso e non ti abbandona, così come il suo unico brano portante, In My Mind dei Wallners, simbolo di quell'estate di amori irrisolti, maschere indossate e caldo afoso che Petzold mette sapientemente in scena. Dalla Berlinale di febbraio dove ha vinto il Gran Premio della Giuria a fine novembre quando è uscito nelle sale, la concretezza mista a poesia con cui il regista tedesco ha raccontato le relazioni umane, l'invidia della creatività, la mascolinità tossica e la libertà delle donne, fa guadagnare al film un posto tra i degni di nota del cinema europeo 2023.

Chiara Nicoletti

Air

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Air - La storia del grande salto: una scena del film

Non un film, bensì una sorta di romanzo americano. Una storia elettrizzante che frulla nel suo insieme il genio e l'intuizione, il marketing e il Capitalismo, ma anche la passione di un gruppo di uomini capaci di stravolgere la comunicazione legata al pensiero sportivo, e sociale. Tra i migliori film del 2023 ecco Air - La storia del grande salto di Ben Affleck, in cui si ripercorre la trattativa tra la Nike e Michael Jordan, per una delle sponsorizzazioni più discusse e influenti della storia. Se la regia di Ben Affleck, che si ritaglia anche il ruolo di Phil Knight, presidente e fondatore di Nike, è raffinata ed elegante, sono le prove di Matt Damon e Jason Bateman a restare impresse. E no, non chiamatelo solo un film sulle scarpe: dietro Air c'è la disamina pop della mentalità americana degli Anni '80, dedita al profitto ma sospinta da un certo romanticismo che, oggi, forse si è perso. Tra Bruce Springsteen e il Giappone, tra l'intuizione e la perseveranza, un film a regola d'arte. E ricordate: "una scarpa è solo una scarpa. Almeno fino a quando non la si indossa".

(Damiano Panattoni)  

L'ultima notte di Amore

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L'ultima notte di Amore: Pierfrancesco Favino in una scena del film

In questa stagione di grande rinascita per il cinema italiano, un altro titolo da segnalare è certamente L'ultima notte di Amore. Non è solo per l'ennesima straordinaria prova di Pierfrancesco Favino, qui bravo a rendere al meglio le mille sfaccettature, le sfumature, i dubbi e le incertezze di un tenente di polizia che si ritrova a vivere una movimentata e drammatica notte, proprio alla vigilia del suo pensionamento. Ci sono infatti tanti altri motivi, a partire dal coraggio del regista Andrea Di Stefano per aver rispolverato un genere come il poliziesco anni Settanta in versione nostrana, confezionando un avvincente noir all'italiana, girandolo in pellicola e costruendo un meccanismo di tensione che funziona come un orologio svizzero. C'è poi un grande lavoro di fotografia per riprodurre una Milano notturna e sfavillante, molto suggestiva nelle sue mille luci, ma anche la cura per ogni minimo particolare. Non è certo un film perfetto, anzi, ma la generosità che si percepisce supera ogni cosa. E poi si può perdonare ogni difetto di fronte all'abilità tecnica di alcune sequenze mozzafiato, su tutte quelle della sparatoria in autostrada, che illuminate dalla citata fotografia trasmettono perfettamente la discesa agli inferi del protagonista.

Antonello Rodio

The First Slam Dunk

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The Fist Slam Dunk: una scena del film

Il 2023 è stato un anno veramente interessante per l'animazione: da Nimona a Suzume, fino a Spiderman: Across the the SpiderVerse, il comparto animato ha dimostrato di essere vivo e incredibilmente in fermento. Quello che però vi propongo ora è un titolo per il quale avevo molto hype ma non molte certezze e che invece si è dimostrato un piccolo grande gioiellino del genere. Sto parlando di The First Slam Dunk, lungometraggio animato diretto dallo stesso autore del manga Takehiko Inoue, che adatta finalmente gli ultimi intensi capitoli di un fumetto che indubbiamente ha segnato la mia adolescenza. Inoue si dimostra capace di gestire in modo bilanciato commedia e dramma donando la giusta profondità alla storia del playmaker Ryota Miyagi. Tecnicamente impressionante risulta dinamico e appassionante dai primi minuti sino alla fine, una piacevole sorpresa alla quale consiglio di dare un'opportunità anche se non siete amanti del fumetto sportivo.

(Erika Sciamanna)

Spider-Man: Across the Spiderverse

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Spider-Man: Across The Spider-Verse, una nuova immagine del film animato

È sempre difficile riuscire a sfornare un secondo capitolo che non deluda le aspettative, specialmente quando il primo ha ottenuto un successo di critica e pubblico strepitoso quanto quello di Spider-Man: Into the Spider-Verse, che era riuscito a portarsi a casa anche l'Odcar per il Miglior film d'animazione. Eppure, la saga di lungometraggi animati targata Marvel Sony ci è riuscita, offrendoci una seconda pellicola, Spider-Man: Across the Spider-Verse, che è stata, ancora una volta, in grado di catturare non solo lo sguardo dello spettatore, ma anche il suo cuore, attraverso una narrazione intessuta a puntino come la tela di un aracnide e una grafica sempre più avanzata e spettacolare. Il Multiverso porta bene a Spidey, e non dubitiamo che la storia possa ripetersi anche in occasione del terzo appuntamento con Miles, Gwen e gli altri individui ragneschi che popolano il mondo Marvel in Spider-Man: Beyond the Spider-Verse. Ce lo dicono anche i nostri sensi di ragno!

Laura Silvestri

As bestas

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As Bestas - La terra della discordia: una scena del film

Non si tratta necessariamente del migliore film del 2023, eppure As Bestas - La terra della discordia è probabilmente uno dei titoli più importanti e soprattutto invisibili di questa annata. Dopo il passaggio fuori concorso al Festival di Cannes 2022, la pellicola di Rodrigo Sorogoyen ha fatto fatica a incontrare il pubblico italiano. Il che è un vero peccato perché si tratta di un'opera profondamente matura e riuscita nel raccontare l'abisso umano fino alle viscere, fino alla dimensione più animalesca della nostra specie, fino alla regressione a bestie (appunto). Recuperatelo, non ve ne pentirete.

(Simone Soranna)

C'è ancora domani

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C'è ancora domani: Paola Cortellesi sorride in una scena

Strano mondo il nostro: con lo sguardo verso il futuro, continuiamo a cercare tracce del nostro passato, sospinti da una scia di malinconia per un tempo scivolatoci tra le mani. Ma quello che Paola Cortellesi imbastisce con cura in C'è ancora domani non è un abito intessuto di malinconica nostalgia, quanto un saggio che colpisce molto più forte di quanto facciano gli schiaffi di Ivano sul viso di Delia. C'è ancora domani colpisce perché è un'opera che parla di ieri, ricordandoci i lividi di oggi. Sono tanti i fantasmi che attraversano gli occhi ormai rassegnati di Delia; occhi di bocche chiuse ieri per liberare le donne del presente; occhi che nonostante tutto continuano a brillare di quell'ottimismo umano di chi ancora spera ripetendosi che dopotutto, "c'è ancora domani".

(Elisa Torsiello)

Marcel the Shell

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Marcel the Shell with the Shoes On: una foto del film

Per il mio film dell'anno, per incorrere in una scelta meno ovvia immersa nel Barbenheimer, seleziono Marcel the Shell (With the Shoes On nel titolo originale) perché si tratta di una vera e propria poesia per immagini, delicata e coinvolgente, che mescola live action e animazione in stop-motion. Un mockumentary sui generis su una conchiglia parlante con le scarpe che vuole ritrovare la propria famiglia e troverà un inaspettato alleato nel regista di documentari che vorrebbe filmare e raccontare la sua storia. Un racconto anche meta-cinematografico che arriva dritto al cuore.

(Federico Vascotto)

Killers of the Flower Moon

Killers Of The Flower Moon
Killers of the Flower Moon: Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in una foto del film

Il 2023 verrà ricordato senza dubbio per il fenomeno cinematografico più strano e curioso degli ultimi anni: il Barbenheimer. Un fenomeno che ha portato al cinema appassionati di bambole e scienza nello stesso frangente. Tuttavia la pellicola che non potrò mai dimenticare per questo 2023 è l'ultima fatica di Martin Scorsese e che mi sento di annoverare senza ombra di dubbio come film dell'anno: Killers of the Flower Moon. Questo film innanzitutto è il primo vero western di Scorsese con il quale ha voluto mostrare la violenza su un popolo, che può arrivare anche col sorriso di un amico di uno zio o di un marito, una sfumatura molto complicata da rendere sullo schermo, ma ancor di più d'effetto se realizzata in questo modo. Una pellicola che può essere apprezzata sia dai conoscitori di questa tematica, ma che riuscirà a scardinare anche i cuori di coloro che conoscono solo in modo superficiale le atrocità che hanno dovuto subire gli Indiani d'America in centinaia di anni. Un film che continuerà a ronzare e a dar fastidio per molto tempo (per chi si è fermato dopo i titoli di coda capirà) proprio come i nativi stessi.

Alessio Vissani