Ci sono casi, rari ma non troppo, in cui il cinema non si limita a rincorrere la realtà, ma riesce addirittura ad anticiparla, tagliando il traguardo con provvidenziale anticipo sull'informazione giornalistica e sulla diffusione mediatica. Chiamatele coincidenze, chiamatele profezie; a volte magari è semplice fortuna, in altri casi un'infallibile lungimiranza... fatto sta che alcuni film hanno fatto del tempismo la propria carta vincente, arrivando esattamente al momento più propizio: un attimo prima che l'immaginazione ceda il posto alla realtà.
E nel novero dei film profetici, o capaci piuttosto di cavalcare l'attualità prima ancora che i fatti divengano effettivamente "notizia", va ora ad aggiungersi il poderoso Suburra, uscito mercoledì 14 ottobre nelle sale italiane. Trasposizione dell'omonimo romanzo scritto a quattro mani da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, Suburra (letteralmente "sotto l'Urbe") costituisce uno spietato affresco della Roma dei nostri giorni: quella stessa Roma travolta, appena negli scorsi mesi, dagli scandali confluiti sotto il nome di Mafia Capitale, proprio mentre avevano luogo le riprese del film.
Dai palazzi del potere alla Suburra
Le oscure connivenze fra la politica e la malavita, il groviglio di interessi incrociati da cui non è immune neppure il Vaticano, la violenza che dai quartieri della Capitale si propaga fino al litorale di Ostia... sono i diversi volti di un Potere mostruoso e tentacolare, che da anni ha avviluppato nelle proprie spire la più importante città d'Italia. Temi certo non inediti (basti pensare al compianto Francesco Rosi e alla sua imprescindibile filmografia), ma che sono tornati prepotentemente alla ribalta sulle prime pagine dei giornali e dei siti internet, oltre che nei notiziari e - ovviamente - nei social media. Diretto da Stefano Sollima, che già tre anni fa con il suo lungometraggio d'esordio, l'ottimo ACAB - All Cops Are Bastards, si era affermato come uno dei registi più promettenti del panorama contemporaneo, Suburra prosegue idealmente quella gigantesca epopea criminale che il cineasta romano aveva già narrato, negli ultimi anni, sul piccolo schermo, con risultati eccellenti (ne riparleremo fra poco).
E in Suburra, ambizioso dramma corale con due firme di spessore come quelle di Stefano Rulli e Sandro Petraglia e un cast che comprende Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano e l'attore francese Jean-Hugues Anglade, le losche alleanze intrecciate da vari membri delle classi dirigenti si fondono con la descrizione dei lati più brutali e pericolosi del territorio di Roma, per un viaggio nel "cuore nero" di una città imprigionata in una rete di clientelismi e di corruzione. Da tale prospettiva, del resto, il materiale narrativo appare pressoché inesauribile (purtroppo); tant'è che Netflix Italia ha già messo in cantiere una serie TV basata proprio su Suburra, che sarà resa disponibile dal nuovo servizio streaming nel 2017, per poi approdare anche in TV.
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Uno degli scenari ricorrenti di questa "apocalittica" settimana narrata in Suburra (i sette giorni precedenti alla caduta dell'ultimo Governo Berlusconi, nel novembre 2011) è il litorale di Ostia, teatro di una speculazione edilizia in cui la politica e la criminalità procedono a braccetto. Gli stessi luoghi rappresentati in un altro film al cinema in questo medesimo periodo: Non essere cattivo, testamento del compianto Claudio Caligari, lodatissimo al Festival di Venezia (dove è stato presentato fuori concorso) e selezionato come rappresentante dell'Italia per l'Oscar come miglior film straniero. Nel caso dell'opera postuma di Caligari, il focus non è tanto sulla criminalità in sé, quanto sui suoi effetti rovinosi: lo squallore di un litorale ostiense dipinto come un'abbrutita no man's land e la tossicodipendenza come virus divorante, che arriva ad annichilire ogni traccia di umanità e di speranza, in un vortice autodistruttivo senza uscita.
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Prima di Suburra, tuttavia, il cinema e la televisione si erano già addentrati nelle pieghe della "Italia criminale" di ieri e di oggi: sfidando ipocrisie e polemiche, in primo luogo da parte della politica stessa (secondo il vecchio adagio andreottiano in base al quale "i panni sporchi si lavano in casa"), e dimostrandosi capaci di raccontare i lati più torbidi e foschi della nostra storia recente (e recentissima) con un'intensità, una complessità e una durezza davvero sorprendenti...
Romanzo criminale: ascesa e caduta della Banda della Magliana
È stata sempre la penna di Giancarlo De Cataldo, ex magistrato e scrittore nato a Taranto, a partorire nel 2002 Romanzo criminale: non solo un apprezzato best seller, ma soprattutto un superbo esempio di "romanzo storico" in grado di adoperare gli stilemi di una narrazione ricca di tensione per rievocare uno dei capitoli più tetri dell'ultimo mezzo secolo, e in particolare della Roma fra gli anni Settanta e Ottanta. Le vicende della famigerata Banda della Magliana, ricostruite nel libro di De Cataldo in una commistione tra realtà e fiction, sono state portate al cinema nel 2005 da Michele Placido, che ne ha tratto il miglior film della sua carriera: un atipico gangster movie capace di ripercorrere, in due ore e mezza di durata (quasi tre ore nella versione integrale), le fasi salienti di questa epopea criminale, con un cast composto da Kim Rossi Stuart, Stefano Accorsi, Claudio Santamaria, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca e lo stesso Pierfrancesco Favino, qui nei panni del boss della Banda, soprannominato il Libanese.
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Se già la pellicola di Placido si era fatta ammirare per la capacità di rinnovare il cinema di genere con una nuova consapevolezza, in pochi avrebbero potuto immaginare l'impatto, decisamente più clamoroso, dell'altro adattamento dell'opera di De Cataldo. Ideato e diretto da Stefano Sollima, Romanzo criminale - La serie ha rappresentato un'autentica rivoluzione per la serialità televisiva: un esperimento del tutto inedito, capace di toccare vette fino ad allora impensabili per la TV italiana. Sviluppato nell'arco di due stagioni, in onda su Sky fra il 2008 e il 2010, Romanzo criminale ha conferito alla tragica parabola del Libanese, del Freddo e del Dandi, braccati dal determinato commissario Nicola Scialoja, uno spessore e una profondità straordinari, all'interno di un racconto di ampio respiro - quasi quindici anni di storia italiana, dal 1977 agli inizi degli anni Novanta - contraddistinto da una messa in scena di impressionante potenza e dalle splendide prove di tutti i comprimari: un gruppo di giovani talenti emergenti fra cui Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Alessandro Roja, Marco Bocci e Daniela Virgilio.
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Viaggio nell'inferno di Napoli: Gomorra fra cinema e TV
È un altro libro, diventato a sorpresa un fenomeno di proporzioni mondiali a partire dalla sua pubblicazione nel 2006, ad aver dato vita a due fra i prodotti più acclamati rispettivamente nell'ambito del cinema e della TV dell'ultimo decennio. Sensazionale debutto letterario di un ragazzo napoletano di soli ventisei anni, Roberto Saviano, che da allora vive sotto scorta dopo aver ricevuto le minacce dei clan camorristi, Gomorra ha adoperato i canoni della non-fiction novel per illustrare gli orrori quotidiani della Campania schiava delle cosche, i rapporti che legano la Camorra al sistema economico, industriale e politico, nonché la mentalità distorta di squallidi gregari e di boss locali, protetti da una coltre di omertà. Un materiale incandescente, che ha trasformato Saviano in una figura simbolo della denuncia della criminalità organizzata (a dispetto delle accuse di aver danneggiato la reputazione dell'Italia, scagliate perfino dall'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi) e da cui, nel 2008, il regista Matteo Garrone ha tratto ispirazione per realizzare un film magistrale.
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Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2008, e accolto da un enorme successo di pubblico e dall'entusiasmo della critica internazionale, Gomorra è, come Suburra, un agghiacciante dramma corale innervato da un implacabile pessimismo. Il romanzo e il film hanno avuto un tale impatto, a livello mediatico, che l'anno scorso Sky ha proposto sul piccolo schermo un altro "romanzo criminale" ambientato però nella cornice della Napoli odierna. Diretto da Stefano Sollima insieme a Francesca Comencini e Claudio Cupellini, con la collaborazione dello stesso Saviano in fase di sceneggiatura, Gomorra - La serie è la cronaca, tesissima e incalzante, delle lotte di potere che coinvolgono il clan dei Savastano, nel quartiere di Secondigliano, e il "pupillo" del boss Pietro (Fortunato Cerlino), il giovane e spietato Ciro Di Marzio (Marco D'Amore), pronto a tradire i membri del proprio clan. Dopo la pioggia di consensi per la sua prima, eccellente stagione, Gomorra tornerà sugli schermi nella primavera del 2016.
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Mafia, stragi e "cadaveri eccellenti": la storia d'Italia al cinema
Se una pellicola come Gomorra prende spunto essenzialmente dalla cronaca, seppure rielaborata, un approccio molto più vicino a quello del genere del film storico caratterizza invece due titoli recentissimi, entrambi molto applauditi dalla critica e capaci di portare in scena alcune fra le pagine più misteriose e inquietanti della storia italiana dell'ultimo mezzo secolo. Contemporaneamente all'uscita del film di Garrone, nei cinema debuttava anche Il Divo: uno spiazzante ritratto di Giulio Andreotti (un formidabile Toni Servillo), più volte Presidente del Consiglio e colonna portante della Democrazia Cristiana, delineato con la consueta impronta grottesca e irridente dal regista napoletano Paolo Sorrentino. Ricompensato sempre al Festival di Cannes con il Premio della Giuria, Il Divo oltrepassa le convenzioni del semplice biopic per alludere, con una narrazione visionaria e a tratti quasi spettrale, ad alcuni fra i più loschi misteri dell'Italia degli anni Settanta e Ottanta, giungendo infine al processo ad Andreotti, incarnazione di un insondabile potere politico, per le sue presunte collusioni con la Mafia.
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Dopo Sorrentino, nel 2012 è invece il turno di Marco Tullio Giordana, che insieme a Rulli e Petraglia (i co-sceneggiatori di Suburra) dirige l'ottimo Romanzo di una strage: una rigorosa ricostruzione dell'attentato di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, nel quale persero la vita diciassette persone. Se Sorrentino spinge sul pedale del simbolico, del surreale e del grottesco, Giordana adotta invece un'impostazione da classico film d'inchiesta, descrivendo con accuratezza lo scenario politico e sociale dell'epoca e le indagini successive alla strage di Piazza Fontana, e soffermandosi in particolare sul rapporto fra il Commissario di Polizia Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) e l'anarchico Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), sospettato di essere coinvolto nell'attentato ma morto in circostanze mai del tutto chiarite durante un interrogatorio. I tragici fatti di Piazza Fontana avrebbero segnato il principio della strategia della tensione e degli anni di piombo.
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Dinastie criminali: le "anime nere" del Sud Italia
Ancora in ambito cinematografico, nell'autunno 2014 sono stati presentati, a breve distanza l'uno dall'altro, due film accomunati da un tema analogo: la realtà criminale del Sud Italia attraverso le attività illecite, la quotidianità familiare e le sanguinose faide di famiglie appartenenti alla Camorra e alla 'Ndrangheta. Tratto dal romanzo di Luigi Alberto Cannavale e Giacomo Censini, I milionari, sceneggiato e diretto da Alessandro Piva, segue le vicende di Marcello Cavani (Francesco Scianna), giovane teppista napoletano in quella Secondigliano già teatro dei misfatti di Gomorra, soprannominato Alen Delòn: la parabola di un gregario camorrista che, rifacendosi in parte al modello di Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese, condensa in due ore oltre vent'anni di eventi. Proiettato al Festival di Roma, I milionari non ha ancora avuto una regolare distribuzione nelle sale.
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Ha riscosso lodi assai maggiori, invece, il più convincente Anime nere, selezionato in concorso al Festival di Venezia e pluripremiato alla scorsa edizione dei David di Donatello. Sceneggiato e diretto dal regista romano Francesco Munzi sulla base dell'omonimo libro di Gioacchino Criaco, Anime nere ci trasporta in Calabria, fra le montagne dell'Aspromonte, roccaforte di un'innominata famiglia criminale il cui potere è suddiviso fra tre fratelli. Ad offrire il punto di vista privilegiato su questo mondo insidioso, dipinto con i toni cupi della tragedia, è il ventenne Leo, protagonista di una "educazione criminale" che sarà consacrata dal sangue. Amarissimo racconto di formazione, ma anche cronaca di una perdita dell'innocenza, Anime nere segna un'ennesima, inesorabile "discesa all'inferno". Un inferno, come appare sempre più evidente, le cui fiamme ardono a un passo da noi; talvolta invisibili, ma proprio per questo dotate di un effetto ancor più devastante, in grado di divorare intere città. E Roma, disgraziatamente, sta già bruciando...
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