Recensione Romanzo criminale (2005)

Ci sono voluti nove mesi ininterrotti di lavorazione e un grande sforzo produttivo, ma il risultato è un film che sa parlare al pubblico, con una grande attenzione alla caratterizzazione dei personaggi e contemporaneamente alla cura dell'aspetto spettacolare.

Italian gangster: il ritorno

Il Freddo, Il Libanese, il Nero e il Dandi: la banda della Magliana si ricompone al cinema dopo essere stata tratteggiata con grande talento dalla penna di Giancarlo De Cataldo, nel suo omonimo Romanzo criminale. Quattro bambini, quattro delinquenti in quindici anni di storia italiana. Una storia buia e violenta ed alcune somiglianze (non geografiche, ci si intenda) con il Monicelli di Romanzo Popolare. Michele Placido rispolvera il noir italiano della miglior tradizione (quello di Fernando di Leo per capirci), lo infarcisce di glamour e lo fonde con il cinema di impegno civile che da sempre lo anima, per raccontarci di un banda di violenti scapestrati che voleva conquistare Roma e che finirà per essere coinvolta nelle maggiori nefandezze della nostra nazione. Parallelamente, la storia di una conturbante prostituta e di un poliziotto ambiguo, insieme ai richiami a loschi personaggi dei servizi segreti, delimitano il mondo raccontato da Romanzo Criminale.

Rispetto alla stragrande maggioranza del cinema italiano contemporaneo, Romanzo Criminale conta una differenza sostanziale sotto il profilo della confezione, sintetizzabile in: un'elevata cura formale, una fotografia molto suggestiva (con tutti gli innegabili eccessi pittorici del caso), un buon lavoro di ricostruzione (aiutato spesso dalla scelta stilistica dell'utilizzo di inquadrature molto strette e primi piani insistiti), un'ottima partitura musicale ad affiancare delle canzoni dall'ottimo appeal ed un'esposizione ostentatamente glamouristica degli attori di maggior richiamo del nostro cinema, con un'escursione estera per la conturbante dark lady Anna Mouglalis. Se questo è in gran parte, comunque, il risultato di un budget di tutto rispetto (siamo oltre la ragguardevole cifra di 15 milioni di euro, per un film consapevole di giocarsi tutte le sue carte) la novità vera va rintracciata in un impianto drammaturgico di respiro internazionale, che molto deve all'eccellente libro di Giancarlo De Cataldo, capace di raccontare fatti di casa nostra in una chiave estremamente avvincente. E' grazie a questo respiro epico, sposato dal film di Placido, che alcuni momenti discutibili, e sporadiche ma inevitabili cadute di tono, pesano ben poco sulla qualità dell'opera.

Altro indubbio punto di forza è la capacità del plot di coinvolgere lo spettatore anche grazie alle ottime interpretazioni del cast. Se Pierfrancesco Favino e Riccardo Scamarcio spiccano per accurato mimetismo, e Stefano Accorsi e Claudio Santamaria non deludono assolutamente, una nota a parte merita un eccellente Kim Rossi Stuart che si conferma ancora una volta attore dal grandissimo controllo e dalla rarissima credibilità, alle prese con un personaggio (Freddo) complesso, maligno ed affascinante, tratteggiato in modo più empatico rispetto al romanzo, ma decisamente convincente.

Un film ambizioso e per una volta riuscito. Ci sono voluti nove mesi ininterrotti di lavorazione e un grande sforzo produttivo, ma il risultato è un film che sa parlare al pubblico, con una grande attenzione alla caratterizzazione dei personaggi e contemporaneamente alla cura dell'aspetto spettacolare. Elementi che permettono di tirare avanti per più di due ore, con solo qualche calo di tensione nella parte finale, in cui la sceneggiatura scricchiola un pochino, ma mai inficiando il giudizio complessivo maturato sulla pellicola.