"Grazie alla Sony Classics per aver distribuito il film con coraggio ed intelligenza, al pubblico che è andato a vederlo, e magari a quelli del nostro settore che sono ancora stupidamente aggrappati all'idea che i film al femminile con protagoniste donne siano esperienze di nicchia. Non lo sono: il pubblico vuole vederli e, infatti, questi film incassano."
A pronunciare con fierezza e determinazione le suddette parole era Cate Blanchett, il 2 marzo scorso, sul palco del Kodak Theatre, stringendo fra le mani il premio Oscar appena ricevuto grazie alla sua superba performance in Blue Jasmine. Ma oltre al film di Woody Allen, in concorso a quella edizione degli Academy Award c'erano altri titoli applauditissimi come Gravity con Sandra Bullock e Philomena con Judi Dench. Se i grandi ruoli femminili talvolta riescono ad attirare la meritata attenzione presso le giurie dei premi, ma anche e soprattutto fra gli spettatori, tale attenzione non è sempre così scontata.
No country for (old) women?
Non che il cinema americano difetti di splendidi personaggi femminili: per quest'anno, basterà ricordare la Amazing Amy impersonata da Rosamund Pike nel meraviglioso L'amore bugiardo - Gone Girl (che tuttavia, con nostro immenso dispiacere, è stato snobbato quasi del tutto agli ultimi Oscar, ad eccezione della sacrosanta nomination per la Pike), ma pure il rilancio di Reese Witherspoon con l'intenso Wild e la stupenda prova di Julianne Moore in Still Alice. Tuttavia, fra gli otto titoli in lizza per l'Oscar al miglior film del 2014, neppure uno può vantare una vera protagonista donna (di certo non La teoria del tutto, che rimane in primis la storia di Stephen Hawking), e se scorriamo la lista dei maggiori campioni d'incasso dell'annata le pochissime "eroine" che hanno sbancato il box office (la Katniss di Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte 1, Maleficent e Lucy) non hanno certo brillato per la qualità delle rispettive pellicole. Ancora più spinoso, poi, è il dibattito riguardante la carenza di parti interessanti per le attrici oltre gli "anta": perché, per ogni Meryl Streep, Helen Mirren o Julianne Moore che rimane sulla cresta dell'onda pure a cinquanta, sessanta o (quasi) settant'anni, ci sono dozzine di magnifiche attrici over 40 che, relegate in uno spiacevole limbo dall'industria hollywoodiana, hanno accettato una sorta di "pensionamento anticipato" o, saggiamente, hanno preferito dedicarsi alla TV, macinando consensi a valanga (basti chiedere alle varie Glenn Close, Jessica Lange, Laura Linney e Robin Wright).
A riaprire l'eterno dibattito, appena qualche giorno fa, ci ha pensato una delle star più acclamate degli ultimi anni, Jessica Chastain, che nel ricevere il National Board of Review Award per la sua interpretazione in A Most Violent Year non ha perso l'occasione per replicare a distanza al collega Russell Crowe, il quale aveva negato - o quantomeno sminuito - il problema della carenza di ruoli per attrici più mature: "Penso che ci siano incredibili attrici cinquantenni e sessantenni che non ottengono opportunità nei film" ha detto Jessica, "e se qualcuno afferma che ci sono un sacco di ruoli per le donne di quell'età, si vede che non va al cinema abbastanza". Una questione, quella del sessismo nell'industria hollywoodiana e della sua scarsa fiducia rispetto alle pellicole su protagoniste donne, mai del tutto sopita, e che si ripropone invece con ciclica frequenza. Soprattutto perché, negli ultimi anni, a mettere ancor più in risalto il succitato problema ci ha pensato bene la diretta concorrente del cinema: la TV americana, che al contrario dei grandi studios sembra aver deciso di puntare sempre più spesso su storie di donne in grado di far appassionare e di tenere incollati di fronte allo schermo milioni di spettatori in ogni angolo del globo.
Le donne fra cinema e TV: da Grey Gardens a Temple Grandin
Per quanto riguarda le serie TV, abbiamo già avuto modo di celebrare le innumerevoli "primedonne" che si sono conquistate un'ampia fanbase: Claire Danes in Homeland, Julianna Margulies in The Good Wife, Jessica Lange in American Horror Story, Mireille Enos in The Killing, Keri Russell in The Americans e Ruth Wilson in The Affair, oltre alle serie comiche come Orange Is the New Black, Veep, Girls, Parks and Recreation, Jane the Virgin e ai guilty pleasure (fra l'altro molto seguiti) come Revenge, Scandal e Le regole del delitto perfetto. Ma parlando di narrazioni circoscritte e autoconcluse, il vero confronto rimane quello tra i film per il cinema e i film - o le miniserie - per la TV: in quale ambito le attrici hanno maggiori possibilità di emergere per merito di personaggi complessi e ben costruiti, senza restare confinate nello stereotipo della damsel in distress o della supporting wife? Se Hollywood, grazie a Dio, continua a regalarci pellicole come Zero Dark Thirty, Blue Jasmine, Frances Ha e Gone Girl, è innegabile che, in questi anni, la televisione ci abbia offerto alcuni dei più memorabili ritratti femminili del decennio, in prodotti che hanno davvero poco o nulla da invidiare ai vari woman's film del cinema odierno.
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Perché mentre molti produttori di Hollywood sono convinti che a determinare gli incassi sia soprattutto un pubblico maschile (salvo poi stupirsi per il clamoroso successo di una commedia come Le amiche della sposa), chi lavora in televisione sa che i film sulle donne, quando realizzati con l'adeguato spessore artistico, possono tranquillamente far presa su una platea molto ampia e variegata. Qualche esempio? Nel 2009 un TV-movie della HBO, Grey Gardens, ispirato all'omonimo documentario del 1975, si aggiudica sei Emmy Award e due Golden Globe mettendo in scena il peculiare rapporto fra la socialite Edith Bouvier Beale, cugina di Jacqueline Kennedy, e sua madre, l'eccentrica Edith Ewing Bouvier: ad interpretare le due donne, rispettivamente, Drew Barrymore e Jessica Lange, che vince l'Emmy come miglior attrice e inizia una "resurrezione artistica" culminata di lì a breve con American Horror Story. Sempre nel 2009 una coetanea della Lange, Sigourney Weaver, commuove gli spettatori americani impersonando Mary Griffith, madre conservatrice e ultrareligiosa che diventerà un'attivista per i diritti degli omosessuali in seguito al suicidio del figlio gay, nel film Prayers for Bobby.
Nello stesso anno va in onda Georgia O'Keeffe, il film che ha ottenuto più nomination agli Emmy - nove - di tutte quelle conseguite dalla rete televisiva Lifetime messe insieme: un biopic incentrato su una delle massime esponenti della pittura del ventesimo secolo, alla quale presta il volto una bravissima Joan Allen. Ma nel 2010 è un altro film biografico, Temple Grandin - Una donna straordinaria, a fare incetta di riconoscimenti negli USA, conquistando sette Emmy Award e il Golden Globe come miglior attrice per la sua protagonista, un'intensa Claire Danes (alla vigilia dei fasti di Homeland), nella parte di una giovane donna affetta da autismo, le cui testimonianze in merito alla propria condizione e la cui attività in campo scientifico e accademico hanno rivestito un'importanza fondamentale nel sostegno delle persone autistiche; se Temple Grandin fosse uscito nelle sale cinematografiche, anziché andare in onda sulla HBO, è lecito pensare che Claire Danes avrebbe avuto buone chance di guadagnarsi una candidatura all'Oscar.
La Mildred di Kate Winslet e la Sarah Palin di Julianne Moore
La fiction televisiva statunitense, specialmente quella targata HBO (un'immancabile garanzia di qualità), non ha avuto difficoltà ad attirare anche alcune fra le star più popolari ed apprezzate del grande schermo; e nel marzo 2011 la HBO propone Mildred Pierce, un nuovo adattamento in cinque puntate, per un totale di cinque ore e mezza, dell'omonimo romanzo di James M. Cain, firmato dallo stimato regista Todd Haynes. Molto più fedele alla struttura originaria del libro di Cain rispetto alla trasposizione cinematografica del 1945, Il romanzo di Mildred di Michael Curtiz (che risentiva delle influenze del cinema noir), interpretato da una Joan Crawford da Oscar, il Mildred Pierce di Haynes vede protagonista un'eccellente Kate Winslet nel ruolo del titolo: una casalinga e madre di famiglia appena separatasi dal marito che, nella California della Grande Depressione, inizia a lavorare come cameriera per sbarcare il lunario e, passo dopo passo, apre una catena di ristoranti e si costruisce un piccolo impero finanziario, mentre si deteriora il suo rapporto con la figlia Veda (Evan Rachel Wood). Mildred Pierce è stato ricompensato con cinque Emmy Award ed è valso alla Winslet il Golden Globe e l'Emmy come miglior attrice.
Sempre per la scuderia della HBO, nel 2012 va in onda Game Change, vincitore di cinque Emmy Award e tre Golden Globe. Un film costruito attorno a una delle figure più discusse e controverse della recente politica americana: Sarah Palin, Governatrice dell'Alaska, scelta nel 2008 dal candidato repubblicano John McCain come sua partner nella corsa alla Casa Bianca, in qualità di candidata alla Vice-Presidenza degli Stati Uniti. A calarsi nei panni della Palin, presunta arma vincente del Partito dell'Elefante, prima di franare miseramente nei consensi dell'elettorato a causa delle ripetute gaffe, delle risposte superficiali nelle interviste e la palese mancanza di un'adeguata preparazione, è una stupefacente Julianne Moore, premiata con il Golden Globe e l'Emmy Award come miglior attrice, la quale restituisce con impressionante mimetismo l'immagine e il carattere della famigerata leader repubblicana. All'anno seguente risale invece Top of the Lake, co-produzione fra Australia, Gran Bretagna e USA, con la prestigiosa firma di Jane Campion: una miniserie poliziesca in sette episodi, della durata complessiva di quasi sei ore, ambientata in una remota provincia della Nuova Zelanda, dove la giovane detective Robin Griffin indaga sulla scomparsa di una ragazza di dodici anni. Encomiabile esempio di scrittura, messa in scena e direzione degli attori, Top of the Lake ha fatto vincere alla sua protagonista, la Elisabeth Moss di Mad Men, il Golden Globe come miglior attrice. Pochi giorni fa, invece, il Golden Globe è stato attribuito a Maggie Gyllenhaal per un'altra miniserie in cui l'elemento della suspense e dell'indagine poliziesca è sviluppato attraverso la prospettiva di una donna dall'incrollabile forza di volontà: The Honourable Woman, racconto a sfondo spionistico co-prodotto da BBC e SundanceTV, con la Gyllenhaal nella parte di Nessa Stein, carismatica donna d'affari inglese coinvolta suo malgrado nelle tensioni fra Israele e Palestina.
Frances McDormand è Olive Kitteridge: il nuovo capolavoro della HBO
Al Festival di Venezia 2014, uno dei titoli di maggior valore nel programma della Mostra (a giudizio di chi scrive, addirittura il miglior titolo del Festival) è stato Olive Kitteridge, nuova miniserie della HBO, trasmessa negli Stati Uniti lo scorso novembre e in programma su Sky Cinema 1 a partire da oggi 23 gennaio, in prima serata: una raffinatissima trasposizione, da parte della sceneggiatrice Jane Anderson, dell'omonimo romanzo pubblicato nel 2008 da Elizabeth Strout e vincitore del premio Pulitzer come miglior libro di narrativa. Composto da quattro episodi, per una durata complessiva di oltre 230 minuti, la Olive Kitteridge della HBO è un'opera in cui i linguaggi e le convenzioni del cinema e della TV si fondono in un amalgama quasi miracoloso, anche in virtù della sapiente regia di Lisa Cholodenko, già autrice nel 2010 di un film a dir poco incantevole come I ragazzi stanno bene. Sviluppato nell'arco di venticinque anni, a partire dal 1980, nella cornice di Crosby, un'immaginaria cittadina del Maine (ma gli anni Ottanta del Maine potrebbero essere tranquillamente gli anni Cinquanta o Sessanta), Olive Kitteridge fa confluire l'affresco corale della vita di provincia realizzato dalla Strout in un racconto televisivo che è al contempo cronaca familiare e ritratto psicologico di straordinaria acutezza e profondità.
Ad offrire il punto di vista privilegiato sulle vicende piccole o grandi, buffe o tragiche, di questa ristretta comunità all'interno della quale si annidano torbidi segreti e serpeggiano tensioni inespresse è il personaggio centrale della miniserie: Olive Kitteridge, ex insegnante di matematica, sposata con il mite e benevolo farmacista Henry Kitteridge (un ottimo Richard Jenkins) e madre del tredicenne Christopher (Devin Druid). Ad interpretare questa donna di mezza età, burbera e scostante eppure dotata di un sotterraneo carisma e di un'indubbia bontà d'animo (ben mascherata sotto una coltre di cinismo e misantropia), è una prodigiosa Frances McDormand, semplicemente perfetta nel far scorrere sul proprio volto di elegante cinquantasettenne (invecchiato dal make up nella parte finale) i malumori, le frustrazioni, le speranze e i rimpianti di una casalinga irrequieta, fieramente ostinata nelle proprie posizioni e negli atteggiamenti di schietta severità, ma capace in egual modo di instaurare una sorprendente empatia con chi le sta di fronte: che si tratti di un suo giovane ex alunno, Kevin Coulson (Cory Michael Smith), in preda alla depressione e tormentato da angosciose allucinazioni, o del solitario vedovo Jack Kennison (Bill Murray).
E in questa riflessione, avvolgente quanto problematica, sulla quotidiana infelicità dell'individuo, sulla crisi del modello familiare della middle class americana, sulle luci e le ombre di un ménage descritto con impressionante realismo, a veicolare il sentimento dello spettatore è proprio la figura di Olive, nella quale Frances McDormand (che ha anche co-prodotto la miniserie, dopo aver acquistato i diritti del libro della Strout) trova il più bel ruolo di una carriera già illustre, in cui compaiono pellicole come Fargo, Quasi famosi e Moonrise Kingdom. Impossibile dimenticare un personaggio di tale vividezza, così come è impossibile non lasciarsi toccare - e talvolta commuovere - dalle emozioni sprigionate da questa sinfonia in quattro movimenti, che si è dimostrata in grado di rielaborare i canoni della narrazione seriale televisiva con un'originalità ed un'intelligenza davvero fuori dal comune. Per questo, e per innumerevoli altre ragioni, Olive Kitteridge può già essere considerato uno dei migliori titoli che avrete la fortuna di vedere quest'anno; a prescindere dalle dimensioni di uno schermo che, pur senza essere quello panoramico di un cinema, non ci è mai sembrato tanto 'grande'...
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