Presentato al Telluride Film Festival, uscito lo scorso ottobre negli Stati Uniti e dal 16 febbraio nelle sale italiane (dopo la partecipazione alla Festa del Film di Roma) grazie a Lucky Red, Moonlight, opera seconda del regista e sceneggiatore trentasettenne Barry Jenkins, si è rivelato un vero e proprio caso in patria, con un consenso altissimo e pressoché unanime da parte della critica nei confronti di questo peculiare racconto di coming of age.
Ispirata al testo teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, la pellicola di Jenkins rappresenta, mediante una struttura in tre atti separati nel tempo, tre momenti nella vita di un ragazzo afroamericano, Chiron: da bambino, quando viene trascurato dalla madre Paula, psichicamente instabile, e riceve ascolto e conforto dallo spacciatore Juan; da adolescente, vittima di atti di violenza da parte di alcuni suoi coetanei e per la prima volta consapevole delle proprie pulsioni omosessuali; e da adulto, quando ha ormai scelto di seguire le orme di Juan, diventando a sua volta uno spacciatore. La tormentata esistenza di Chiron e la sua progressiva "educazione sentimentale" sono ricostruite da Jenkins e dal direttore della fotografia, James Laxton, attraverso una messa in scena estremamente immersiva e carica di suggestioni, molto più prossima alle influenze di un certo cinema d'autore (Wong Kar-wai in primis) che non agli stilemi del cinema indie americano.
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Per la A24, che lo ha distribuito negli Stati Uniti e lo ha sponsorizzato per la awards season, Moonlight è stato una scommessa vinta su tutta la linea: sia dal punto di vista commerciale (oltre due milioni di spettatori), sia per l'impressionante quantità di premi vinti, dal Golden Globe come miglior film drammatico alla valanga di trofei della critica, per arrivare alle otto candidature agli Academy Award. Alla prossima cerimonia degli Oscar, Moonlight sarà dunque ai nastri di partenza in qualità di principale sfidante del pur inarrestabile La La Land: una 'consacrazione' tutt'altro che scontata alla luce dell'ambivalente rapporto fra l'Academy e il cinema a tematica omosessuale, talvolta non abbastanza valorizzato a livello di riconoscimenti. A questo proposito, di seguito abbiamo deciso di ripercorrere dieci importanti titoli incentrati su protagonisti e storie LGBT che, prima di Moonlight, sono riusciti nella non facile impresa di aggiudicarsi la nomination all'Oscar come miglior film.
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La nostra analisi è stata ristretta alle pellicole in cui l'elemento dell'omosessualità viene trattato in maniera esplicita e risulta particolarmente rilevante rispetto alla trama: è il motivo per cui non abbiamo incluso film come Cabaret, Il servo di scena, Il colore viola e Dallas Buyers Club. E poi ci sono le "menzioni d'onore", ovvero quei film (in alcuni casi vere pietre miliari del cinema LGBT) che hanno guadagnato un cospicuo numero di candidature, mancando però quella più importante: da un cult d'annata quale Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger (1971, quattro nomination) a Philadelphia di Jonathan Demme (1993, cinque nomination e due Oscar fra cui quello per l'attore protagonista Tom Hanks), da Diario di uno scandalo di Richard Eyre (2006, quattro nomination) ai recentissimi The Danish Girl di Tom Hooper (quattro nomination e un Oscar per l'attrice supporter Alicia Vikander) e Carol di Todd Haynes (sei nomination), quest'ultimo incredibilmente snobbato come miglior film. A testimonianza di come, nonostante tutto, fra i membri dell'Academy ci sia ancora qualche tabù in attesa di essere abbattuto...
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Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)
In un modo unico e particolarissimo, Quel pomeriggio di un giorno da cani costituisce una pagina fondamentale nella rappresentazione dell'omosessualità nel cinema hollywoodiano. L'anno è il 1975, il regista il grandissimo Sidney Lumet e il protagonista uno straordinario Al Pacino nella parte di Sonny Wortzik, uno spiantato che decide di commettere una maldestra rapina in una banca di New York, in modo da procurare all'uomo di cui è innamorato, Leon Shermer (Chris Sarandon), il denaro necessario all'operazione per il cambiamento di sesso. Tra i primissimi film americani a parlare di transessualità in maniera tanto esplicita, Quel pomeriggio di un giorno da cani trae gran parte della propria intensità proprio dal subplot legato alla storia d'amore fra Sonny e Leon, dipinta - nel corso di un'emozionante telefonata - con una sincerità ammirevole. Fra i massimi capolavori della New Hollywood, la pellicola di Lumet si guadagnò sei nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attore (Pacino) e attore supporter (Sarandon), vincendo il premio per la miglior sceneggiatura originale.
Il bacio della donna ragno (1985)
Il bacio della donna ragno è stato un titolo seminale, nella storia degli Academy Award, per almeno due motivi: è stato infatti la prima produzione indipendente ad essere candidata come miglior film, mentre il co-protagonista William Hurt è diventato, nel 1986, la prima persona a ricevere un Oscar nella parte di un personaggio esplicitamente gay. Hurt presta il volto all'eccentrico ed effeminato Luis Molina, compagno di cella dell'attivista politico Valentin Arregui (Raul Julia), oppositore della dittatura militare in Brasile: due uomini estremamente diversi, ma che attraverso la conoscenza reciproca sapranno imparare lezioni fondamentali l'uno dall'altro. Diretto da Hector Babenco a partire dall'omonimo romanzo di Manuel Puig, Il bacio della donna ragno ha registrato un sorprendente successo e ha ottenuto quattro nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, facendo vincere l'Oscar come miglior attore a William Hurt.
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La moglie del soldato (1992)
Un'opera originalissima, fascinosa e spiazzante, accolta nel 1992 da uno strepitoso successo di pubblico, frutto di un portentoso passaparola e di un "colpo di scena" ormai proverbiale, fino ad arrivare sul palco dell'Academy. Scritto e diretto da Neil Jordan, La moglie del soldato, splendido esempio di commistione di generi (il thriller politico, il noir, il melodramma), è costruito attorno al rapporto tra Fergus (Stephen Rea), militante dell'IRA coinvolto in un sequestro finito nel peggiore dei modi, e Dil (Jaye Davidson), giovane cantante di night club e partner di Jody (Forest Whitaker), il soldato britannico rapito da Fergus. Il transgenderismo, l'ambiguità sessuale e la natura indefinibile di un sentimento che sfugge ad ogni possibile categoria sono gli elementi chiave di un capolavoro di scrittura e di messa in scena, ricompensato con sei nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attore (Rea) e attore supporter (Davidson), e con il premio per la miglior sceneggiatura originale.
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The Hours (2002)
Una delle voci più influenti della letteratura del ventesimo secolo, l'inglese Virginia Woolf (Nicole Kidman), fra l'altro notoriamente bisessuale (benché questo aspetto non sia trattato nel film); Laura Brown (Julianne Moore), casalinga e madre di famiglia nella Los Angeles del 1951, con inconfessate pulsioni omosessuali e una strisciante depressione che la sta divorando; e Clarissa Vaughan (Meryl Streep), intellettuale bisex che nella New York del 2001 sta preparando una festa per un suo ex amante, il poeta Richard Brown (Ed Harris), malato di AIDS. Tre storie legate fra loro dal libro della Woolf La signora Dalloway e tratte dal romanzo di Michael Cunningham Le ore, fonte dell'acclamato dramma diretto da Stephen Daldry nel 2002. Con un totale di ben nove nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attore supporter (Harris) e attrice supporter (Moore), The Hours è valso la statuetta come miglior attrice alla diva australiana Nicole Kidman.
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I segreti di Brokeback Mountain (2005)
È il classico per eccellenza del cinema a tema LGBT in ambito contemporaneo, ma anche uno dei melodrammi del grande schermo più apprezzati del ventunesimo secolo: adattamento di un racconto di Annie Proulx da parte del regista taiwanese Ang Lee, I segreti di Brokeback Mountain ha commosso milioni di spettatori attraverso la struggente storia d'amore fra Ennis Del Mar (Heath Ledger) e Jack Twist (Jake Gyllenhaal), sviluppata nell'arco di quasi vent'anni fra il Texas e le montagne del Wyoming, fra pregiudizi, rapporti familiari contrastati e insanabili rimpianti. Accolto da un enorme successo, I segreti di Brokeback Mountain si è aggiudicato tre premi Oscar per la miglior regia, la miglior sceneggiatura adattata e la miglior colonna sonora su un totale di otto nomination, fra cui quelle per il protagonista Heath Ledger e gli attori supporter Jake Gyllenhaal e Michelle Williams; mentre il mancato trofeo come miglior film è considerato uno dei peggiori errori di sempre da parte dell'Academy, nonché come l'effetto della malcelata omofobia di una parte dei giurati.
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Truman Capote - A sangue freddo (2005)
Sempre nel 2005, anno del trionfo de I segreti di Brokeback Mountain, un altro film con un protagonista omosessuale si guadagnava l'attenzione della critica e dell'Academy: Truman Capote, ritratto del celebre scrittore americano da parte del regista Bennett Miller e ricostruzione della genesi dell'opera più famosa di Capote, A sangue freddo, superbo esempio di non-fiction novel. Philip Seymour Hoffman sfodera una performance assolutamente mimetica nella parte di Capote, impegnato a indagare su un terribile caso di cronaca nera e a intervistare il criminale Perry Smith (Clifton Collins Jr), dal quale rimane in qualche modo irretito. Truman Capote ha riportato cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia e attrice supporter (Catherine Keener), ed è valso a Hoffman il premio come miglior attore.
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Milk (2008)
È l'opera più schiettamente 'militante' fra i vari titoli a sfondo LGBT in lizza come miglior film agli Academy Award, e difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti con il biopic di un personaggio come Harvey Milk, consigliere comunale della città di San Francisco e primo gay dichiarato a occupare una carica pubblica in California. Cronaca appassionata e partecipe delle lotte per il riconoscimenti dei diritti dei gay nella San Francisco degli anni Settanta, Milk, diretto da Gus Van Sant, trae gran parte della propria forza dalla vibrante performance di Sean Penn nel ruolo di un coraggioso attivista diventato un'icona della comunità omosessuale. Accolto nel 2008 con vasti consensi, Milk ha vinto due premi Oscar, per il miglior attore (Penn) e la miglior sceneggiatura originale, su otto nomination, tra cui miglior film, regia e attore supporter (Josh Brolin).
Il cigno nero (2010)
Non si tratta di un film prettamente a tema omosessuale, eppure Il cigno nero, thriller psicologico dai contorni visionari diretto da Darren Aronofsky nel 2010, ha attirato notevole attenzione anche per un'intensa scena di sesso fra Nina Sayers (Natalie Portman), astro nascente del mondo della danza classica e prima ballerina di una compagnia di New York, e Lily (Mila Kunis), sua collega e 'rivale', vista da Nina come una costante minaccia. Opera tenebrosa e avvolgente, giocata sulla dicotomia fra realtà e incubo, Il cigno nero ingloba il sottotesto omoerotico nel rapporto fra Nina e Lily all'interno della cornice dei turbamenti psicologici della protagonista. Il thriller di Aronofsky ha conseguito cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film e regia, e ha fatto vincere alla Portman il trofeo come miglior attrice.
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I ragazzi stanno bene (2010)
Ancora più significativo de Il cigno nero, nel contesto dell'evoluzione del modo di dipingere l'omosessualità sullo schermo e dell'importanza di raccontarne le implicazioni culturali e sociali, è stato, sempre nel 2010, il meraviglioso I ragazzi stanno bene, commedia indipendente firmata dalla regista Lisa Cholodenko e imperniata sul ménage fra Nic (Annette Bening) e Jules (Julianne Moore), una coppia lesbica con due figli adolescenti desiderosi di conoscere il loro padre biologico, Paul Hatfield (Mark Ruffalo). Tanto ammirevole per la sua capacità di amalgamare ironia e dramma quanto commovente per la sua sincera descrizione di determinate dinamiche familiari e sentimentali, I ragazzi stanno bene ha ricevuto quattro nomination agli Oscar, fra cui quelle per il miglior film, l'attrice protagonista (Bening) e l'attore supporter (Ruffalo).
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The Imitation Game (2014)
Ha registrato un eccellente responso, appena due anni fa, un film che ha conquistato i membri dell'Academy attraverso la celebrazione di un'icona gay, il matematico Alan Turing, colpito in prima persona dalle leggi omofobe vigenti in Gran Bretagna fino agli anni Sessanta. Tuttavia The Imitation Game, diretto da Morten Tyldum e con Benedict Cumberbatch nei panni del crittografo le cui geniali intuizioni giocarono un ruolo di massimo rilievo per la riscossa degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, ha suscitato qualche perplessità per non aver concesso troppo spazio all'omosessualità di Turing, del quale comunque viene narrata anche la persecuzione subita da parte delle autorità britanniche in seguito all'accusa di sodomia. The Imitation Game ha raccolto un totale di otto nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attore (Cumberbatch) e attrice supporter (Keira Knightley), vincendo il premio per la miglior sceneggiatura adattata.
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Moonlight (2016)
E torniamo così al nostro punto di partenza, Moonlight di Barry Jenkins, a cui spetterà il compito di tenere alta la bandiera del cinema LGBT agli Academy Award per l'anno 2016. Elogiatissimo per la sua abilità nel mostrare le varie tappe della presa di coscienza di un ragazzo omosessuale in uno scenario socioculturale di estremo disagio, fra barriere psicologiche, atti di violenza e omofobia introiettata, Moonlight mostra al contempo una vena di romanticismo che emerge durante alcune delle sequenze di maggior impatto, quelle volte a descrivere il rapporto fra Chiron e il coetaneo Kevin. La pellicola di Jenkins si presenterà alla cerimonia degli Oscar con otto nomination, tra cui miglior film e regia e quelle per i due interpreti supporter, Mahershala Ali e Naomie Harris.