I migliori film del 2014: la top 20 di Giuseppe Gangi

Ci prepariamo al lancio della top 20 redazionale per il 2014 con la pubblicazione delle ultime classifiche individuali: è il turno di Giuseppe Gangi.

Si alza il sipario sugli ultimi redattori che ci propongono le loro top 20 personali relative all'anno che abbiamo da poco salutato, sulla base delle quali sarà calcolata la classifica definitiva della redazione, che vi sveleremo a breve. E' il momento di scoprire i magnifici 20 di Giuseppe Gangi

Leggi anche [I migliori film del 2014 - la top 20 della redazione di Movieplayer.it](https://movieplayer.it/articoli/i-migliori-film-del-2014-la-top-20-della-redazione-di-movieplayerit_1403

  1. La storia della Principessa Splendente
  2. Synecdoche, New York
  3. The Wolf of Wall Street
  4. Si alza il vento
  5. Adieu au langage - Addio al linguaggio
  6. Solo gli amanti sopravvivono
  7. Il sale della terra
  8. Belluscone. Una storia siciliana
  9. L'immagine mancante
  10. Under the Skin
  11. Frances Ha
  12. Father and Son
  13. A proposito di Davis
  14. Snowpiercer
  15. The Look of Silence
  16. Il giovane favoloso
  17. Boyhood
  18. Due giorni, una notte
  19. Nymphomaniac
  20. L'amore bugiardo - Gone Girl
Maps to the Stars: Mia Wasikowska in una scena del film con Julianne Moore
Maps to the Stars: Mia Wasikowska in una scena del film con Julianne Moore

"Rileggendo i venti titoli appena elencati, mi è difficile non pensare all'esclusione di film che mi sono piaciuti allo stesso modo degli ultimi posti in coda alla top-20. Ad esempio perché ho inserito l'acclamato (e, per il sottoscritto, un filo sopravvalutato) L'amore bugiardo - Gone Girl e non Maps to the Stars dell'amato David Cronenberg? Perché quest'ultimo rappresenta forse un passo indietro rispetto al lucido e tagliente Cosmopolis, mentre l'opera di David Fincher un passo avanti rispetto al pur buono (ma un po' anonimo) Millennium - Uomini che odiano le donne. Non di meno, Gone Girl si sfilaccia nel finale facendo evaporare il thrilling meticolosamente costruito nella prima parte, ma dobbiamo accontentarci, perché è un apologo al vetriolo sul matrimonio e la rappresentazione del processo mediatico; al contempo, non posso certo affermare che i due volumi di Nymphomaniac siano i lavori più riusciti di Lars Von Trier, nonostante riescano a graffiare e a colpire, per lo meno grazie alle invenzioni visive del grande regista danese. Pertanto, perché non inserire il teso All is Lost - Tutto è perduto con un Robert Redford che recita con le rughe e si batte come un animale morente contro la natura avversa? O, ancora, il sottovalutato - as usual - melò di James Gray, C'era una volta a New York? Perché il bello delle classifiche, in un'annata piena di bei film, è l'essere consci di poterla modificare cinque minuti dopo averla completata, senza contare i film persi (Mommy di Xavier Dolan e Il regno d'inverno di Ceylan, in primis) che potrebbero sconvolgere il precario status quo.

Like father, Like son: una scena del film
Like father, Like son: una scena del film

Il 2014 è stato un anno di gioie e di sorprese cinefile, tra le quali poter vedere regolarmente distribuito in Italia un'opera del sempre interessante Hirokazu Koreeda (Father and Son), oppure, Bong Joon-ho alle prese con il suo primo film girato in lingua inglese, quello Snowpiercer che oltre a confermare il duttile talento del regista sud-coreano è il blockbuster dell'anno. E mi ha sorpreso scoprire un'Italia così interessata alla vita e all'opera di Giacomo Leopardi, facendo del Giovane favoloso di Mario Martone un successo al botteghino; e vedere che lo stivale è stato uno dei primi paesi ad avere in (pochissime) sale The Look of Silence, seconda parte del coraggioso dittico che Joshua Oppenheimer ha dedicato ai sanguinosi orrori della dittatura indonesiana di Suharto. Ci sono stati i graditi ritorni, come Joel e Ethan Coen, che non sbagliano un colpo, e anche con l'odissea in miniatura di Llewyn Davis sono riusciti a raccontare un'epoca e un altro inetto esistenzialmente sconfitto; e come i fratelli Dardenne che, pur non raggiungendo le vette dei loro capolavori, confermano la svolta luminosa del Ragazzo con la bicicletta, aprendosi a un barlume di speranza dopo aver rappresentato una via crucis lavorativa stando incollati al volto e al corpo di Marion Cotillard.

Greta Gerwig in Frances Ha
Greta Gerwig in Frances Ha
Rimanendo fuori dai primi dieci, ci sono due film del cinema indipendente americano molto differenti tra loro. Ai piedi della top ten resta Frances Ha di Noah Baumbach, tenerissimo ritratto di una ragazza che, a dispetto di ogni evidenza, sogna ancora di diventare una ballerina, simbolo di una generazione che vuole essere felice nonostante la confusione della nomade vita da "undateable": indimenticabile la performance di Greta Gerwig; più in basso, il beniamino della critica di tutto il mondo, quel Boyhood che è l'estremo esperimento di Richard Linklater di fondere cinema e vita in un'unica soluzione. Un film ambizioso e fallimentare che, nel suo scorrere fluviale, si dirama in momenti di irripetibile ingenuità e in altri di farraginosa drammaturgia: seppure a sprazzi, Linklater riesce comunque a fermare il tempo sulla pellicola e tanto basta per reputarla una visione importante del 2014.

Under the Skin: gioco di specchi per l'aliena Scarlett Johansson
Under the Skin: gioco di specchi per l'aliena Scarlett Johansson

Arrivando ai primi dieci, inizio citando l'incipit liquido e ipnotico dell'indefinibile Under the Skin, ardito mix di videoclip e fantascienza con un uso della macchina da presa nascosta che cerca di rapprendere l'invenzione visiva nella realtà del momento. A seguire segnalo una memorabile tripletta di documentari, differenziati per natura del progetto e nazionalità. L'immagine mancante tratta della Cambogia di Pop Pot, riletta attraverso le memorie di Rithy Panh, intellettuale e regista ma, soprattutto, sopravvissuto ai terribili campi di lavoro del dopo-Rivoluzione. Tra le sue mani, il cinema diventa un'arma per la ri-costruzione di una memoria storica che vada al di là dei tronfi materiali d'archivio e si incunei nella pagine non scritte, nell'immagine mancante del titolo. Belluscone. Una storia siciliana è dell'italianissimo Franco Maresco, un esilarante e deprimente meta-film che vira sul grottesco narrante l'ambiente neomelodico di Palermo e la sua connivenza con la mafia, entrambi accomunati da un imperituro e ambiguo amore nei confronti di Silvio Berlusconi.

Only Lovers Left Alive: Tilda Swinton sdraiata sul letto e circondata da libri
Only Lovers Left Alive: Tilda Swinton sdraiata sul letto e circondata da libri

Infine, Il sale della terra, il viaggio nella vita e nell'opera di Sebastião Salgado, seguito dall'occhio appassionato di Wim Wenders che, usando come nucleo centrale le fotografie dell'artista brasiliano, riflette sullo statuto dell'immagine e sul potere di creare una narrazione e cartografare la situazione umana e socio-politica dei vari continenti. Menzione speciale anche per il decadente e oscuro Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch, ennesima invenzione di uno dei registi più originali e inclassificabili d'America, che raffredda l'horror per meditare sull'immortalità dell'arte e della mostruosità della nostra effimera e distruttiva vita.

I primi cinque, a vederli tutti insieme, non possono che suscitare un sentimento di malinconia: La storia della principessa splendente, Si alza il vento e Adieu au langage - Addio al linguaggio sono verosimilmente i testamenti artisti e spirituali di tre impareggiabili maestri. The Wolf of Wall Street è uno Scorsese che torna a girare sui ritmi e la potenza espressiva che più gli compete e non è detto che ricapiti ulteriormente. Synecdoche, New York è semplicemente uno dei film più apocalittici di sempre, un nero gorgo di disperato nichilismo al quale lo stesso autore, il brillante Charlie Kaufman, sembra non essere riuscito a sopravvivere.

The Wind Rises: una scena del film
The Wind Rises: una scena del film

Vale la pena spendere qualche parola in più sui tre anziani cineasti al passo d'addio: se su Hayao Miyazaki ho già scritto ampiamente, vorrei ribadire l'importanza storica che ha avuto Isao Takahata per l'animazione giapponese, poiché è anche grazie a lui se il suo amico Miyazaki ha trovato quel bacino di idee e libertà che l'hanno portato a diventare uno dei più amati e visionari storyteller del cinema contemporaneo. Alle soglie degli ottant'anni, Takahata prende malinconicamente il commiato da noi per mezzo di questa favola stilizzata da tecniche di retroavanguardia, rivelando un'inedita e radicale potenza espressiva. Un miracolo di poesia e immaginazione che, per quanto mi riguarda, ha sbaragliato la concorrenza. Concludo la disordinata rassegna della mia top 20 con Adieu au langage, il definitivo strappo che Jean-Luc Godard ha prodotto nelle convenzioni del linguaggio cinematografico: il quinto posto è dovuto all'averlo visto in 2D; magari, una revisione tridimensionale mi porterebbe a eleggerlo quale mio film dell'anno." (Giuseppe Gangi)

La Storia della Principessa Splendente: un'immagine tratta dal film d'animazione di di Isao Takahata
La Storia della Principessa Splendente: un'immagine tratta dal film d'animazione di di Isao Takahata