Ciak, mi sposo! I matrimoni del grande schermo

In occasione del debutto nelle sale della scatenata commedia Bridesmaids - Le amiche della sposa, parliamo dell'evoluzione dei wedding movie all'americana tra damigelle disperate, genitori sull'orlo di una crisi di nervi e spose caparbiamente in fuga.

Se al cinema l'amore è quasi sempre una cosa meravigliosa può dirsi altrettanto del matrimonio? Sognato, anelato e alla fine programmato fin nei minimi particolari, il giorno del fatidico "sì" ha conquistato gli onori del grande schermo con gli aspetti più comici e imprevisti dell'evento. Così, attraverso cinquant'anni di attività a cavallo di due secoli, la dialettica cinematografica si è allegramente misurata con damigelle dall'improbabile look, genitori sull'orlo di una crisi di nervi e spose caparbiamente in fuga.Tutti elementi che hanno contribuito a gettare le fondamenta di un genere sempre più definito attraverso i ritmi e le sfumature della commedia, perché, a conti fatti, nulla sembra essere più causticamente ironico del backstage di un matrimonio. Una formula,questa, che nel tempo ha subito delle modifiche inevitabili strettamente collegate alle mutazioni sociali ma che, grazie ad un indimenticabile Spencer Tracy nelle vesti di un genitore indotto ad un passo dalla follia dai dispendiosi desideri nuziali dell'amata figlia, ha consegnato al cinema una figura paterna universale su cui modellare più o meno degnamente tutti i suoi successori.

Il film in questione è naturalmente Il padre della sposa, gioiello produttivo della MGM che porta la firma prestigiosa di Vincente Minnelli e vanta la partecipazione di una esuberante Elizabeth Taylor nei panni diella giovane sposa Kay. Ispirato all'omonimo romanzo di Edward Streeter, la vicenda si concentra su gli usi e costumi di una società rappresentante di un paese perbenista, per mettere in evidenza con garbo e autoironia gli aspetti più stratificati di cliché d'altri tempi. Siamo ancora molto lontani dallo spirito rivoluzionario di Indovina chi viene a cena? e dai controversi presupposti dell'unione mista tra Sidney Poitier e Katharine Houghton . Nell'America post bellica l'evento matrimoniale, oltre ad essere unico scopo e più alta realizzazione del mondo femminile, non contempla alcuna possibilità d'innovazione, contraendosi esclusivamente tra protagonisti di uguale estrazione sociale, ricchezza e, soprattutto, senza alcuna discussione sulla razza.
In un ambiente così rigorosamente prestabilito non stupisce che lo sguardo vivace e impertinenti di Minnelli s'inserisca a sbeffeggiare la prevedibilità di una certa borghesia benestante a cui impone, almeno per la durata del film, percorsi alternativi prima di arrivare comunque alla sacralità dell'altare. In questo modo i guai tragicomici di un padre, impegnato a non voler lasciare andare una figlia leggiadramente superficiale, hanno attribuito alla pellicola non solamente l'onore di tre nomination agli Academy Awards (miglior attore protagonista, miglior film, miglior sceneggiatura non originale) ma soprattutto una modernità che ha valso alla vicenda il sequel Papà diventa nonno, un'omonima serie tv trasmessa dalla CBS nella stagione 1961-62 e, per finire, un remake realizzato da Charles Shyer con Steve Martin chiamato al difficile compito di sovrapporsi ad un protagonista onestamente insostituibile.

Nonostante il successo indiscusso ottenuto dal film, inserito dall'American Film Institute tra le cento miglior commedie di tutti i tempi, e altri esperimenti a tema sempre prodotti dalla MGM come Pranzo di nozze (A Catared Affair,1956), diretto da Richard Brooks ed interpretato tra gli altri da Bette Davis e Debbie Reynolds, per assistere alla piena consacrazione del genere si deve attendere la fine degli anni ottanta. La rivoluzione politica e sessuale, iniziata nel 1968 e continuata per più di un decennio, pone l'elemento matrimoniale in attesa di tempi migliori. Così, svaniti anche i bagliori romantici della coppia Doris Day/Rock Hudson, il vecchio stile lascia spazio ai giovani della New Hollywood, pronti a sperimentare una cinematografia più impegnata e attuale. Si tratta di una frattura temporale però, che, ben lontana dal decretare la fine del genere, offre a questo la possibilità di rinnovarsi sulle basi di una società diversa nata dalle sue stesse ceneri, dove l'amore non si piega più a codici comportamentali prestabiliti. Seguendo queste direttive il linguaggio della commedia romantica si fa più irriverente e disinvolto, lasciando spazio alla forza dei personaggi e alla esternazione delle loro dubbiose personalità.

Alla luce dei cambiamenti di stile e sostanza la nuova stagione dei matrimoni si apre con un prodotto che, nonostante soffra ancora di un certo legame alla tradizione, riesce ad inserire in un plot dalla costruzione prevedibile una tale quantità di variabili disastrose da trasformare l'insieme in una paradossale e dissacrante corsa alla cerimonia imperfetta. Questa volta, ad andare all'altare è la "bella in rosa" Molly Ringwald, icona anni ottanta di teen movie come Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare e Breakfast Club che portano la firma di John Hughes. Distribuito dalla Warner Bros nel 1990 e diretto da Alan Alda, noto al grande pubblico soprattutto per la sua attività di attore in collaborazione con Woody Allen, Il matrimonio di Betsy concentra la sua attenzione sugli affannosi e pretenziosi preparativi diretti da genitori ansiosi di aggiudicarsi la palma dell'evento più sontuoso, mentre ai giovani sposi non rimane che assistere quasi inermi ad una follia ossessiva e potenzialmente distruttiva. Tuttavia, tra dissapori sul numero degli invitati e vivaci scontri d'opinione sullo stile di un banchetto organizzato sotto un tendone che imbarca acqua, i ragazzi riescono comunque a far valore le proprie scelte, superando le differenze sociali e affrancandosi cosi da un passato narrativo che li avrebbe voluti vittime delle convenzioni.
A questo punto il dado della modernità è decisamente tratto, ma a sospingere il genere verso un successo senza precedenti è una ventata innovativa che viene inaspettatamente dal Vecchio Continente. E' il 1994, in Inghilterra l'amore è all around, come ci ricordano i Wet Wet Wet, ed un giovane Hugh Grant dal fascino un po' stropicciato e dell'impacciata ironia britannica riceve la consacrazione del Golden Globe come miglior attore protagonista per Quattro matrimoni e un funerale, vera pietra miliare del wedding movie per le innovazione tematiche e linguistiche apportate. Nato dalla penna sagace di Richard Curtis, cui si devono alcuni tra i capitoli più noti della commedia inglese come Il Diario di Bridget Jones, Notting Hill e la serie Mr. Bean, ed immortalato dalla frizzante regia di Mike Newell l'infantile Charles, sempre in ritardo ad ogni matrimonio ed in costante fuga dall'impegno amoroso nonostante la disinvolta bellezza dell'americana Carrie (Andie MacDowell), introduce il pubblico nella sua cerchia d'amicizie dove la ricerca dell'anima gemella, sbeffeggiata, anelata o modernamente riadattata è comunque al centro di pensieri e discussioni.
Il cast, formato da Kristin Scott Thomas, James Fleet, Simon Callow, John Hannah, David Bower e Charlotte Coleman, contribuisce ulteriormente a cambiare gli elementi di una formula all'apparenza immutabile, inserendo non solamente un linguaggio "sciolto" e serenamente disinvolto, ma attribuendo al matrimonio e alla coppia una varietà di opinioni e punti di vista senza precedenti. Completamente deprivato di un romanticismo da fary tale, il momento sacro, la celebrazione più alta dell'unione si trasforma in materiale da satira affidandosi all'impassibile e serafica ironia di Rowan Atkinson, buffone di corte al cinema quanto Sir dall'irreprensibile eleganza nella vita. Così, tra giovani donne pronte a sostenere un look da meringa pur di percorrere l'ambita navata, fedi nuziali dall'improbabile natura post punk e damigelle impegnate in incontri ravvicinati con gli amici dello sposo, la celebrazione si fa da parte e lascia spazio al significato dell'amore che, negato, rimpianto, nascosto o finalmente omosessuale fa ricorso a tutte le sue variabili per soddisfare ogni singola aspettativa .
Di fronte allo strabiliante successo della commedia britannica Hollywood, però, non rimane certo a guardare. Prontamente l'industria cinematografica risponde con due commedie interpretate dall'ex pretty woman Julia Roberts che, probabilmente stanca di di camminare lungo la strada s'incorona reginetta delle nozze impossibili. Il matrimonio del mio migliore amico le apre le porte dei wedding movie e le regala uno dei duetti più esilaranti della storia del cinema accanto ad un Rupert Everett magistrale nella sua interpretazione di George, amico gay dal saggio cinismo pronto ad offrirle se non il matrimonio e il sesso, almeno il ballo. Diretto nel 1997 da i P.J. Hogan, alla sua prima esperienza americana dopo l'australiano Le nozze di Muriel, il film contrappone la rossa e volitiva Julianne, temuto critico gastronomico strizzata suo malgrado in un improbabile abito da damigella color lavanda, alla bionda ed eterea Kimmy, sposa romantica interpretata da una Cameron Diaz ancora in attesa dell'affermazione definitiva di Tutti pazzi per Mary.

Oggetto del contendere tra le due è l'amore di Michael (Dermot Mulroney, passato recentemente dietro la macchina da presa proprio con un Love, Wedding, Marriage), che, ad un passo dalle nozze, si lascia tentare dai ricordi di una passione breve ma intensa con Julianne ma non tanto da rovinare la loro amicizia e il matrimonio ormai alle porte. Così, in una girandola conclusiva di baci, presunti tradimenti, inseguimenti e riappacificazioni pubbliche, il film arriva alla sua giusta conclusione guadagnando il favore del pubblico ed un incasso di 300 milioni di dollari. Una conferma economica che, unita alle tre nomination ai Golden Globe (Miglior film, Miglior attore non protagonista e miglior attrice protagonista), deve aver piegato la Roberts al fascino irresistibile della tematica tanto da tentare, a solo due anni di distanza, un'altra avventura in bianco. Questa volta, tornata in coppia con Richard Gere grazie allo zampino del regista Garry Marshall, che decide di riunirli sul set nonostante il fallimento della gestazione del sequel di Pretty Woman, l'attrice affronta la fatica di vestire i molti abiti da sposa di Maggie Carpenter, salita alle cronache come la più caparbia tra le spose in fuga dall'altare.

Se scappi, ti sposo, dopo aver assistito ad una lunga girandola di inadatti pretendenti ai ruoli come Demi Moore, Sandra Bullock, Harrison Ford, Mel Gibson e Michael Douglas, consegna alla cronaca cinematografica la leggenda di "Maggie la mangia uomini" che, con i sue tre quasi mariti ed un quarto pronto a tentare l'ardua impresa, soffre di una particolare quanto bizzarra allergia a contrarre l'impegno coniugale. Un caso che attrae l'arguta attenzione di Ike Graham, reporter di successo momentaneamente caduto in disgrazia e intenzionato a puntare su questa vicenda per il rilancio della sua carriera. Dopo un prevedibile scontro iniziale, l'interesse professionale e le frizioni caratteriali si trasformano in sentimento ed i due sono pronti a rischiare reputazione e futuro lavorativo davanti ad un altare in diretta televisiva. A questo punto riuscirà l'amore a vincere sulle incertezze e a fermare la sposa più veloce d'America? Marshall, dopo un passato televisivo di successo che lo ha visto autore di serie indimenticabili come Happy Days, Laverne & Shirley ,Mork & Mindy, sembra essere il più adatto a dare una risposta semiseria a questa domanda e a trasformare una piccola vicenda da gazzetta locale in un successo al botteghino capace di guadagnare ben dodici milioni di dollari nella sola giornata di apertura.
Se gli anni novanta si concludono con una sposa in scarpe da ginnastica, il nuovo millennio si apre con il più inaspettato e folcloristico matrimonio mai celebrato sul grande schermo. Nato dall'esperienza personale di Nia Vardalos, per l'occasione attrice e sceneggiatrice, il soggetto deIl mio grosso grasso matrimonio greco conquista immediatamente Tom Hanks e Rita Wilson che si avventurano nella produzione di una commedia indipendente girata da Joel Zwick tra il Canada e gli Stati Uniti. Un'intuizione rivelatasi incredibilmente positiva dal punto di vista economico, visto che il film viene ancora oggi considerato come una delle pellicole più ricche del ventunesimo secolo nonostante non abbia mai conquistato la vetta del box office. Attraverso il sempre efficace passa parola, la vicenda di Toula, eroina dalla non usuale avvenenza soffocata dal calore di una famiglia greca chiassosa e fedelmente ortodossa, conquista l'attenzione del pubblico sempre più partecipe del suo amore per l'affascinante Ian Miller, insegnante di letteratura ed appartenente alla società bene di Chicago.

A completare il quadro generale e dare un tocco non indifferente d'umorismo alla vicenda romantica è l'insieme di gaffe culturali che costellano la lunga e impervia strada della strana coppia verso l'altare. In questo modo, dopo più di un decennio di assenza, torna a farsi sentire la tenera invadenza di genitori non sempre ben disposti a cedere il passo di fronte all'evidente felicità dei propri figli. Il ritorno ad una tradizione che, oltre ad ispirare successivamente la "saga" di Ti presento i miei (Mi presenti i tuoi?, Vi presento i nostri), fa de Il mio grosso grasso matrimonio greco un tormentone capace d'ispirare e influenzare i prodotti del piccolo schermo come I Simpson, che alle avventure matrimoniali di Toula e Ian dedicano una puntata della quindicesima serie, ed alcuni reality prodotti dalla Fox (My Big Fat Obnoxious Fiance, My Big Fat Obnoxious Boss). Unico neo negativo di un successo sicuramente non annunciato il precoce fallimento della serie TV My Big Fat Greek Life del 2003,concentrata sulla vita post matrimonio di tutti i protagonisti della vicenda fatta eccezione per John Corbett, diventato l'Aidan Shaw di Sex and the City e sostituito per l'occasione da Steven Eckholdt.

Dunque, confermato definitivamente l'appeal commerciale del genere, gli anni Zero sono caratterizzati da un proliferare di marce nuziali e preparativi per il grande evento da cui le star più note del momento non possono e, probabilmente, non vogliono affrancarsi. Così, ad una Jennifer Lopez impegnata in The wedding planner - Prima o poi mi sposo nei panni di una organizzatrice di matrimoni innamorata suo malgrado dello sposo Matthew McConaughey, risponde la rossa e frizzante Debra Messing, costretta in The Wedding Date ad affittare l'ormai ben noto Dermot Mulroney per non subire la vergogna di presentarsi sola al matrimonio della sorella. Naturalmente, tra piccoli drammi e un desiderio di vendetta nei confronti dell'ex fidanzato presente all'evento, l'amore è inevitabilmente dietro l'angolo. Per una damigella che sembra aver finalmente trovato la sua anima gemella, ne arriva un altra largamente avvezza al ruolo e ugualmente in crisi. Con 27 volte in bianco Katherine Heigl lascia momentaneamente il set di Grey's Anatomy per indossare i 27 abiti da damigella della sua Jane, ragazza dolce e romanticamente attratta dal matrimonio tanto da mettersi a disposizione di qualsiasi sposa. I suoi sogni, però, rischiano di essere infranti dalle nozze della sorella Tess (Malin Akerman) con il bel George (Edward Burns), di cui Jane è segretamente innamorata. A mischiare ulteriormente le carte subentra il personaggio di Kevin (James Marsden), che con il suo cinismo da reporter d'assalto utilizza la bizzarra passione della ragazza a suo vantaggio professionale per poi scoprirsi pentito e innamorato.
Nessun intreccio o dramma nuziale, però, può uguagliare quello vissuto da due amiche del cuore trasformatesi in efferate rivali per vincere la palma della miglior cerimonia. Bride Wars - La mia miglior nemica, diretto da Gary Winick Anne Hathaway e la moderna Kate Hudson in uno scontro all'ultimo bouquet. Tra ricevimenti organizzati nella cornice del Plaza ed abiti firmati Vera Wang, le due si combattono senza esclusioni di colpi per decidere chi tra loro dovrà cedere il passo e lasciare all'altra l'onore di arrivare per prima all'altare. Così, nonostante il lieto fine assicurato, la rivalità femminile che si sviluppa tra pizzi, tulle e confetti crea ancora una volta situazioni di comicità paradossali. Una formula appresa e applicata alla perfezione anche dall'attrice Kristen Wiig, protagonista e sceneggiatrice dell'ultimo nato Le amiche della sposa, prodotto da Judd Apatow, e distribuito dalla Universal dal 19 agosto. Cinque donne insieme possono scatenare l'inferno, soprattutto se in palio c'è la corona di reginetta delle damigelle. Una gara che la goffa Annie non credeva di dover sostenere per partecipare alle nozze dell'amica del cuore Lillian, ma che l'impeccabile Helen è ben decisa a vincere senza lesinare colpi bassi. Eppure, nonostante una prova abiti funestata da un'inopportuna intossicazione alimentare ed un disastroso volo verso Las Vegas terminato con espulsione immediata, può accadere che anche una concorrente si trasformi in alleata, perché nello scintillante mondo dei wedding movie tutto è possibile purché il matrimonio abbia inizio.