Si è soliti dire che gli artisti sono destinati all'immortalità, almeno i migliori. A parlare per loro rimangono, naturalmente le opere che hanno prodotto e che, anno dopo anno, continuano a riprodurre eternamente l'essenza del loro talento. Per quanto riguarda gli attori, poi, questi sembrano destinati a sovvertire anche le regole del tempo e dell'invecchiamento, attraverso un'immagine giovane che viene ripetuta grazie alla proiezione quasi costante dei film che li hanno cristallizzati in momenti diversi.
Per questo si può dire, senza cadere nell'enfasi, che interpreti come Marilyn Monroe, Cary Grant o Jack Lemmon hanno toccato l'immortalità continuando ad essere presenti nella quotidianità culturale di molte generazioni. Questo, naturalmente, è quanto accade con la costruzione del mito, ma ci sono dei casi particolari in cui la scomparsa di un interprete è stata in qualche modo oscurata e rimandata dalla successiva uscita di film in post produzione nel momento della sua morte.
Robin Williams, le ultime risate
Gli americani, che amano trovare un nome per tutto, hanno definito questi casi particolari come Final Picture Show, inserendo in una lista nemmeno troppo corta, molti titoli recenti. E a sollevare nuovamente l'argomento in queste settimane è proprio l'uscita di Notte al museo - Il segreto del faraone che, oltre a chiudere definitivamente la fortunata trilogia iniziata nel 2007, verrà ricordato soprattutto come una dell'ultime apparizioni di Robin Williams sul grande schermo. Qui l'attore, scomparso la scorsa estate, torna a vestire la divisa del fiero Theodore Roosvelt che, dopo aver preso vita nel primo capitolo, continua ad accompagnare Ben Stiller tra i misteri di altri musei. Questa volta l'azione si svolge a Londra nelle stanze del British Museum, dove la bizzarra compagnia formata da Lancillotto, Roosvelt, Ottaviano, Attila e il cow boy Jedediah, dovrà salvare la magia della tavola di Ahkmenrah. Il film, inoltre, segna un altro elemento poco lieto, mostrando anche l'ultima interpretazione di Mickey Rooney, un attore forse meno noto alle generazioni più giovani, ma che ha frequentato il cinema da così tanto tempo da sembrare immortale nel vero senso della parola.
Il gigante James Dean
Ad aprire idealmente questa carrellata sui Final Picture Show, però, è Il gigante, film diretto nel 1956 da George Stevens e interpretato, oltre che da Elizabeth Taylor e Rock Hudson, anche dall'ormai leggendario James Dean. L'attore, venuto improvvisamente alla ribalta con La valle dell'Eden di Elia Kazan diventa icona culturale e rappresentate di una gioventù che in lui vede riflesse le inquietudini dell'età. Ma se a fare di lui una stella sono solamente due film, tra cui Gioventù bruciata, a trasformarlo in un mito è l'incidente mortale avvenuto il 30 settembre 1955. L'attore, amante delle auto veloci e delle gare automobilistiche, è alla guida della sua Porche 550 Spyder quando si scontra frontalmente con la Ford Costum Tudor guidata da uno studente. In quel modo si chiude una delle carriere più fulminanti di Hollywood e si comincia a costruire la storia mitologica di chi è caro agli dei. L'uscita postuma de Il Gigante, naturalmente, ha contribuito a velocizzare questo processo. Nel momento dell'incidente infatti Dean, che nel film interpreta il self made man del petrolio Jett Rink, non ha ancora terminato le riprese anche se si era arrivati alle fasi finali. Per questo la produzione è costretta a sostituire l'attore con una controfigura offrendo l'ultima grande uscita di scena di un giovane attore trasformato eternamente in gigante.
La maledizione di Brandon Lee
Le leggi dello spettacolo sono spietate, per questo non c'è da stupirsi se un film utilizza la scomparsa tragica del suo protagonista quasi come lancio pubblicitario. Un caso su tutti potrebbe essere Il corvo che, ad essere onesti, se non fosse stato per la morte tragica di Brandon Lee sul set, figlio del più celebre Bruce Lee, avrebbe goduto di una visibilità minore. Ma proviamo a ricostruire quanto successo. Il film, tratto dall'omonimo fumetto di James O'Barr e diretto da Alex Proyas, esce nelle sale nel 1994 facendo leva su di una spinta pubblicitaria insolita. Infatti, il protagonista è morto accidentalmente sul set durante le riprese con un colpo di pistola. Alla fine del film mancavano solo tre giorni e la produzione, nonostante le molte difficoltà tra cui la defezione di alcuni attori dopo la tragedia, riusce a terminare il film utilizzando controfigure e trucchi digitali. Tanta fatica, però, viene ricompensata al box office, visto che il pubblico accorre in massa nel tentativo di individuare la scena incriminata, naturalmente tagliata dalla versione definitiva e rifatta con degli stuntman.
Heath Ledger e la maschera da Oscar di Joker
Chi ha avuto la possibilità di avvicinare Heath Ledger ha capito immediatamente di trovarsi di fronte ad un ragazzo schivo, tendenzialmente timido e con un mondo interiore piuttosto complesso. Oltre a questo, o forse proprio per tutti questi motivi, l'attore australiano è stato considerato uno dei talenti in ascesa più interessanti. Così, quando la notizia della sua morte, avvenuta per overdose nell'appartamento di Soho a New York, ha fatto il giro del mondo la mattina del 22 gennaio 2008, in molti hanno avuto forte la sensazione di una grande perdita. La conferma, poi, che Ledger, andandosene, lasciava un vuoto considerevole nell'arte cinematografica è arrivata qualche mese dopo grazie all'interpretazione di Joker ne Il cavaliere oscuro. Qui, diretto da Christopher Nolan, non solamente mette in ombra il Batman Christian Bale e Jack Nicholson, suo predecessore di epoca burtoniana, ma veste la maschera del villain con un dolore e una profondità mai vista prima. E per prepararsi al ruolo l'attore passò sei settimane isolato in una stanza d'albergo prendendo ispirazione da fumetti come The Killing Joke e Arkham Asylum, e basandosi su personaggi come l'Alex DeLarge diArancia meccanica e il mito malato di Sid Vicious. In questo modo ha dato vita, considerando le sue stesse parole, ad "uno psicopatico senza coscienza delle sue azioni, un sociopatico assoluto, un assassino di massa a sangue freddo" che l'Academy premia con tanta commozione e un Oscar postumo.
Ledger, però, ha continuato a sopravvivere a se stesso per molto tempo anche grazie al lavoro non ultimato sul set di Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo. A subire il colpo della perdita del suo protagonista e della sospensione momentanea del progetto è, naturalmente, il regista Terry Gilliam. Deciso a non perdere il lavoro fatto dall'attore fino a quel momento e a trasformare il film in un vero e proprio tributo a Ledger, il regista inglese sceglie di utilizzare tre diversi interpreti, Johnny Depp, Colin Farrell e Jude Law per dare volto alle diverse personificazioni del protagonista Tony. Così, attraverso la magia di uno specchio magico, introdotto come novità di emergenza nella sceneggiatura, Ledger è riuscito a sopravvivere, nonostante tutto, congedandosi su un palcoscenico internazionale come quello della croisette del Festival di Cannes.
James Gandolfini, il boss del New Jersey
"Un'incommensurabile tristezza. Era un uomo speciale, un grande talento, che con il suo straordinario senso dell'umorismo, il suo calore e il suo rispetto, ha toccato molte persone". Con queste parole la HBO ha commentato la morte di James Gandolfini, avvenuta il 19 giugno 2013 a Roma. Quello che i produttori de I Soprano non sapevano, però, è che l'attore avrebbe continuato ad essere presente sul grande schermo per un certo tempo grazie ai film in lavorazione. Il primo titolo ad uscire postumo è stato Non dico altro, diretto da Nicole Holofcener. Qui, accanto a Julia Louis-Dreyfus, Gandolfini da vita ad una storia d'amore matura tra due adulti disillusi dalla vita e dai sentimenti. Il secondo titolo molto atteso, con il quale ci si congederà dall'attore, almeno per quanto riguarda il futuro, è The Drop, Chi è senza colpa, basato sul racconto Animal Rescue di Dennis Lehane. Con Tom Hardy nei panni di un ex criminale di Brooklyn, Gandolfini contribuisce a definire le atmosfere di una storia personale di ricostruzione nonostante gli avvenimenti contrari. Il film, presentato al Toronto Film Festival, uscirà nella sale italiane il 19 marzo 2015.
Philip Seymour Hoffman, A Most Wanted Actor
Philip Seymour Hoffman era un professionista serio, di quelli che arrivano puntuali e sostengono tutto l'iter promozionale del film senza nemmeno battere un ciglio. Oltre, naturalmente, a esibire un talento completo e istrionico. Sarà per questo che la sua morte, avvenuta nell'appartamento di New York probabilmente per overdose, ha gettato una profonda tristezza sul mondo del cinema. Premio Oscar per Truman Capote - A sangue freddo, protagonista di alcune piace di teatro e dominatore, insieme a Joaquin Phoenix, del film The Master, con la sua scomparsa ha messo in evidenza quanto sconforto ci sia nel trovarsi di fronte ad un percorso artistico interrotto brutalmente e che avrebbe ancora potuto dare molto. Perché una delle domande più frequenti è stata proprio questa; cosa altro avrebbe potuto fare? Di quale altra prova sarebbe stato capace nel corso degli anni? Le risposte ovviamente non ci sono e non le sapremo mai. Quello, però, che l'attore ha lasciato in "eredità" è il suo passato e, cosa ancora più importante, il futuro più prossimo rappresentato da due titoli: Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte 1 e La Spia - A Most Wanted Man. Scomparso a pochi giorni dalla fine del terzo capitolo della saga fantasy, l'attore non ha subito alcun rimaneggiamento digitale rimanendo naturale nella sua interpretazione per scelta di Francis Lawrence. "Gli mancavano solo due scene di dialogo da fare, e alla fine abbiamo deciso di non utilizzare nessun trucchetto digitale con lui - ha dichiarato il regista - abbiamo quindi riscritto le scene e dato i suoi dialoghi ad altri attori. È stato uno degli attori più grandi di tutti i tempi, cercare di fingere la sua performance con il digitale avrebbe avuto effetti disastrosi. Dopo tutto ciò che è successo, credo fosse la scelta migliore." Nessun problema, invece, sembra esserci stato per La Spia, diretto da Anton Corbijn, ispirato al romanzo di John Le Carrè. Qui, nel ruolo di Günther Bachmann, a capo di un'unità segreta di spionaggio tedesca, Hoffman si accomiata dal suo pubblico, promettendo però di rincontrarci nuovamente in quella terra senza tempo chiamata cinema.