Cinema italiano, la stagione 2003/2004

Di recente, abbiamo assistito a un ritorno in auge del cinema italiano, con un gran numero di film nelle sale, e soprattutto con produzioni di varia natura ma anche di qualità altalenante.

Il mondo del cinema è fatto molto spesso di fenomeni periodici, in cui un determinato genere conosce maggior successo. Di recente, abbiamo assistito a un ritorno in auge del cinema italiano, con un gran numero di film nelle sale, e soprattutto con produzioni di varia natura ma anche di qualità altalenante. Certamente è un fenomeno abbastanza ampio e articolato ed effettivamente è possibile riscontrare una grande varietà di temi nei film di cui parleremo, è questo il sintomo di un certo risveglio a livello di ispirazione da parte di autori e registi italiani.

Andando ad analizzare meglio il passato recente, è doveroso ricordare il grande (e meritato) successo riscosso da due opere quali Io non ho paura di Gabriele Salvatores e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio. E' giusto spendere qualche riga per il film di Salvatores tratto dall' omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti; una storia torbida, ambientata nelle assolate campagne del Sud Italia, che mette in scena il passaggio del protagonista, (interpretato dal giovanissimo Giuseppe Cristiano) da un'età di gioia e spensieratezza ad una di crescita interiore e di maggiore consapevolezza del proprio essere. Un film coraggioso, innovativo sia dal punto di vista visivo che da quello contenutistico, accolto molto calorosamente al Festival di Berlino e che ha rappresentato l'Italia nelle selezioni per l'Oscar 2004 come miglior film straniero. Il secondo, in concorso a Venezia, accompagnato tra l'altro da grandi critiche, e alla fine quasi snobbato dalla giuria, è risultato comunque essere una pellicola molto valida, che rilegge il caso Moro senza però limitarsi a una semplice ricostruzione dei fatti, ma narrando la vicenda privata dei personaggi che ruotarono attorno al caso, con tutte le loro contraddizioni, le loro emozioni e anche i loro pentimenti; in questo modo realizza un sincretismo tra ricostruzione storico - sociale e pura "fiction", per usare un termine molto gettonato in questo periodo.

Continuando sul filo del "film-indagine" da segnalare Segreti di stato, di Paolo Benvenuti, che racconta la storia di un avvocato che, durante il processo tenutosi nel '51 contro i membri della banda Giuliano per la strage di Portella della ginestra, non è convinto dei risultati a cui aveva portato l'inchiesta e decide di intraprendere un personale cammino di indagine per cercare di scoprire la "vera verità" sull'eccidio. Un film che ha il pregio di stimolare riflessioni e interrogativi importanti, di non lasciare indifferenti, con un Antonio Catania calato in un ruolo molto difficile e che forse, con questo lavoro, ha dimostrato per la prima volta di essere un buon attore che sa adattarsi ai più diversi copioni. Sempre seguendo lo stesso filone, indicativo di una commistione tra fedeltà storica e pura invenzione, ricordiamo La meglio gioventù, lunga epopea di Marco Tullio Giordana sulle trasformazioni epocali avvenute in Italia negli ultimi decenni. Il titolo è lo stesso di una raccolta di poesie friulane di Pier Paolo Pasolini, e il film è un grande affresco generazionale tra il 1966 e i giorni nostri. Lo script mette in luce, di ognuno dei personaggi, tutte le vicende interiori oltre che il rapportarsi con una società che muta continuamente nei suoi tratti caratteristici, in un insieme di grande respiro che, nonostante le origini da fiction per la tv, ha il respiro di un'opera importante e il ritmo del grande film.

Il cinema nostrano non ci ha fatto mancare neanche le storie d'amore, inserite in contesti molto diversi tra di loro, con risultati più o meno esaltanti, comunque apprezzabili. E' il caso, per fare un esempio, di Prendimi l'anima di Roberto Faenza, bellissima rievocazione del sofferto rapporto tra lo psichiatra Gustav Jung e la sua paziente Sabina Spielrein; pellicola delicata e intelligente nella scelta di raccontare la vicenda attraverso il diario della stessa Sabina e la vicenda parallela di una ricercatrice che si immedesima nel passato della giovane, fondatrice degli "asili bianchi". Anche Pupi Avati ci ha proposto il suo ultimo lavoro, Il cuore altrove, con l'inedita coppia formata da Neri Marcorè e Vanessa Incontrada (nel ruolo di una ragazza cieca). Certamente una love-story atipica, con i due attori protagonisti che rendono bene l'impaccio dell'incontro e del rapporto amoroso tra un vedente e una non vedente. In particolare Marcorè dà voce a un personaggio molto particolare, distaccato eppure dall'animo profondo. Meno convincente la Incontrada, che, al suo esordio, sembra un po' ignorare i canoni dell'attività recitativa.

In tema di storie d'amore, delusioni e mal di cuore, propositi eroici e disfatte sorprendenti (per citare Italo Svevo) non è possibile dimenticare Gabriele Muccino e il suo Ricordati di me, opera che non si scosta assolutamente dal registro usuale del regista che abbiamo imparato a conoscere con L'ultimo bacio; Muccino ci regala, anche in questo caso, la storia di una famiglia borghese in cui moglie e marito si ritrovano ad essere sempre più distanti e meno presenti l'uno nella vita dell'altro, figli che coltivano aspirazioni da star della tv e altre amenità del genere. Più interessante l'ultimo lavoro del regista de Le fate ignoranti, Ferzan Ozpetek, che si è proposto per l'appunto con La finestra di fronte, una grande prova interpretativa di Giovanna Mezzogiorno, oltre a un non molto convincente Raoul Bova, per la prima volta con l'onere di interpretare un personaggio più calmo, ma caratterizzato male dal punto di vista psicologico. Da citare il significativo debutto alla regia per il maestro Franco Battiato, con il suo Perduto amor che parte da buone premesse ma le sviluppa in maniera un po' ingenua e semplicistica (ma comunque apprezzabile).

Per un esordio importante, vi è stato un gran numero di ritorni che hanno meritato l'attenzione del grande pubblico. Innanzitutto Ermanno Olmi, molto apprezzato in passato per Il mestiere delle armi e L'albero degli zoccoli, con Cantando dietro i paraventi, storia di una piratessa cinese che riprende i temi della tradizione orientale e della vendetta, come avevamo già visto in Kill Bill: Volume 1 di Quentin Tarantino. Deludente, invece, il ritorno di Dario Argento con Il cartaio, thriller dai risvolti che si avvicinano decisamente ai molti prodotti per la televisione di qualità infima. Per contro, esaltante l'ultimo lavoro di Ciprì e Maresco, Il ritorno di Cagliostro. I due registi palermitani, dopo Totò che visse due volte, ci regalano un piccolo gioiello, forse poco apprezzabile da chi non mastica il dialetto siciliano, ma assolutamente eccezionale per tutte le interpretazioni e anche per un plot che non lascia spazio a critiche. Davvero un prodotto da rivalutare e da far conoscere a tutti.

Arrivando a pellicole più recenti, abbiamo il giovane ma promettente Matteo Garrone con la sua opera seconda, cioè Primo amore, storia di un uomo affascinato dalle donne anoressiche e di una sua vittima, raccontata con notevole onestà registica. Sicuramente una ottima conferma di un regista dalle grandi capacità. Non tralasciamo infine Non ti muovere, di Sergio Castellitto, tratto dal romanzo scritto dalla di lui moglie Margaret Mazzantini. Il film, ancora nelle nostre sale, racconta la storia di un chirurgo che ripercorre una parte della propria vita in una sorta di racconto alla figlia che, dopo un grave incidente, si trova in sala operatoria tra la vita e la morte. Lungi da noi dissertare su quanto del libro sia rimasto nella pellicola, ci sembra in ogni caso che Castellitto sia riuscito, seppur con qualche esagerazione, a ricostruire le atmosfere giuste e a rievocare dialoghi e situazioni con buona proprietà registica.

Come abbiamo ancora modo di vedere, questo fenomeno tutto italiano sembra non accennare al calo, ma continua fra alti e bassi, talvolta con prodotti degni di nota, talaltra con opere inguardabili. Vedremo se il cinema italiano riuscirà a resistere, oppure tornerà nell'oblìo in cui è rimasto per molti anni in passato. Ai posteri l'ardua sentenza.