Per gli amanti del cinema d'intrattenimento il mese di febbraio 2018 è quello di Black Panther, il diciottesimo lungometraggio del Marvel Cinematic Universe, scritto e diretto da Ryan Coogler (Prossima fermata: Fruitvale Station, Creed - Nato per combattere). A due anni di distanza da Captain America: Civil War ritroviamo il principe T'Challa (Chadwick Boseman), orfano di padre in seguito alle macchinazioni di Helmut Zemo e ora costretto ad assumersi le responsabilità associate al trono di Wakanda, nazione africana che, all'insaputa del mondo esterno, gode di prosperità tecnologica grazie alla presenza del vibranio, il metallo più resistente del pianeta. Il film di Coogler è uno di tre film prodotti da Marvel Studios in uscita quest'anno: tra un paio di mesi toccherà ad Avengers: Infinity War, il kolossal di Anthony Russo e Joe Russo che mette in scena lo scontro tra gli Avengers e il perfido Thanos, con i Guardiani della Galassia a dare manforte ai nostri eroi; in estate invece arriverà Ant-Man and the Wasp, secondo episodio delle avventure dell'uomo capace di cambiare le proprie dimensioni (con l'aiuto, questa volta, della controparte femminile). Tre film, ciascuno con la propria importanza narrativa e strategica per l'operazione cinematografica della Marvel, su cui però spicca proprio Black Panther per una serie di motivi. Ecco quali, senza spoiler.
Leggi anche: Black Panther: la Marvel affonda gli artigli con un film coraggioso e di grande intrattenimento
Completamente da solo
Per la prima volta da diversi anni abbiamo a che fare con un film Marvel perfettamente autoconclusivo, cosa che non si può dire per le due prossime uscite: Infinity War, come spiegato più volte dai registi e dal produttore Kevin Feige, rappresenta il culmine di dieci anni di storyline del MCU, dal primo Iron Man ad oggi, e richiederà quindi un minimo di conoscenze pregresse per farsi apprezzare in toto; Ant-Man and the Wasp invece, pur raccontando una storia più piccola (in tutti i sensi), è comunque un sequel, e quindi non del tutto scollegato da quanto visto in altri film (per l'esattezza, il primo Ant-Man e Civil War). Black Panther, pur basando parte della sua premessa sul film corale del 2016, dove Boseman ha esordito nei panni di T'Challa, contestualizza il tutto senza richiedere la visione della precedente apparizione del protagonista, e non pone neanche le basi per Infinity War, per lo meno non in modo esplicito (solo i fan duri e puri che conoscono anche il fumetto coglieranno alcune allusioni molto sottili). Il film di Coogler esiste - letteralmente - in un mondo a parte, collocandosi nel contesto dell'universo espanso come una storia con un inizio e una fine, un po' come Wonder Woman per la DC lo scorso anno. E a proposito di mondi a parte...
Leggi anche: Black Panther, ecco chi è il supereroe nero che si prepara a "graffiare" il marvel Cinematic Universe
Benvenuti nel Wakanda!
Finora, tutti i film del MCU hanno avuto al loro centro personaggi americani (compreso Peter Quill in Guardiani della Galassia) o, nel caso di Thor, un essere ultraterreno che ama passare il tempo negli Stati Uniti, in un mondo riconoscibile e simile al nostro (con una certa predilezione per New York, storico luogo di residenza di molti eroi Marvel nei fumetti). Black Panther, al di là di alcune brevi sequenze ambientate in California e a Londra e una trasferta leggermente più lunga in Corea del Sud, si focalizza interamente sulla nazione fittizia di Wakanda, un microcosmo nascosto sotto gli occhi di tutti, un luogo che contraddice fieramente la concezione della giungla africana come simbolo di una cultura primitiva e arretrata. È un posto dove le tradizioni tribali convivono perfettamente con sviluppi tecnologici che farebbero impallidire persino Tony Stark (d'altronde gli autori del film hanno dichiarato che in termini di intelligenza Shuri, la sorella di T'Challa e responsabile dell'apparato tecnico-scientifico di Wakanda, batte il miliardario losangelino). Il successo maggiore di Black Panther sta forse proprio in quello: la creazione tematica e visiva di un mondo inedito, la cui importanza per il futuro del franchise non è da trascurare.
Leggi anche: L'invasione dei supereroi: guida ai cinecomics di prossima uscita
Non il solito eroe
L'altra caratteristica comune degli eroi Marvel precedenti è il loro essere persone più o meno comuni catapultate in situazioni a loro ignote (quello un po' meno comune, Thor, ha fatto il su debutto sullo schermo in esilio sulla Terra, privato dei propri poteri). T'Challa invece è perfettamente nel suo elemento, dovendosi solo adattare a un cambiamento di statuto al quale è preparato sin da bambino. Non c'è la classica origin story poiché quando l'abbiamo incontrato in Civil War il principe di Wakanda aveva già ereditato il ruolo di Pantera Nera dal padre (un fumetto ufficiale svela che il passaggio di consegne è avvenuto prima che Tony Stark diventasse Iron Man), e a differenza dell'attuale sovrano di Asgard che non ha mai voluto assumersi le proprie responsabilità prima degli eventi di Thor: Ragnarok, T'Challa è pronto per ciò che lo attende, sia a casa che nel mondo esterno. Certo, la strada è ancora lunga (Coogler ha affermato che nell'ipotetico sequel gli piacerebbe mostrare il protagonista con alcuni anni di esperienza sul trono), ma le basi sono state poste da tempo, e pertanto il difensore di Wakanda è un eroe atipico nel contesto del franchise: già perfettamente formato, con un bagaglio culturale e spirituale di non poco conto, fondamentale per ciò che verrà dopo.
Leggi anche: Marvel Cinematic Universe: la nostra guida alla saga dei supereroi
L'importanza del sottotesto
Come ribadito più volte dalle persone coinvolte, Black Panther è il primo film Marvel - e il primo film di supereroi - ad avere un cast quasi interamente afroamericano (tra le poche eccezioni citiamo Martin Freeman e Andy Serkis, che tornano nei panni di Everett Ross e Ulysses Klaue). Un dettaglio dovuto alla natura della storia raccontata, ma anche un elemento forte sul piano tematico, con una riflessione socio-politica ancora più forte dei discorsi sulla libertà individuale e l'affidabilità del governo di cui si è parlato nei due sequel di Captain America: il primo vendicatore. Coogler, cresciuto con il pestaggio di Rodney King e il processo a O.J. Simpson, nonché autore del già menzionato Fruitvale Station dove si affronta apertamente la questione delle ingiustizie nei confronti dei cittadini di colore negli USA, pone al centro la questione razziale, mescolando la componente spettacolare e d'intrattenimento con un pensiero non banale sulle condizioni non facili in cui vivono le minoranze etniche ovunque nel mondo (questo contribuisce anche al fascino dell'antagonista principale, un soldato che ha vissuto sulla propria pelle i vari soprusi che vorrebbe eliminare). Non abbiamo a che fare con il primo film Marvel ambientato in un presente non tanto lontano dal nostro, ma raramente si è visto un racconto di supereroi talmente attuale.