Dai troll agli spoiler: come internet ha rovinato la passione per il cinema

Passiamo in rassegna i modi in cui internet ha aggiunto connotazioni negative al modo in cui vediamo e apprezziamo i film.

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Shazam!: una scena con Zachary Levi e Mark Strong

Il 26 febbraio 2019 il sito Rotten Tomatoes, il più noto aggregatore di recensioni cinematografiche online, ha tolto agli utenti la possibilità di commentare un film prima dell'uscita. Questo perché tale opzione, legato alla sezione del sito dove gli internauti potevano cliccare su "Voglio vederlo" o "Non mi interessa" per i titoli non ancora arrivati nelle sale, era divenuta l'oggetto di un abuso sistematico per stroncare i film a priori. In particolare, le tre gocce che fecero traboccare il vaso furono Captain Marvel (preso di mira per le dichiarazioni di Brie Larson su una maggiore diversificazione nell'ambito della critica), Star Wars: Episodio IX (parte di una campagna di odio che va avanti da alcuni anni nei confronti delle donne che lavorano al franchise, davanti e dietro la macchina da presa) e Shazam! (perché il protagonista Zachary Levi si schierò contro le persone che attaccavano Larson).

Non è la prima volta che il portale ha dovuto adottare misure drastiche contro chi commetteva atti abusivi: nell'estate del 2012, quando andarono online le prime recensioni de Il cavaliere oscuro - Il ritorno, i pochi critici che ne parlarono in termini negativi ricevettero minacce di morte nei commenti (alcune di queste erano ironiche, poiché citavano la battuta di Bane "Quando Gotham sarà ridotta a cenere, avrai il mio permesso per morire"), e fu quindi rimossa la possibilità di commentare le singole recensioni sul sito, con la necessità di cliccare sul link e accedere alla testata di partenza. Questi sono solo due esempi di come internet ha rovinato la passione per il cinema, contribuendo in modo negativo a come viviamo e apprezziamo film (e serie TV), una tendenza allarmante che abbiamo voluto analizzare nel dettaglio.

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A tutto spoiler!

David Prowse e Mark Hamill in una scena de L'impero colpisce ancora
David Prowse e Mark Hamill in una scena de L'impero colpisce ancora

"Se internet fosse esistito nel 1980, non sarebbero riusciti a tenere nascosto il finale de L'impero colpisce ancora!" Una frase di per sé errata (sul set, per evitare fughe di notizie, fecero dire a Darth Vader "Obi-Wan ha ucciso tuo padre!"), ma che riassume perfettamente uno dei grandi problemi dell'audiovisivo ai tempi della rete: lo spoiler. Una questione spinosa che negli ultimi anni ha generato una scissione dei comportamenti: da un lato c'è chi vuole avvicinarsi al film sapendone il meno possibile e si arrabbia se la recensione del critico o della testata di fiducia contiene spoiler; dall'altro, c'è chi vuole sapere tutto subito, andando proprio oltre la pratica - che esiste anche sul nostro sito, per dire - di formulare ipotesi su un sequel molto atteso per scovare spoiler sicuri, talvolta con fini loschi: mentre scriviamo queste righe Shazam! non è ancora uscito nelle sale, ma ci sono state delle anteprime aperte al pubblico negli Stati Uniti. Qualcuno ha filmato una scena in particolare e l'ha diffusa sui social, nel tentativo di convincere gli spettatori a non andare a vedere il film. Il motivo? "Farla pagare" alla Warner Bros. per quanto accaduto con Justice League e il successivo riassestamento creativo del DC Extended Universe.

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Benedict Cumberbatch, Chris Pine e Zachary Quinto nella prima immagine ufficiale di Star Trek Into Darkness
Benedict Cumberbatch, Chris Pine e Zachary Quinto nella prima immagine ufficiale di Star Trek Into Darkness

La stessa industria cinematografica non sempre aiuta, come dimostrano le polemiche sui trailer che svelano troppo (il più recente è Pet Sematary). C'è chi si sforza per ricreare quel clima più innocente, d'altri tempi, come Christopher Nolan o J.J. Abrams, anche se quest'ultimo ha poi ammesso di aver esagerato quando, in sede di marketing per Into Darkness - Star Trek, decise di occultare la vera identità dell'antagonista (che i fan avevano intuito da tempo). Dal canto suo, James Gunn ha subito messo le mani avanti sul padre di Peter Quill in Guardiani della Galassia Vol. 2, spiegando che se non lo avesse svelato lui sarebbe comunque finito in rete mesi prima dell'uscita, e che in ogni caso non si trattava di un colpo di scena. Viviamo in un'epoca in cui chi fa meme sul finale di Avengers: Infinity War una settimana dopo l'uscita rischia il linciaggio, mentre è perfettamente lecito parlare di spoiler più attempati senza chiedersi se l'interlocutore ha visto o meno i film in questione. Tanto lo sanno tutti che Darth Vader è il padre di Luke, che Bruce Willis era un fantasma, che nella scatola c'era la testa di Gwyneth, che La moglie del soldato in realtà era il marito e che Marion Crane muore dopo 45 minuti, vero? Va però anche detto che a volte la fobia dello spoiler raggiunge vette a dir poco grottesche: qualche anno fa, chi scrive fu criticato per aver svelato il finale della prima stagione di Mr. Robot... in un bilancio di metà stagione della seconda!

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Rotten Tomatoes e il dilemma del pomodoro

Batman v Superman: Henry Cavill tiene in mano la maschera di Batman
Batman v Superman: Henry Cavill tiene in mano la maschera di Batman

Altro tasto dolente, quello del già citato Rotten Tomatoes, il cui scopo primario è semplice: raccogliere in un unico luogo numerose recensioni, dando all'utente un'idea generale di come è stato accolto un determinato film e la possibilità di leggere i pareri dettagliati dei singoli critici (e qui urge il primo chiarimento: il sito stesso non fa critica, si limita ad aggregare recensioni esterne scritte da vari professionisti del settore). Il problema è che molti fraintendono quella funzione, per colpa di quel pomodoro gigante accompagnato da una percentuale: non si tratta della media dei voti, ma semplicemente del numero di critici che hanno assegnato un voto positivo (per dire, un film le cui recensioni fossero tutte da tre stelle su cinque avrebbe comunque una percentuale a tre cifre). A questo si aggiunge il problema del sistema binario di Rotten Tomatoes: il prodotto è o "fresco" o "marcio", senza vie di mezzo come invece si può fare su un altro aggregatore, Metacritic (il quale però presenta altri problemi, poiché la media dei voti si alza o abbassa in base al giudizio di singoli critici che hanno un peso maggiore). Dovendo scegliere tra "sì" e "no", capita spesso che venga percepito come odiato un film che in realtà ha diviso (vedi Batman v Superman: Dawn of Justice, la cui percentuale di recensioni positive è 27%, mentre la media dei voti è 4.9/10).

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Ant-Man and the Wasp: Paul Rudd in una scena del film
Ant-Man and the Wasp: Paul Rudd in una scena del film

È un sistema facilmente fraintendibile, contro il quale si sono scagliati anche registi, non per forza vittime di percentuali basse (tra questi c'è Martin Scorsese), sottolineando quanto l'aggregatore, se interpretato male, possa essere dannoso per la critica cinematografica e per come il pubblico normale percepisce il film. Su quel sito la via di mezzo non è contemplata, e lo stesso ragionamento circola liberamente in rete, dove ormai esistono solo due metri di giudizio: "capolavoro" e "boiata". Soprattutto quando si parla di grosse produzioni americane, i cui fan, almeno online, sono praticamente divisi in tribù, l'atteggiamento possessivo nei confronti di quei lungometraggi è tale che persino una recensione da tre stelle su cinque può essere vista come un affronto o, peggio ancora, un qualche tipo di mistero ("Ma insomma, ti è piaciuto o no?"). Questo, abbinato alle incomprensioni su come funziona Rotten Tomatoes, ha portato al grande luogo comune in base al quale i due grandi brand della Disney, la Marvel e la Lucasfilm, agli occhi della critica sfornino solo capolavori. In realtà, nella maggior parte dei casi, sono considerati film discreti, un divertimento piuttosto solido e relativamente innocuo. Solo che, anche per come si presenta il sito, alcuni pensano che Ant-Man and the Wasp (vera media dei voti: 6.9/10) sia ritenuto una pietra miliare o quasi per via di quell'89%, che in realtà è solo il numero di critici che, come minimo, hanno scritto "si può vedere".

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I network (anti)sociali

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Dulcis in fundo, parliamo dei social network, principalmente Facebook, Twitter e YouTube, piattaforme che hanno portato a una non indifferente degenerazione del modo in cui comunichiamo a proposito del mondo in generale: in un'era in cui tutti sono connessi a intervalli regolari, e hanno una vasta gamma di informazioni a disposizione, il lettore/spettatore si è paradossalmente fatto meno attento, più pigro, spesso pronto a liquidare una notizia o un articolo dopo averne letto solo il titolo. Un fenomeno che ha portato alla sempre maggiore diffusione di fake news (nel vero senso del termine, ossia notizie fasulle) e teorie complottistiche, poiché i rispettivi autori sanno che chi riesce a farsi abbindolare da una determinata pagina o un canale YouTube difficilmente andrà a verificare le fonti (spesso inesistenti) o la notizia autentica che il troll di turno sta travisando (basti pensare alla voce, assolutamente infondata e diffusa da movimenti come ComicsGate, su un presunto montaggio alternativo di Avengers: Endgame senza Carol Danvers in caso Captain Marvel fosse andato male al botteghino, o a chi pensa che James Gunn sia un pedofilo a causa di vecchi tweet contenenti battute di dubbio gusto su tematiche come l'abuso sessuale). Ne sa qualcosa Mark Hamill, che proprio alcune settimane fa, in un'intervista, ha dovuto ribadire che i fan non dovrebbero estrapolare frasi specifiche, fuori dal contesto originale, per far credere che l'interprete di Luke Skywalker sia tra i detrattori di Star Wars: Gli ultimi Jedi.

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E proprio il rapporto tra i creatori - registi, sceneggiatori, musicisti, attori - e i fan è l'elemento che ha forse risentito di più dell'espansione informatica. Se da un lato, infatti, può far piacere interagire con persone che apprezzano il lavoro fatto (questo vale anche nell'ambito della critica e del giornalismo, dove soprattutto Facebook e Twitter possono creare un dialogo interessante con i lettori), dall'altro il contatto più o meno diretto può rapidamente trasformarsi in un clima ostile, soprattutto quando si tratta di titoli longevi e molto amati, di cui i fan si considerano per certi versi proprietari. Basti pensare a qualche anno fa, quando uscì il nuovo Ghostbusters tutto al femminile: al di là di considerazioni legittime sulla scelta di realizzare un reboot e su eventuali gusti personali quanto alla vis comica delle quattro protagoniste, ci fu un tale profluvio di invettive puramente misogine che quando Jason Reitman, attualmente al lavoro su un nuovo film che è ambientato nello stesso universo dei primi due, ha dichiarato che la sua versione "restituirà il franchise ai fan", ha poi dovuto precisare che a lui il reboot di Paul Feig era piaciuto. Passando a un altro franchise, James Wan, regista di Aquaman, ha dovuto apertamente chiedere ai propri ammiratori di non insultare o aggredire coloro che non apprezzano il film (e nei giorni scorsi ha deciso di prendersi una pausa da Twitter, presumibilmente per motivi legati al clima tossico che domina la rete). Chi invece non è proprio presente sui social è George Lucas, il quale forse sta gongolando adesso che gli stessi fan che con le loro lamentele continue lo spinsero a vendere la Lucasfilm alla Disney stanno chiedendo a gran voce che lui torni a occuparsi della galassia lontana lontana...