Jonathan Demme sbarca al Napoli Film Festival 2010

Il regista americano ha parlato dei suoi progetti alla stampa partenopena in attesa del suo "Incontro ravvicinato" con il pubblico del Festival, che si avvicina alla conclusione della sua dodicesima edizione.

Ad un giorno dalla sua conclusione, l'edizione 2010 del Napoli Film Festival accoglie uno degli ospiti più attesi: Jonathan Demme, il regista premio Oscar per il Silenzio degli innocenti. Come per Riccardo Scamarcio, Isabella Ferrari e Pupi Avati che lo hanno preceduto, il cineasta americano è in città per dedicarsi al pubblico del Festival partenopeo nell'ambito degli Incontri ravvicinati che danno vita alle serate della manifestazione, prima della proiezione del suo Rachel sta per sposarsi.
Quella di Demme è una figura a sè nel panorama mondiale, un autore di primo livello che non si è mai lasciato coinvolgere dal mondo dello star system, alternando successi ad opere più rivolte all'impegno sociale: dagli esordi nel gruppo di Roger Corman a thriller come Il segno degli Hannan ed Il silenzio degli innocenti, a commedie di successo come Una vedova allegra ma non troppo o film su temi scottanti come Philadelphia, che valse l'Oscar al protagonista Tom Hanks ed alla canzone firmata da Bruce Springsteen, fino a regie per concerti per artisti come i Talking Heads, sembra essere proprio la varietà una delle sue caratteristiche distintive.
Le sue tematiche e la sua visione di cinema sono venute fuori nell'incontro con la stampa napoletana, alla quale ha sottolineato il fascino generato in lui dalla città. "Napoli è veramente una città straordinaria" ha dichiarato in conclusione dell'incontro "e sono felice di averla scoperta. E il Napoli Film Festival è una manifestazione che parla ai giovani, capace di raccogliere e combinare i cineasti esordienti ed il cinema del passato. Ed è un onore essere qui."

Ha dichiarato che le piacerebbe incontrare Enzo Avitabile, approfittando del suo arrivo a Napoli. Come nasce l'interesse verso questo artista locale?
Si tratta di una storia un po' vecchia. Tra l'altro ho visitato i quartieri antichi di Napoli ed ho avuto modo di comprare tre CD che non ero riuscito a trovare a New York. Tutto nasce dieci anni fa radio, ascoltando una radio di New York, ed in particolare un programma intitolato New Sounds, condotto da John Schaefer. Quella puntata era sul nuovo suond da Napoli e ricordo che pensai che potesse essere interessante. Il primo musicista presentato fu proprio Avitabile, con il suo CD in collaborazione con Kitaro. Quella sera scoprii anche la musica anche di Daniele Sepe ed il disco Spaccanapoli, sul quale mi documentai e scoprii che il titolo si riferiva al nome di un quartiere che esiste realmente in città. E' così che ho scoperto la musica napoletana. In particolare di Avitabile mi colpirono gli aspetti interculturali ed il sound che trovai entusiasmante. Per questo la prima mia richiesta qui è stata di poter incontrare l'artista e mi auguro che si possa realizzare prima della mia partenza.

Può raccontarci a cosa sta lavorando adesso? Si era parlato di un documentario su Bob Marley e di un film di animazione.
Per quanto riguarda il film su Marley, è un progetto a cui ho lavorato per anni, ma purtroppo i finanziatori non ne erano convinti e quindi non si farà, con mio grande dispiacere. Negli ultimi sei mesi, invece, ho lavorato ad un film d'animazione ispirato dal romanzo di Dave Eggers Zeitoun. E' la vera storia di una famiglia americana mussulmana, che è stata portata via dall'inondazione successiva a Katrina. Invece di mettere in piedi un disaster movie con molti effetti speciali, ho preferito farne un film d'animazione. Inoltre sono stato al lavoro per cinque anni a New Orleans, tornandoci ogni tre o quattro mesi per vedere la situazione delle famglie che cercano di tornare nei quartieri in cui abitavano prima dell'uragano, con l'intento di farne degli home movies ed ho realizzato un documentario di un'ora che verrà trasmesso dalla PBS. Inoltre, e questa è una notizia dell'ultim'ora, sono coinvolto in progetto a New York con Jeff Bridges, dal titolo The Angriest Man in Brooklyn.

Dirigerà lei questo film?
Sì, lo farò io. Lo script è già stato scritto ed è la versione americana di un film isrlaeniano dal titolo 92 Minutes of Mr Baum. All'inizio della storia il personaggio di Jeff è molto arrabbiato e scopre che ha solo 92 minuti da vivere, quindi il film è su quello che lui deciderà di fare in questo tempo. Le riprese si terranno nella prima metà del prossimo anno, quindi nella primavera del 2011. Ancora non ci sono altri attori coinvolti perchè è un progetto recentissimo, ma ci sono molti ruoli bellissimi per i quali devo ancora fare il cast. Il direttore della fotografia sarà Declan Quinn, lo stesso di Rachel sta per sposarsi.

Con Zeitoun è la prima volta che si dedica all'animazione?
Sì, infatti sto imparando molto al riguardo. Mi devo istruire sulla tecnica.

Ha avuto come attrice Anne Hathaway in ruolo impegnato, mentre all'inizio si era messa in evidenza con la commedia. Cosa la spinge a scegliere un interprete? Le piacerebbe dirigere un attore o attrice in particolare?
Anne secondo me è una grandissima attrice, capace di fare tutto ed è anche una bravissima cantante e ballerina. E' bello lavorare con qualcuno che il pubblico crede di conoscere ed impiegarlo in modo originale, diverso dal solito. Lo stesso farò con Jeff che per esempio ha fatto già film brillanti, come Il grande Lebowski, ma nel mio film dovrà affrontare un vero ruolo comico a tutti gli effetti. Le migliori commedie sono quelle che raccontano una storia vera e con un attore come lui sono convinto che verrà fuori una commedia straordinaria.
Quanto alla domanda, mi piacerebbe dirigere Meryl Streep, ma anche tanti altri, per esempio Evangeline Lilly di Lost.

Ha lavorato a film che parlano di tragedie e drammi attuali, ma anche pregiudizi come in Philadelphia. Come pensa che si possa superare questo tipo di problema?
Credo che il modo migliore per affrontare un pregiudizio sia di incontrare e conoscere le persone verso le quali lo abbiamo, perchè spesso si accompagna alla paura ed alla mancanza di conoscenza.

Lei ha fatto la spola tra documentario e fiction. Quali sono le peculiarità espressive che preferisce e che tipo di impostazione preferisce per i suoi lavori?
In definitiva penso che sia la stessa molla che mi spinge sia nel documentario che nella finzione. L'elemento fondamentale deve essere l'emozione, qualunque sia il mezzo per esprimerla, è questo che mi porta ad interessarmi ad una storia. Può essere un'emozione di felicità, ma anche qualcosa di più cupo. I miei film presentati qui al Festival sono diversi, ma hanno questo elemento in comune: da una parte una storia vera che parla di persone reali per cui provavo qualcosa di forte; dall'altra una storia di finzione che parla di personaggi ai quali ho voluto ugualmente bene. Mi piace alternare entrambe le impostazioni ed ho avuto la fortuna di averlo potuto fare in questi anni. In generale scelgo sulla base dell'entusiasmo per il soggetto e questo entusiasmo deriva da quanto mi accade nella vita ed alle persone che mi circondano.

Con un film come Qualcosa di travolgente ha contaminato i generi. C'è ancora spazio oggi per fare film di questo genere?
In questo momento stanno accadendo due fenomeni paralleli: da una parte è più difficile fare film che si presentano idiosincratici, con storie diverse o che fondono generi. Questo perchè nell'ambiente mainstream quando si investono molti soldi si punta a fare dei blockbuster, senza voler rischiare troppo. Dall'altra parte l'emergere di nuove tecnologie digitali meno costose sta facendo venire fuori nuovi filmaker in grado di fare cose originali, che però devono riuscire a trovare la loro collocazione e spesso non riescono ad uscire dal circuito dei festival e raggiungere il grande pubblico. E' difficile fare qualcosa di originale, ma soprattutto farlo con una major. Per questo è molto emozionante per me una manifestazione come il Napoli Film Festival, che in modo molto incisivo dà spazio alle realtà locali, ai giovani cineasti perchè possano realizzare i loro progetti per mostrarli al festival, incoraggiandoli ad essere coinvolti. Una dimensione fantastica a cui va il mio plauso.

Lei ha fondato un'associazione di cineasti per sostenere Nelson Mandela, un argomento d'attualità, visto che domani iniziano i mondiali di calcio in Sud Africa. Lei segue il calcio? Che rappresentano questi mondiali per quel paese?
Mi piace vedere il calcio, ma non capisco niente di quello sport e quindi lo guardo da incompetente. Al riguardo vorrei citare Bob Marley: lui era fanatico di calcio e diceva che lo sport è molto bello e piacevole da guardare e praticare, ma si preoccupava che troppo spesso si finiva per dare troppa attenzione all'evento sportivo e poco agli altri problemi del mondo e che lo circondano. Secondo me questo vale anche per il Sud Africa: è bene che ci siano i mondiali là, ma parliamo di tutto il contesto in cui accade, perchè i problemi lì sono tanti e non finiscono con l'aver ospitato una manifestazione di questa portata.

Qual è il suo lavoro di cui è più orgoglioso?
Quello che ho visto più recentemente è The Agronomist, ed erano tre anni che non lo vedevo, quindi al momento è questo. Un mio amico dice che ogni volta che ci vediamo è la cena migliore che abbia mai consumato, ma è la migliore perchè è quella che sta vivendo in quel momento. La mia risposta va vista in questo senso.

Nel corso degli anni ha dimostrato una passione per i documentari. Da cosa deriva e su chi vorrebbe farne uno?
Tutti cresciamo amando la musica, è una delle cose che più appassiona tutti e col tempo impariamo ad amare i generi che più fanno al caso nostro. E' uno dei sentimenti più forti che proviamo e come cineasta ho potuto associare questo amore a quello per il cinema che ho conltivato con grande entusiasmo. Per questo sono molto legato ai film-concerto che ho realizzato, da quello su Neil Young a quello sui Talking Heads: lì si tratta di musica allo stato puro perchè è direttamente la ripresa di un concerto. E' quello che mi ha dato la più grande soddisfazione e che spero di poter continuare a fare. Essendo qui, mi risulta facile rispondere che mi piacerebbe fare qualcosa con Enzo Avitabile, una collaborazione con questo straordinario artista e la città di Napoli come protagonista del mio film.

Per quanto riguarda i suoi film-concerto, in quei casi la sua macchina da presa sembra un elemento del gruppo che dialoga con gli strumenti. Come arriva ad ottenere questo effetto? Come si pone quando filma un evento live?
Cerco di lavorare con operatori che sono musicisti a loro volta e che quindi sanno assecondare i movimenti naturali degli interpreti sul palco, sapendo come muoversi per anticiparli e che tipo di riprese fare, quando usare un primo piano, quando allargare per comprendere altri elementi della band, e così via. Ogni volta dico loro "fate una ripresa che sia talmente bella che mi diventa impossibile usare le altre angolazioni a mia disposizione". Questo perchè non mi piace tagliare molto in questo tipo di riprese, perchè secondo me rende artificiosa la scena, meno spontanea. E' importante l'armonia tra musica ed immagini: mi torna in mente Pont de Varsòvia del regista di Barcellona Pere Portabella, quello è un film fatto sulla musica, è una dichiarazione d'amore per la città, che ne coglie in pieno la creatività dal punto di vista musicale ed architettonico. Mi è venuto in mente oggi perchè Napoli mi ricorda Barcellona, qui andando in giro si percepisce lo stesso tipo di creatività, ho incrociato i migliori graffiti che abbia mai visto.

Questo concetto di spontaneità è riscontrabile anche negli altri suoi lavori, non solo in quelli musicali. Cosa ne pensa?
Il mio viaggio come cineasta, dai giorni di Roger Corman ad oggi, è stato un continuo imparare e dettato da due tendenze principali: all'inizio ho dovuto imparare a fare il regista; ho iniziato a lavorare con Corman a 27 anni e ancora non capisco come ho avuto questa opportunità. Allora pensavo che il regista debba essere quello che dice ad ognuno quello che deve fare, ma col tempo ho capito che forse per me il dirigere poteva essere anche fare un passo indietro e lasciare gli attori di talento liberi di esprirsi liberamente. Da questo punto di vista è più un lavoro di ricezione, di incoraggiamento agli altri. Anche per Rachel sta per sposarsi è stato un atto di invenzione collettiva, in cui mi sono limitato a mettere insieme un gruppo di talenti e catturare quello che veniva fuori.

In The Truth about Charlie ha citato Trouffaut e la nouvelle vague, mentre The Manchirian Candidate sembra una rilettura de La caduta degli dei di Visconti. Il suo è un cinema in continuo divenire, sempre aperto ed in movimento, non statico.
Da cineasta che ama i film, che è prima di tutto cinefilo, ho visto cose che mi sono rimaste dentro alle quali a volte ho voluto fare un omaggio; altre volte viene fuoti la volontà di prendere qualcosa che funziona e farlo proprio, di riutilizzarlo. Charlie era il mio tentativo di voler condividere la gioia della new wave e farla diventare gioia anche per il pubblico. Col tempo mi sono allontanato dagli omaggi, cercando di fare qualcosa di unico, cercando di elaborare scelte più personali.

C'è già un'idea per la la colonna sonora del nuovo film The Angriest Man in Brooklyn? Visto che Lost è finito, potrà provare a scritturare Evangeline Lilly?
Perchè no, è un'idea, visto che ho così tanti bei ruoli da affidare. Dal punto di vista musicale, per esempio per Philadelphia Springsteen fu coinvolto dopo la fine delle riprese, per è stato diverso il caso di Rachel sta per sposarsi, in cui la composizione è legata al film e vediamo i musicisti nell'atto di comporre, ma quello è stato un caso isolato. In questo caso penso che a lavoro completato mi renderò conto di che tipo di musica sarà necessaria. D'altra parte parliamo di Brooklyn, che come melting pot è simile a Napoli e ci saranno sicuramente tante occasioni.