Il grande cinema d'autore europeo: 10 film da riscoprire

Tra importanti festival internazionali, circuiti d'essai e titoli in cerca di distribuzione, ecco uno sguardo d'insieme sul cinema d'autore europeo degli ultimi anni attraverso dieci film apprezzatissimi ma talvolta 'invisibili' e da (ri)scoprire.

Nell'odierna realtà distributiva italiana, qual è lo stato di salute del cinema d'autore? Esiste ancora un solido pubblico di affezionati attenti alle realtà del grande cinema europeo o la fortuna dei titoli più 'sofisticati' è basata su fattori più occasionali e imprevedibili? Sicuramente, la vittoria di un premio prestigioso o la candidatura all'Oscar sono elementi che possono contribuire in misura determinante al successo di film di questo tipo, così come la partecipazione di attori affermati può garantire una discreta visibilità anche ad un 'piccolo' film d'autore. In tal senso, il pubblico italiano ha dimostrato di saper rispondere con entusiasmo alla proposta di pellicole che si sono rivelate dei casi cinematografici non solo tra il pubblico di inossidabili cinefili: basti pensare a recenti film di culto quali Shame, che ha contribuito a far conoscere il regista Steve McQueen e il divo Michael Fassbender; ai notevoli risultati riscossi al box-office italiano da film estremamente apprezzati (e ricompensati, in edizioni diverse, al Festival di Cannes) come Amour di Michael Haneke, Melancholia di Lars von Trier e The Artist di Michel Hazanavicius, ricompensato addirittura da una pioggia di Oscar; o ancora i casi più recenti de La vita di Adèle di Abdellatif Kechiche, Palma d'Oro a Cannes 2013, e di Philomena di Stephen Frears, molto applaudito allo scorso Festival di Venezia e plurinominato agli ultimi Oscar.

Se film come quelli appena citati si sono dimostrati delle scommesse pienamente vinte da parte di distribuzioni quali BIM, Teodora e Lucky Red, che forniscono un contributo essenziale nel mantenere vivo e vegeto il cinema d'autore in un mercato non certo benevolo nei confronti di titoli più originali o 'impegnativi', non sempre tuttavia le pellicole d'essai provenienti dall'Europa riescono ad ottenere la meritata visibilità, perfino quando possono vantare riconoscimenti o partecipazioni importanti presso festival come Cannes, Venezia o Berlino. A tentare di richiamare il pubblico nelle sale oggi c'è Alabama Monroe - Una storia d'amore, il melodramma belga di Felix Van Groeningen che ha conteso invano l'Oscar a La grande bellezza e che è appena approdato nelle nostre sale, così come aveva fatto nelle scorse settimane Nymphomaniac, il nuovo film di Lars von Trier, un dittico interamente incentrato sulla sessualità che ha spaccato in due critica e pubblico. Per l'occasione, quindi, abbiamo pensato di proporvi una mini-rassegna di "gioiellini invisibili": dieci titoli emblematici, prodotti in dieci paesi differenti, che nonostante una distribuzione molto limitata nelle sale italiane si sono fatti notare ed apprezzare per la qualità e lo stile innovativo, e che meritano pertanto di essere riscoperti e recuperati da un pubblico più ampio possibile...

Once (Irlanda)

Realizzato a bassissimo costo, con una telecamera a mano e un budget di appena 130.000 euro, Once può davvero essere annoverato tra quei "film miracolosi" nati come delle piccole, audaci scommesse fino a raggiungere, passo dopo passo, un sorprendente successo internazionale. Prodotto nel 2006, presentato al Sundance Film Festival 2007 e arrivato in Italia soltanto nel 2008, il lavoro del regista irlandese John Carney segue con piglio quasi documentaristico due personaggi senza nome: un giovane musicista di Dublino (il cantautore Glen Hansard, vocalist del gruppo The Frames, ingaggiato per sostituire Cillian Murphy) con l'ambizione di incidere un album e una ragazza madre (la diciottenne Markéta Irglová) originaria della Repubblica Ceca, che decide di suonare insieme a lui e provare a realizzare insieme il sogno di diventare dei veri cantanti. Due anime unite dalla comune passione per la musica per un film caratterizzato da un romanticismo delicato e sognante, mai stucchevole, e in cui le canzoni fungono da perfetto contrappunto al vissuto dei due personaggi. E il dolcissimo brano Falling Slowly, composto dai due protagonisti, si è perfino aggiudicato l'Oscar per la miglior canzone originale.

Glen Hansard e Markéta Irglová in una sequenza del film Once (2006) un film di John Carney
Glen Hansard e Markéta Irglová in una sequenza del film Once (2006) un film di John Carney

Lasciami entrare (Svezia)

Lungometraggio d'esordio del regista svedese Tomas Alfredson, Lasciami entrare ha rinnovato in profondità i codici del vampire-movie tanto in voga negli ultimi anni con un racconto horror che si propone al contempo come un commovente film sul coming of age e sulla perdita dell'innocenza. Basato sull'omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, che ha curato anche la sceneggiatura del film, Lasciami entrare si è rivelato uno dei maggiori successi di critica del 2008, tanto da aver ispirato, due anni più tardi, anche un remake in lingua inglese, l'altrettanto lodevole Blood Story di Matt Reeves. Ambientato a Stoccolma nell'inverno del 1981, Lasciami entrare adotta la prospettiva di Oskar (Kåre Hedebrant), dodicenne solitario e introverso, vessato dai suoi compagni di scuola, il quale stringe un'improvvisa amicizia con la coetanea Eli (Lina Leandersson), che si è appena trasferita nel suo quartiere. Alla scoperta dei sentimenti - e di un segreto sconvolgente - da parte del giovanissimo Oskar corrisponde una catena di sanguinari omicidi, in una magistrale fusione fra suspense, introspezione e formidabili suggestioni visive.

Racconto di Natale (Francia)

Uno dei nuovi maestri del cinema francese, Arnaud Desplechin, attualmente nelle nostre sale con Jimmy P., al Festival di Cannes 2008 ha presentato in concorso il suo capolavoro: Racconto di Natale, straordinario ritratto familiare al vetriolo costruito attorno alla matriarca Junon Vuillard, affetta da una grave forma di leucemia e impersonata sullo schermo da una regale Catherine Deneuve. In occasione delle festività natalizie in casa dei coniugi Vuillard si riunisce una tribù di figli e nipoti, legati da rapporti in cui l'affetto filiale o fraterno convive con malcelati risentimenti e con tensioni pronte ad esplodere alla prima scintilla. In perfetto equilibrio fra dramma e commedia, e con un sapiente registro ironico che attraversa l'intera narrazione, Desplechin dipinge dunque in maniera superba una comédie humaine del tutto priva di buonismi, ma nella quale al contrario la capacità di osservazione e di analisi psicologica è veicolata da uno stile di spiccata originalità. E gestisce come meglio non si potrebbe un cast di talenti purissimi del cinema d'oltrealpe, fra cui Mathieu Amalric, Anne Consigny, Melvil Poupaud, Emmanuelle Devos e il veterano Jean-Paul Roussillon, ricompensato con il premio César.

Lourdes (Austria)

Léa Seydoux e Sylvie Testud in una scena del film Lourdes
Léa Seydoux e Sylvie Testud in una scena del film Lourdes
Presentato in concorso al Festival di Venezia 2009, Lourdes è il film più apprezzato della regista austriaca Jessica Hausner: una riflessione lucida e asciutta sul concetto di fede religiosa e sul rapporto dell'essere umano con la sfera del sacrale, condotta mediante uno stile asettico e rigoroso, benché non privo di sottili notazioni ironiche. Ad offrirci la propria prospettiva su Lourdes, lo storico santuario dedicato alla Madonna, meta costante di migliaia di credenti e di pellegrini, spesso nella speranza di un miracolo, è Christine, una donna affetta da sclerosi multipla e costretta sulla sedia a rotelle, impersonata dalla francese Sylvie Testud (che per questo ruolo ha ricevuto lo European Film Award come miglior attrice). Accompagnata da una giovanissima suora di nome Marie (Léa Seydoux), Christine, che non crede in Dio e osserva con indifferenza e scetticismo quanto accade attorno a lei, si ritrova ad essere la beneficiaria di un'improvvisa quanto inspiegabile guarigione... che si tratti forse di un miracolo?

Cella 211 (Spagna)

Tratto dal romanzo omonimo di Francisco Pérez Gandul e diretto da Daniel Monzón, Cella 211 è un eccellente dramma carcerario che nel 2009 ha riportato un clamoroso successo in Spagna, coronato dalla vittoria di ben otto premi Goya. Amalgamando un rigoroso realismo nella ricostruzione dell'ambiente (quasi l'intero film è ambientato fra le pareti di un istituto di detenzione di massima sicurezza) con la suspense e i ritmi serratissimi di un thriller, Cella 211 mette in scena la rivolta di un gruppo di detenuti guidati dal feroce ed autoritario Malamadre (Luis Tosar). Coinvolto suo malgrado nell'insurrezione è Juan Oliver (Alberto Ammann), un giovane secondino al suo primo giorno di lavoro, che per scampare alla furia collettiva decide di fingersi anch'egli un galeotto e, in una situazione estrema, instaura un inaspettato rapporto di fiducia con il leader dei rivoltosi. Teso e avvicente, Cella 211 si fa ammirare anche in virtù della sua capacità di penetrare nelle ambiguità e nelle intime contraddizioni dei personaggi, in un sottile gioco di potere dall'esito tutt'altro che scontato.

Alberto Ammann e Luis Tosar in un'immagine del film Cella 211
Alberto Ammann e Luis Tosar in un'immagine del film Cella 211

...E ora parliamo di Kevin (Gran Bretagna)

La negazione dell'amore materno: un tabù inconfessabile declinato in un reciproco rapporto di dipendenza e di odio tra una madre e un figlio. Basato sullo straordinario romanzo di Lionel Shriver e diretto con spiazzante originalità dalla regista scozzese Lynne Ramsay, E ora parliamo di Kevin è uno di quei capolavori dal fascino visionario in grado di stamparsi in maniera indelebile nella memoria dello spettatore. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2011, il film della Ramsay è un'opera tenebrosa e potente, che prende vita davanti ai nostri occhi attraverso lo stream of consciousness della sua protagonista, Eva Khatchadourian, interpretata da una magnifica Tilda Swinton, che grazie alla sua stupefacente performance ha conquistato lo European Film Award come miglior attrice. Ad incarnare gli incubi della donna, in questa progressiva ed inarrestabile "discesa all'inferno", è suo figlio Kevin, che ha lo sguardo luciferino del giovanissimo Ezra Miller, impegnato con la Swinton in un serrato confronto psicologico dal quale trapela un sottile, insostenibile carico di violenza; fino ad arrivare ad un epilogo a dir poco agghiacciante, che sublima in maniera semplicemente perfetta una dolorosa riflessione sulle radici più nascoste del Male.

Oltre le colline (Romania)

Beyond the Hills: Cosmina Stratan in una scena tratta dal film
Beyond the Hills: Cosmina Stratan in una scena tratta dal film
Quattro anni dopo aver conquistato la Palma d'Oro con l'apprezzatissimo 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il regista rumeno Cristian Mungiu è tornato a raccogliere consensi in occasione del Festival di Cannes 2012 con Oltre le colline, un dramma ambientato fra le mura di un monastero ortodosso dei nostri giorni e ispirato a un reale fatto di cronaca. Mantenendo un impeccabile rigore stilistico e narrativo per tutte le due ore e mezza di durata, Mungiu ci fa vivere e respirare questo ambiente quasi fuori dal tempo, ancorato a tradizioni antichissime e ad una concezione della fede che spesso sfiora la superstizione, e riesce a descrivere con grande acume psicologico il rapporto fra le due protagoniste: Voichita (Cosmina Stratan), una giovane novizia legata al proprio voto e ai principi della vita monastica, e la sua amica Alina (Cristina Flutur), con la quale Voichita aveva condiviso l'infanzia in un orfanotrofio e per la quale ora sente di provare sentimenti più forti e inaspettati. Premiato a Cannes per l'interpretazione delle due attrici e per la sceneggiatura di Mungiu, Oltre le colline ha confermato appieno il talento di una delle voci più interessanti del cinema dell'Europa dell'Est.

Il sospetto (Danimarca)

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2012, dove ha ricevuto il riconoscimento per il miglior attore allo straordinario Mads Mikkelsen, vincitore dello European Film Award per la miglior sceneggiatura e in lizza all'ultima edizione degli Oscar come miglior film straniero, Il sospetto rappresenta una delle "punte di diamante" del cinema scandinavo degli ultimi anni. Sceneggiato e diretto dal regista danese Thomas Vinterberg, ex sodale del Dogma 95 di Lars von Trier e già autore dell'apprezzato Festen - Festa in famiglia, Il sospetto mette in scena il calvario di un uomo, Lucas, che conduce una serena esistenza in una piccola cittadina di provincia: separato, ha un figlio adolescente, Marcus (Lasse Fogelstrøm), che porta con sé a caccia, lavora in un asilo, è amatissimo dai suoi scolari e frequenta la collega Nadja (Alexandra Rapaport). Ma quano una bambina, Klara (Annika Wedderkopp), racconta qualcosa di inquietante sul suo conto, Lucas si ritrova improvvisamente al centro di un'autentica "caccia alle streghe", bollato da un sospetto infamante e ridotto ai margini da una comunità che lo ha condannato in partenza. Vinterberg si sofferma proprio sulla dimensione collettiva della vicenda, mettendo in scena sospetti, isterismi e violenza con una stupefacente intensità emotiva, ben coadiuvato dalla fenomenale interpretazione di Mads Mikkelsen.

Oh Boy, un caffè a Berlino (Germania)

Vi ricordate Antoine Doinel, ovvero Jean-Pierre Léaud, il goffo e un po' stralunato protagonista di un famoso ciclo di film di François Truffaut? A testimonianza del fatto che l'eredità di quel cinema è tuttora viva e presente, un erede diretto di Doinel (addirittura citato in una delle canzoni del film) è Niko Fischer, ragazzo spiantato, privato della patente e alla vana ricerca di un caffè, in Oh boy, un caffè a Berlino, deliziosa commedia scritta e diretta dall'esordiente Jan Ole Gerster, ricompensata con sei German Film Award nel 2013 e premiata come miglior opera prima agli European Film Award. In un affettuoso omaggio alla Nouvelle Vague, evidente sia nella libertà dell'approccio narrativo, sia nella scelta di una poetica fotografia in bianco e nero (e in tal senso Gerster strizza l'occhio anche al Woody Allen di Manhattan), Oh boy, un caffè a Berlino ci racconta una giornata nella vita del suo giovane protagonista, impersonato dal bravissimo Tom Schilling: incontri, speranze, delusioni ed amare autoanalisi, nel tentativo quasi inconsapevole di uscire dalla propria solitudine. E di rado abbiamo visto al cinema una Berlino tanto bella e romantica.

Oh Boy!: Tom Schilling in una sequenza del film
Oh Boy!: Tom Schilling in una sequenza del film

Walesa (Polonia)

Walesa. Man of Hope: Robert Wieckiewicz è Lech Walesa in una scena
Walesa. Man of Hope: Robert Wieckiewicz è Lech Walesa in una scena

Presentato fuori concorso in occasione della 70° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, e in uscita prossimamente anche nelle sale italiane, Walesa è il nuovo film di uno dei massimi maestri del cinema mondiale, il polacco Andrzej Wajda, 88 anni appena compiuti, da sempre acuto osservatore e sapiente narratore della Storia del proprio paese (e non solo). E in Walesa, Wajda sceglie di ricostruire circa un ventennio di attività e di lotte politiche di una delle figure fondamentali della Polonia del Novecento: Lech Walesa, carismatico leader di Solidarnosc, la prima organizzazione sindacale indipendente nata nell'Europa sovietica, e destinatario del premio Nobel per la pace nel 1983. Con l'intensità del grande cineasta, ma al contempo con il rigore e la lucidità dello storico, Wajda ricostruisce le importanti campagne intraprese da Walesa a favore dei diritti dei lavoratori e in direzione di una vera democrazia in Polonia (riprendendo dunque i temi di uno dei suoi precedenti capolavori, L'uomo di ferro), in un serrato braccio di ferro con il regime sovietico; e trova nell'attore Robert Wieckiewicz un convincente e validissimo protagonista.