"Vedevo l'orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all'entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo" (M. Shelley)
Cosa lega l'incubo di una giovane scrittrice vissuta nell'Ottocento alla recente visione di un regista settantenne? È curiosa ma allo stesso tempo atavica la connessione cerebrale che lega il parto onirico di Mary Shelley all'immaginazione di Ridley Scott. Leggenda vuole che l'autrice inglese, dopo una notte insonne (e ovviamente buia e tempestosa) passata a parlare di fantasmi, abbia dato vita ad uno dei romanzi più celebri e influenti della letteratura gotica, ovvero Frankenstein, un libro il cui titolo è stato adottato in maniera molto significativa. In tanti, infatti, hanno confuso e confondono la creatura con il creatore, chiamando Frankenstein l'assemblato di cadaveri che compone "il mostro" della storia. Perché è questo che succede quando analizziamo il frutto del progresso: lo mettiamo al nostro cospetto, ci poniamo davanti allo specchio delle nostre ambizioni. Ambizione e progresso, ovvero quello che ha spinto l'eroico titano Prometeo a rubare il fuoco agli dei per cederlo all'umanità. Se vi state ancora chiedendo cosa lega l'incubo della giovane scrittrice alla recente visione di un regista settantenne, la risposta è proprio lui: Prometeo, la celebre figura mitologica citata nel secondo titolo dell'opera di Shelly (Il Nuovo Prometeo) e nel titolo del prequel di Alien, il tanto controverso Prometheus.
Dal 1979 ad oggi, l'umanità di esploratori immaginata da Ridley Scott ha rubato il fuoco agli dei, ha creato automi e intelligenze artificiali, ma avverte comunque l'esigenza di viaggiare alla scoperta dei suoi stessi creatori. Nella saga di Alien l'essere umano è in mezzo a due forze: è creatore di creature meccaniche ed è figlio alla ricerca dei propri padri originari. In questa oscura e torbida epopea spaziale, tutto ci porta a temere il mostro, ad avere paura di entità organiche fameliche e bavose, eppure l'elemento artificiale è più preponderante di quanto si possa pensare. Ce lo ricordano il computer di bordo Mother, che in Alien dà di fatto inizio alla carneficina nello spazio profondo risvegliando l'equipaggio e agisce da silente deus ex machina, oppure l'impassibile ufficiale scientifico Ash, che scopriamo essere un androide per il quale tutto l'equipaggio della Nostromo è sacrificabile.
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Senza dimenticare il glaciale e composto androide David di Michael Fassbender che, in Prometheus, parla del suo aspetto umano svelando il bisogno umano di rassicurazioni nel suo rapporto col diverso: "Sono stato progettato così perché gli uomini sono a loro agio solo se interagiscono con esseri simili". Copia esatta di David è, invece, Walter, protagonista dell'imminente Alien: Covenant che vi invitiamo a scoprire con un cortometraggio realizzato in collaborazione con AMD intitolato appunto Meet Walter. Un tema, quello dell'altro meccanico, che ha sempre catturato i sogni bionici del cinema. Lo ha fatto grazie alla fantascienza più ispirata, che proietta sul grande schermo paure e ansie contemporanee, dando forma tangibile oppure astratta allo spauracchio tecnologico. Oggi il tema ritorna in auge con Alien: Covenant, che promette di tornare sul tema dell'intelligenza artificiale senza dimenticare le fauci degli xenomorfi. Così abbiamo deciso di avventurarci nel grande cinema dedicato a cyborg, androidi e realtà virtuali, alla tecnologia che si ribella o viene braccata, a nemici solidi, ad anime di software e a città composte da codici binari. Tra odissee e lacrime nella pioggia, per rivedere cose che noi umani possiamo immaginare bene solo a soltanto al cinema.
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1. Distopia verticale: Metropolis
Abissi sociali, persone come anonime rotelle di uno spietato ingranaggio, una città-persona dove il nobile cervello è tenuto distante dalle affaticate braccia del popolo. Mancano solo nove anni all'avvento del cupo e disperato 2026 immaginato cento anni prima da Fritz Lang, e il debito che il cinema fantascientifico deve al suo immaginifico Metropolis non è ancora stato estinto. Visionario, distopico e succube di una città mostruosa nel suo essere sfacciatamente classista, il capolavoro di Lang ha nel suo contesto urbano il suo antagonista più aberrante, ma quando la donna-robot irrompe nel film ruba la scena e ne diventa il simbolo. Un automa capace di ammaliare, di essere persino attraente e di ingannare lo sguardo degli uomini che la scambiano per la donna di cui è solo la copia artificiale. In Metropolis il corpo meccanico è un involucro beffardo come una tecnocrazia da cui nascono obbrobri classisti.
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2. La filastrocca di HAL - 2001: Odissea nello spazio
Non sapremo mai se gli androidi sognano pecore elettriche, ma è certo che ci sono computer in grado persino di cantare vecchie filastrocche. Il giro girotondo di HAL 9000 è forse tra i momenti più stranianti e disturbanti di quel capolavoro di 2001: Odissea nello Spazio, opera illuminante nonostante la profonda e cupa inquietudine che ne permea ogni meravigliosa inquadratura. Nel suo spazio dilatato e sovraccarico di elementi simbolici, Stanley Kubrick non cede al fascino della sovraesposizione e rappresenta l'intelligenza artificiale puntando sulla sottrazione: una voce, un occhio, due colori. Il rosso e il nero compongono lo sguardo fermo, sempre vigile e invasivo di HAL 9000, computer di bordo che controlla, decide, muove gli essere umani come burattini. Nella sua grandiosa riflessione sull'evoluzione umana, sulla conoscenza e sull'inconoscibile, Kubrick invita l'intelligenza artificiale in un ansiogeno gioco psicologico fatto di sì, di no, di permessi, negazioni e soprattutto di segreti. Sono proprio le complesse variabili umane, le sfumature di senso a comporre il virus letale per una delle entità artificiali più raffinate di sempre.
3. Più umano dell'umano - Blade Runner
"Io non sono nel business. Io sono il business". I più romantici la chiamerebbero androide, i più smaliziati semplicemente manichino, oggetto al servizio dell'essere umano. In ogni caso, dalle parole di Rachael emerge una tragica e lucidissima autocoscienza. È sempre stato questo il punto focale di ogni intelligenza artificiale: avere consapevolezza di sé. Ed è qui che insiste Ridley Scott con il suo capolavoro Blade Runner, un film immerso in una Los Angeles mai così cupa e fumosa, talmente oscura da rendere difficile distinguere l'umano dal meccanico. Il film segue i passi di Deckard, incaricato di ritirare replicanti ritenuti ribelli, ma quello che ci viene presentato come una caccia al nemico, un duello tra opposti, sfocia in una commovente similitudine. Incuneandosi nelle anime ferite dei suoi androidi, Blade Runner sfrutta il cyborg per definire l'umano, regala ad ogni replicante una personalità, un preciso modo di vestire, esprimersi, sentire e commuovere, come quando Roy è posto dinanzi alla prospettiva di una fine. Grande fantascienza che non va via come lacrime nella pioggia, per rimanere indelebile come un dubbio martellante: e se anche Deckard fosse un replicante?
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4. Nelle viscere del computer - TRON
Quando parole come gamification e realtà virtuale non erano ancora entrate di prepotenza, Tron arrivava nei cinema cercando di forzare delle regole cinematografiche ancora non pronte a cambiare. Troppo avanti e troppo oltre per essere apprezzato e digerito come avrebbero meritato, il film di Steven Lisberger è diventato un cult col passare degli anni, grazie alla sua capacità finalmente riconosciuta di predire il potere del ludico nella società occidentale. In Tron l'uomo si rimpicciolisce per entrare letteralmente all'interno di un computer dove tutto ciò che è digitale diventa tattile e visibile. I software si trasformano in alleati, le schede madri in strade e le unità di calcolo centrali prendono le sembianze di severi dittatori.
5. Quel maledetto 1997 - Terminator
C'è una cameriera che ha studiato bene la lezione scritta da un'eroina spaziale. Una lezione che le è valsa la sopravvivenza. L'ingenua e indifesa Sarah Connor dai capelli cotonati arriva qualche anno dopo la Ellen Ripley di Alien, giusto in tempo per imparare come si sopravvive ad un tremenda e inarrestabile caccia. Questa volta lo spietato predone alle calcagna di una donna pronta a fuggire (e a contrattaccare) non è una viscida creatura, ma un monolitico cyborg dallo scheletro metallico che non conosce pietà. Testarda e programmata per seguire in maniera ligia i propri scopi senza aprirsi mai al dialogo, in Terminator l'intelligenza artificiale ha tanti volti e molte forme. Nel presente ha le fattezze granitiche del T-800 di un Arnold Schwarzenegger ancora acerbo, che Cameron sfrutta in quanto pura e spudorata fisicità dalla grande presenza scenica. Dal futuro, però, arriva l'eco inquietante di un'intelligenza artificiale molto più complessa, ormai padrona del mondo. Nel mondo assoggettato alle macchine immaginato da James Cameron, Skynet è il nome di uno spauracchio, la sigla di una rete neurale di supercomputer che si ribella contro l'umanità. Non a caso molti ritengono il 1997, anno della sua attivazione, come la vera data dall'Apocalisse. Altro che Maya.
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6. Quale software dentro l'hardware? - Ghost in the Shell
Una città talmente impersonale da non meritare nemmeno un nome. Anno 2029. In uno psuedo-Giappone futuristico gli abitanti totalmente umani sono merce rara. Ogni individuo è composto da innesti cibernetici, migliorato artificialmente per diventare più forte, più sano, più bello. E poi c'è chi è completamente meccanico. Tratto dal lungimirante manga di Masamune Shirow, l'anime Ghost in the Shell delinea un immaginario cyberpunk che, nonostante le incredibile derive del progresso, non è mai frastornante e bombardato di stimoli visivi e sonori. Al contrario Mamoru Oshii opta per una regia contemplativa, piena di silenzi e di monologhi, tutti rivolti alla sua enigmatica protagonista Motoko Kusanagi, agente infallibile sul campo ma piena di dubbi dentro la sua anima. Dal nostro punto di vista, Ghost in the Shell si fa portatore del suo fascino orientale quando non si focalizza sull'individuo, ma ragiona come specie. Una nuova specie di individui che per una volta non ha paura del progresso , ma abbraccia il postumano con poetico realismo.
7. Pillola rossa - Matrix
Il sapore di un succulento pezzo di carne, la bellezza di una formosa ragazza di rosso vestita, l'odore dei biscotti appena sfornati. Niente di tutto questo è vero, nulla di quello che senti, guardi, odori e tocchi corrisponde a verità. Basta ingoiare l'amare pillola rossa per scoprire il grande inganno collettivo di nome Matrix, neuro-simulazione interattiva e matrigna crudele che ha assoggettato l'essere umano, rendendolo mera batteria per nutrire le macchine, ormai a capo di una realtà senza luce né natura. Attraverso la lenta presa di coscienza di Neo (guai a chiamarlo "Signor Anderson"), le sorelle Wachowski squarciano quello che il filosofo Schopenhauer avrebbe chiamato "velo di Maya" e scoprono le potenzialità del loro eletto assieme a quelle del cinema: proiettili al rallentatore, palazzi che inghiottono elicotteri, camminate sui muri. Guardandoci alle spalle, Matrix è il più vicino caposaldo del cinema fantascientifico. Un'opera destabilizzante che cade in un necessario paradosso: abusare del digitale per condannarne le sfumature più ingannevoli e dispersive.
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8. Fiabe dal futuro - A.I. intelligenza artificiale
La natura ha tradito. La tecnologia ha guarito. Dopo devastanti disastri ambientali, l'umanità ha perfezionato una serie di robot (i mecha) capaci di provare emozioni, di amare persino. Tra loro c'è il piccolo David, pronto a sostituire un bimbo malato all'interno di una famiglia con un'enorme lacuna affettiva. A.I. - Intelligenza Artificiale è una storia di sostituzioni ad oltranza. Non solo quella di David accolto e poi ripudiati dai suoi genitori adottivi, ma soprattutto quella di Steven Spielberg che raccoglie il testimone di un progetto incompiuto da Stanley Kubrick. Un passaggio di consegne che aleggia nelle atmosfere cupe e plumbee presenti nel film che, poco alla volta, si libera dell'ingombrante ombra kubrickiana per scoprire, come dopo un'eclissi, il tipico cuore spielberghiano. A metà strada tra la fiaba (i riferimenti a Pinocchio sono tantissimi) e il romanzo di formazione, A.I. si pone in netta antitesi con Blade Runner, mostrando quanto l'artificiale e il meccanico si nascondano bene nell'animo degli uomini.
9. Amore invisibile - Lei
Theodore parla ma nessuno lo ascolta. Ghost writer di lettere altrui, detta al pc i sentimenti degli altri senza riuscire ad ordinare i suoi. Il problema è mettere un punto al suo passato. L'addio al primo grande amore della sua vita lo rende alienato in una realtà dominata dal virtuale, disposta dentro una città anonima, passerella di individui sempre connessi eppure sordi al contatto umano. L'arrivo di OS, un sofisticato sistema operativo con voce femminile, permetterà a Theodore di simulare un nuovo rapporto, inedito nella forma, ma canonico nelle necessità imposte da un sentimento. La distopia del mondo immersa nell'utopia dell'amore. A pochi anni da oggi, non tanto distante dalle odierne dinamiche interattive, Spike Jonze costruisce un habitat credibile, pacatamente assurdo, emblematico per i suoi personaggi altrettanto desolati. Con un linguaggio intriso di forza e allegoria, accompagnato da scorci mai banali sul mondo delle relazioni, Lei parla con tono lieve e poetico dell'essere umani oggi. Jonze non dimentica mai il richiamo carnale del sesso e gioca con il cortocircuito delle percezioni. Priva del corpo una delle donne più delle mondo (Scarlett Johansson) estirpandone solo anima e voce, mettendola a confronto con chi per tanto tempo, pur avendo un corpo, ha vissuto solo di vecchi ricordi e memoria. Stretto in un malinconico abbraccio, Lei segna il definitivo superamento dello scontro uomo/macchina. Rinunciando a qualsiasi opposizione tra essere umano e tecnologia, Jonze ne esalta l'inevitabile contatto, fa accarezzare palpebre e schermi, crea una delicata simbiosi che gioca in un campo semantico comune alla carne e al byte.
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10. Black Mirror al cinema - Ex Machina
Fantascienza da camera in un opprimente e claustrofobico esperimento di grande cinema immobile. Senza un briciolo di azione e sostenuto soltanto da dialoghi taglienti quanto incisivi, Alex Garland isola Ex Machina in una casa sperduta chissà dove per raccontare una storia dove i ruoli di burattinai e marionette si scoprono labili. Come un inquietante thriller psicologico, il film di Garland mette un giovane bisognoso di amore davanti al robot Ava, per testarne capacità e consapevolezze. Un gioco di specchi distorti, che mostra il fianco fallibile della nostro cieco affidarci alla Rete. Desideri, frustrazioni e sogni proibiti. Tutto si può rivoltare contro di noi sotto le mentite spoglie della dolce Alicia Vikander.