Dal 6 febbraio il pubblico italiano potrà vedere Birds of Prey, il settimo lungometraggio del cosiddetto DC Extended Universe, franchise supereroistico inaugurato nel 2013. Un cinecomic tutto al femminile, con l'omonimo gruppo affiancato da Harley Quinn nella battaglia contro il boss criminale Black Mask. Un film molto atteso, che segna una svolta interessante nell'evoluzione cinematografica dell'universo DC da più punti di vista, in termini creativi e produttivi. Pertanto, in vista dell'uscita, abbiamo deciso di passare in rassegna i motivi per cui, a nostro avviso, il nuovo film tratto dal catalogo della casa editrice che ci ha dato Batman e Superman sia il più importante del 2020 per quanto riguarda il suo mondo di appartenenza.
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Un franchise che si emancipa
Il titolo completo del film è Birds of Prey (e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn), riferimento diretto al ruolo di Harley Quinn che, rispetto al suo debutto quasi quattro anni fa in Suicide Squad, sarà da sola anziché al fianco del Joker (i due si sono lasciati tra un lungometraggio e l'altro). Ma indica anche il nuovo status quo del DCEU, reinventato dopo gli incidenti di percorso legati al contrasto creativo tra Zack Snyder (il quale ha avviato il franchise e aveva in mente una storia a breve termine, con un finale ben preciso) e la Warner Bros. (che invece pensava a un'operazione più duratura, sulla falsariga dell'operato della Marvel). Questo è infatti il primo film avviato al di fuori dei piani iniziali annunciati nel 2014, e solidifica la lezione che la major ha imparato con Wonder Woman, Aquaman e Shazam!: l'universo rimane coeso, ma le varie storie non devono per forza avere connessioni esplicite tra di loro (una tattica ereditata dalla Casa delle Idee, i cui film standalone sono per lo più fruibili senza aver visto tutti gli altri). Ogni lungometraggio avrà una propria identità, e questo settimo tassello del puzzle ne è un esempio molto interessante.
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La lettera R
Tradizionalmente, a prescindere dal marchio, i film di supereroi tendono ad avere in patria il visto PG-13, che sconsiglia - ma non vieta - la visione ai minori di 13 anni senza l'accompagnamento o l'approvazione dei genitori. Ci sono delle eccezioni, come Deadpool e Joker, ma tendono ad essere opere "fuori serie" (il mercenario chiacchierone, pur rientrando nel franchise degli X-Men, esiste in una sorta di mondo tutto suo). Il debutto cinematografico delle Birds of Prey è invece parte integrante del DCEU, ma negli Stati Uniti esce con il visto R, ossia Restricted: vietato ai minori di 17 anni non accompagnati. Una scelta che da un lato smentisce nuovamente il luogo comune dei supereroi come materiale esclusivamente per i più giovani, e dall'altro sottolinea la rinnovata fiducia della Warner nei propri registi, dopo i disaccordi su film come Batman v Superman: Dawn of Justice (la cui versione estesa ha il marchio R a causa di alcuni secondi giudicati troppo violenti) e Justice League (la cui durata di due ore scarse fu una delle tante imposizioni dello studio). Al settimo giro, abbiamo a che fare con un film veramente libero, esattamente come le sue protagoniste.
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Volti nuovi
Nel film di Cathy Yan (prima regista di origine asiatica a firmare un progetto di questo tipo) vedremo per la prima volta sul grande schermo Cassandra Cain, Black Canary e la Cacciatrice, affiancate da Harley Quinn e dalla poliziotta Renee Montoya. Al netto della familiarità dell'ex-compagna del Joker, questo è effettivamente un mondo nuovo, basato su un fumetto più recente (la prima incarnazione risale al 1996) rispetto ai titoli storici che sono stati portati al cinema negli ultimi anni. Rimane il legame con l'universo di Batman - siamo sempre a Gotham City - ma è un elemento sullo sfondo, che consente quindi alle nuove eroine di muoversi con una certa libertà nello spazio cinematografico inventato dalla regista. Anche la trama è volutamente più contenuta (e lo è anche il budget, inferiore ai 100 milioni di dollari): qui non ci sono minacce potenzialmente apocalittiche come alieni, creature magiche o divinità, ma solo un gangster altamente sadico che ha un conto in sospeso con ciascuna delle protagoniste. Il ruolo dell'antagonista, tra l'altro, fa di questo il primo vero cinecomic dell'era #MeToo: stando a Ewan McGregor, che interpreta Black Mask, il suo rapporto conflittuale con la squadra propone anche una riflessione sulla mascolinità tossica.
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Il doppio ruolo di Margot Robbie
Ovviamente siamo tutti curiosi di rivederla nei panni di Harley Quinn, ruolo che l'attrice tornerà a interpretare anche in The Suicide Squad, in uscita nel 2021, ma a destare interesse è soprattutto l'altra componente della partecipazione di Margot Robbie. Da alcuni anni, infatti, la diva australiana è attiva anche come produttrice, e tale funzione è esercitata anche in questa sede, dandole un controllo di non poco conto per quanto riguarda l'evoluzione del personaggio e il suo uso nei nuovi film della DC. Non è un fenomeno del tutto inedito nell'ambito dei cinecomics: alcuni attori del Marvel Cinematic Universe hanno una certa percentuale di voce in capitolo sui rispettivi personaggi (tanto per fare un esempio, Thor: Ragnarok è stato girato in Australia per volere di Chris Hemsworth), e già nel 2009 Hugh Jackman aveva provato a indossare il duplice cappello per il primo film di Wolverine (ma in quel caso la 20th Century Fox aveva comunque il diritto di veto sulle scelte creative). Qui però abbiamo a che fare con una protagonista che ha effettivamente lo stesso potere davanti e dietro la macchina da presa, il che le permette di tutelare il progetto e il proprio personaggio senza particolari vincoli, facendo sì che questo sia davvero qualcosa di diverso dal solito. Quanto diverso? La risposta in sala tra pochi giorni.