La notte del 9 febbraio 2020, Parasite ha scritto una pagina fondamentale nella storia degli Academy Award: in quella data, il capolavoro del regista coreano Bong Joon-ho ha conquistato infatti il premio Oscar come miglior film, la prima volta in assoluto per una pellicola recitata in lingua non inglese. Un esito che in molti avevano sperato ma che, alla viglia della cerimonia, era tutt'altro che scontato, proprio a causa del carattere di 'eccezionalità' di un simile scenario; e a riprova del tradizionale anglocentrismo dell'Academy, basti pensare che Parasite è stato soltanto la decima produzione 'straniera' (vale a dire, di un paese non anglofono) ad essere mai stata inclusa nella gara per l'Oscar principale. Appena la decima volta nell'arco dei novantadue anni di esistenza degli Oscar: una statistica ben poco lusinghiera, che testimonia a chiare lettere la scarsa attenzione dei membri dell'Academy nei confronti di opere provenienti da nazioni e culture diverse dal mondo anglo-americano.
Oscar e film stranieri: una missione (quasi) impossibile
I membri dell'Academy, infatti, si sono spesso mostrati refrattari nel lasciare spazio a film sottotitolati al di fuori dell'apposita categoria, soprattutto a causa della minore visibilità di tali film. Al di là del caso particolare del 2006, quando due titoli prodotti negli USA ma recitati (anche) in lingue diverse dall'inglese, vale a dire Babel e Lettere da Iwo Jima, furono inseriti entrambi nella cinquina principale, per il resto solo dieci pellicole straniere e in lingua non inglese si sono guadagnate la candidatura all'Oscar come miglior film.
E fra gli illustri esclusi, pluricandidati o premiati dall'Academy ma sempre in altre categorie, figurano i capolavori di Federico Fellini La dolce vita, 8½ e Amarcord, Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, Un uomo, una donna di Claude Lelouch, Effetto notte di François Truffaut, Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller, Das Boot di Wolfgang Petersen, Fanny e Alexander di Ingmar Bergman, Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet, City of God di Fernando Meirelles, Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro e Lo scafandro e la farfalla di Julian Schnabel. Quali sono, in compenso, i "magnifici dieci" che hanno ricevuto il "bacio accademico" dai votanti degli Oscar?
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La grande illusione
Nel 1938, quando ancora l'Academy selezionava dieci candidati per l'Oscar come miglior film dell'anno, a trovare posto nella categoria principale c'è per la prima volta una pellicola in lingua non inglese: La grande illusione, capolavoro antimilitarista diretto dal maestro francese Jean Renoir e interpretato da Jean Gabin, Pierre Fresnay ed Erich von Stroheim. Ambientata durante la Prima Guerra Mondiale, questa cronaca delle avventure di una coppia di aviatori francesi in lotta per la sopravvivenza suscita le ire del regime nazista (che metterà al bando il film di Renoir in Germania), ma diventerà un classico adorato da generazioni di cinefili.
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Z - L'orgia del potere
Bisognerà attendere oltre tre decenni, fino agli Academy Award per l'anno 1969, affinché un altro titolo straniero possa trovare posto nella prestigiosa cinquina come miglior film: a riuscire nell'impresa è Z - L'orgia del potere, infuocato thriller a sfondo politico diretto dal regista greco Costa-Gavras, sorretto dalle interpretazioni di Jean-Louis Trintignant e Yves Montand e già pluripremiato al Festival di Cannes. Accolto da un vastissimo successo di pubblico tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, Z - L'orgia del potere, che dietro il meccanismo dell'indagine elabora un'esplicita denuncia della deriva dittatoriale della Grecia dei Colonnelli, ottiene in tutto cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia e sceneggiatura, e si aggiudica due statuette: come miglior film straniero (in qualità di rappresentante dell'Algeria) e per il montaggio di Françoise Bonnot.
Karl e Kristina
All'edizione degli Oscar del 1971 uno dei candidati all'Oscar come miglior film straniero è Karl e Kristina, ricostruzione della vita in una comunità contadina nella Svezia di metà Ottocento e della partenza dei membri della famiglia Nilsson per attraversare l'Atlantico e cercare fortuna negli Stati Uniti. Scritto e diretto da Jan Troell, con Max von Sydow e Liv Ullmann nei ruoli della coppia di protagonisti, a un anno di distanza Karl e Kristina tornerà in competizione agli Oscar, forte del rinnovato consenso della critica americana, conquistando altre quattro nomination: miglior film, miglior regia, miglior attrice per Liv Ullmann e miglior sceneggiatura.
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Sussurri e grida
E un anno più tardi, agli Academy Award del 1973, è ancora la Svezia a fare la parte del leone, stavolta grazie a uno dei capolavori del leggendario Ingmar Bergman: Sussurri e grida, esplorazione del rapporto fra tre sorelle al capezzale di una di loro, Agnes, sotto lo sguardo silenzioso e amorevole della domestica Anna. Straordinaria riflessione sul lutto, la sofferenza e i legami familiari, Sussurri e grida riceve a sorpresa cinque nomination agli Oscar, tra cui quelle per miglior film, regia e sceneggiatura, e ottiene il premio per la fotografia estremamente suggestiva di Sven Nykvist. A un decennio di distanza, nel 1983, un'altra pietra miliare di Ingmar Bergman, Fanny e Alexander, riceverà sei nomination e vincerà ben quattro premi Oscar, tra cui miglior film straniero, senza però essere incluso nella cinquina per il miglior film.
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Il postino
Dovranno passare più di vent'anni prima che un'altra pellicola in lingua straniera venga selezionata nella categoria principale: spalleggiato dalla Miramax, nel 1995 Il postino diventa la prima produzione cinematografica italiana a ritrovarsi in lizza per l'Oscar come miglior film. Diretto dal regista inglese Michael Radford, Il postino racconta la profonda amicizia fra il personaggio del titolo, un'ultima, memorabile interpretazione del compianto Massimo Troisi, e il poeta cileno Pablo Neruda, perseguitato politico ed esule, che ha il volto di Philippe Noiret. Il postino riceve in tutto cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attore (una candidatura postuma per Troisi) e sceneggiatura, e vale al compositore argentino Luis Bacalov la statuetta per la miglior colonna sonora.
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La vita è bella
Appena tre anni dopo l'enorme successo de Il postino, è ancora l'Italia a fare furore agli Oscar grazie a uno degli storici collaboratori di Massimo Troisi: il poliedrico Roberto Benigni, che nel 1997 scrive, dirige e interpreta La vita è bella, acclamata tragicommedia sulle persecuzioni razziali nell'Italia fascista e l'Olocausto, amalgamando in maniera imprevedibile dramma e ironia. Dopo il trionfo in patria, nel 1998 La vita è bella ottiene il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e in autunno approda negli Stati Uniti grazie alla Miramax, diventando il maggior campione d'incassi di sempre fra le pellicole in lingua non inglese. E i membri dell'Academy non rimangono indifferenti a questo fenomeno di portata mondiale: La vita è bella colleziona un totale di sette nomination, tra cui miglior film, regia e sceneggiatura, e si porta a casa tre premi Oscar per il miglior film straniero, per la colonna sonora di Nicola Piovani e per il miglior attore a uno scatenato Roberto Benigni.
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La tigre e il dragone
A neppure due anni di distanza, gli incassi record de La vita è bella verranno addirittura superati da un altro film-evento che si impone da subito come uno dei nuovi classici del cinema contemporaneo: La tigre e il dragone, spettacolare opera d'avventura ambientata nella Cina del diciottesimo secolo, con cui il maestro taiwanese Ang Lee fa conoscere in tutto il pianeta il genere wuxia. Con oltre venti milioni di spettatori nei soli Stati Uniti, La tigre e il dragone si presenta agli Academy Award del 2000 con un totale di dieci nomination, tra cui miglior film, regia e sceneggiatura, e si guadagna quattro premi Oscar: miglior film straniero, miglior colonna sonora, miglior fotografia e miglior scenografia.
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Amour
Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2012 e accolto dalla critica come un capolavoro, Amour, scritto e diretto dal maestro austriaco Michael Haneke, non si presenta certo come il tipico "film da Oscar": si tratta infatti di un rigoroso dramma che descrive con lucida austerità il confronto con la malattia e con la morte di un'anziana coppia di coniugi, magnificamente interpretati da due volti-simbolo del cinema francese, Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva. Ma mentre Amour fa incetta di riconoscimenti, anche i membri dell'Academy riconoscono l'assoluto valore artistico della pellicola di Michael Haneke, tributandole a sorpresa cinque nomination, tra cui miglior film, regia, sceneggiatura e miglior attrice per Emmanuelle Riva (che a ottantacinque anni segna il record come candidata più anziana nella storia della categoria); Amour vincerà inoltre il premio Oscar come miglior film straniero in qualità di rappresentante dell'Austria.
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Roma
All'edizione degli Academy Award del 2018, per poco non viene scritta una pagina di storia: a partire da capofila, con un totale di dieci nomination, è infatti Roma di Alfonso Cuarón, commovente memoriale ispirato all'infanzia del regista a Città del Messico all'inizio degli anni Settanta. Accolto dagli elogi unanimi della critica alla Mostra di Venezia, dove la giuria presieduta da un entusiasta Guillermo del Toro non ha dubbi nell'assegnargli il Leone d'Oro, Roma inaugura un inedito "doppio percorso" fra la distribuzione tradizionale delle sale e il servizio streaming di Netflix, che per la prima volta si ritrova a competere agli Academy Award nelle categorie di maggior prestigio, incluse le candidature per la protagonista Yalitza Aparicio e l'attrice supporter Marina de Tavira. Cuarón finirà per portarsi a casa tre premi Oscar: miglior regista, miglior film straniero e miglior fotografia; ma nella corsa per il miglior film, purtroppo la statuetta sarà assegnata a Green Book, un titolo più tradizionale e assai meno meritevole rispetto al capolavoro del cineasta messicano.
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Parasite
Lanciato dalla conquista della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2019, il thriller grottesco di Bong Joon-ho, incentrato sulla convivenza e sui rapporti di potere fra membri di diverse classi sociali nella Corea dei giorni nostri, si è rivelato non solo l'incontrastato beniamino della critica, ma uno dei più sorprendenti campioni d'incassi dell'annata. Su un totale di sei nomination, Parasite ha abbattuto un autentico tabù e ha scritto un capitolo di storia dell'Academy, aggiudicandosi a sorpresa ben quattro premi Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior film internazionale.
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