Da Jojo Rabbit a Il Grande Dittatore, quando il cinema si fa satira corrosiva

In Jojo Rabbit, Taika Waititi affronta il delicato tema del nazismo attraverso l'ironia. In passato altri film hanno usato il cinema per ridicolizzare il male.

Jojo Rabbit Roman Griffin Davis Taika Waititi
Jojo Rabbit: faccia a faccia tra Roman Griffin Davis e Taika Waititi

Nel corso di un'intervista rilasciata qualche mese fa all'Hollywood Reporter, Taika Waititi ha risposto alle critiche su Jojo Rabbit, film satirico sul nazismo tratta dal romanzo di Christine Leunens, Il cielo in gabbia, nella quale il piccolo Jojo ha un amico immaginario molto particolare: Adolf Hitler, interpretato proprio da Waititi. Le parole del regista, autore di quello che è tra i migliori film di satira politica degli ultimi tempi, inquadrano chiaramente la sua visione della storia:"Non avevo alcun interesse a fare un ritratto autentico di Hitler. Ho ridotto al minimo lo studio del personaggio perché ritengo non lo meritasse. Uso l'umorismo, elementi fantastici, passaggi di raccordo poco impegnativi e personaggi immaginari".

Umorismo, immaginazione. Il potere del cinema. Greta Gerwig nei giorni scorsi ha elogiato Quentin Tarantino per l'uso del mezzo cinematografico:"Tarantino realizza film come se questi potessero salvare il mondo; i film possono uccidere Hitler, liberare gli schiavi e dare a Sharon Tate ancora un'altra estate..." Il cinema può cambiare il passato con la forza dell'immaginazione riscrivendone semplicemente il finale, come Tarantino in C'era una volta a... Hollywood, oppure usando un'arma delicata ma estremamente affascinante come la satira.

Jojo Rabbit: Taika Waititi sul set
Jojo Rabbit: Taika Waititi sul set

In occasione dell'uscita nelle sale di Jojo Rabbit di Taika Waititi, premiato al Toronto International Film Festival e proiettato come film d'apertura al Torino Film Festival, ricordiamo insieme a Jojo Rabbit, altre cinque pellicole in archivio nella storia del cinema, che hanno avuto il coraggio di sfidare - e in qualche modo combattere - il male con il sorriso, la cultura e l'umanità.

Jojo Rabbit (2019)

Jojo Rabbit Roman Griffin Davies Taika Waititi Sam Rockwell
Jojo Rabbit: Roman Griffin Davis, TaiKa Waititi e Sam Rockwell in una scatenata sequenza

Ed è proprio quell'arma di cui si avvale Taika Waititi. Nei mesi scorsi l'attesa nei confronti di Jojo Rabbit, film del regista di Thor: Ragnarok è cresciuta in maniera esponenziale. D'altronde gli ingredienti adatti per confezionare un'opera sorprendente e graffiante al punto giusto sembravano esserci tutti: un regista ambizioso e originale, una tematica estremamente delicata e una trama affascinante, che mette al centro un protagonista di dieci anni, Jojo (Roman Griffin Davis), completamente immerso nella folle ideologia nazista e affiliato alla gioventù hitleriana. Ecco che la purezza dell'infanzia è avvelenata dai principi velenosi del nazismo al punto di arrivare a mettere in campo un rapporto d'amicizia - illusoria ma coinvolgente - con un immaginario Adolf Hitler. Jojo Rabbit decide di sfidare il dramma più nero con la forza del divertimento e del sorriso. Un puzzle complesso da incasellare fino in fondo che diventa tuttavia un'ulteriore conferma di come la satira possa essere l'arma più efficace per smascherare le debolezze del male.

Jojo Rabbit, parla il protagonista Roman Griffin Davis: "Taika Waititi è un alieno multitasking"

Jojo Rabbit 3
Jojo Rabbit: Taika Waititi, Roman Griffin Davis in una sequenza

Nonostante l'efficacia della parodia in Jojo Rabbit rimanga maggiormente in superficie rispetto al previsto, il film di Taika Waititi è un altro valevole esempio di come gli strumenti della satira connessi al linguaggio cinematografico - così come accade con altri mezzi di comunicazione - possano mettere alla berlina la prepotenza di un regime, il dramma di un'epoca buia finanche il bieco autoritarismo di un tiranno.

Il grande dittatore (1940)

Charlie Chaplin ne Il grande dittatore
Charlie Chaplin ne Il grande dittatore

Il grande dittatore è tra i capolavori imprescindibili nella ricca filmografia di un genio della comicità come Charlie Chaplin. Le peripezie di Adenoid Hinkel non si limitano a sbeffeggiare gli ideali nazisti e il Führer ma costituiscono un mirabile inno di libertà e speranza proprio nel cuore della Seconda Guerra Mondiale. Cantarle a Hitler in diretta, con una serie di trovate geniali e iconiche, è mestiere che solo un fuoriclasse del mezzo filmico come Chaplin poteva partorire. Non si contano le sequenze indimenticabili; dal palleggio con il globo che diventa metafora delle sciagurate azioni tedesche in Europa, alle storpiature riservate agli alleati e la creazione di uno specifico linguaggio ad hoc, un grammelot puzzle dei farneticanti discorsi del Cancelliere del Reich. Cinque candidature all'Oscar e una distribuzione posticipata nel continente europeo a causa fino alla caduta del nazifascismo.

Il grande dittatore: la risata di Charlie Chaplin contro gli orrori del nazifascismo

Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964)

Mv5Bmwe5Mwm1Nmytzdq2Yi00Zteylwe0Ztktm2E0Zjzhmtbmndu3Xkeyxkfqcgdeqxvymti3Mdk3Mzq V1 Sy1000 Cr0016591000 Al
Il dottor Stranamore: Slim Pickens in una scena del film

Tanta genialità mostrata da Charlie Chaplin nel ridicolizzare Hitler e il nazismo nel bel mezzo del conflitto mondiale, viene replicata poco meno di trent'anni dopo ne Il dottor Stranamore, quando Stanley Kubrick pensa bene d'ispirarsi liberamente al romanzo Red Alert, di Peter George, per divertirsi alle spese della Guerra Fredda, che proprio in quel periodo imperversava in Occidente. Kubrick si avvale del talento di Peter Sellers per imbastire un'esilarante farsa sarcastica sulle bizze tra USA e Unione Sovietica. La pazzia di Jack D. Ripper - per nulla velato riferimento a Jack lo Squartatore (Jack the Ripper) - è cieca e senza freni. Solo un mattatore di talento come Sellers poteva prestarsi al gioco in bianco e nero di Kubrick e accettare che un aiuto per la salvezza del mondo possa arrivare da un ex nazista paraplegico.

Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971)

Woody Allen con Louise Lasser ne Il dittatore dello stato libero di Bananas
Woody Allen con Louise Lasser ne Il dittatore dello stato libero di Bananas

All'inizio degli anni '70 Woody Allen era uno dei registi maggiormente promettenti dell'epoca e si era già fatto notare per il rimontaggio sperimentale di un film giapponese che segnò il suo debutto alla regia, Che fai, rubi? e per il mockumentary Prendi i soldi e scappa. Nel 1971 mette in piedi una stralunata commedia farsesca senza troppe pretese che tuttavia mostra, in tutto e per tutto, gli stilemi principali che caratterizzeranno la sua filmografia negli anni a venire. Con Il dittatore dello stato libero di Bananas, Woody Allen si prende gioco dell'autorità, portando un personaggio ingenuo e insicuro alla leadership di un po + polo ribelle. Il regista newyorchese non punta il mirino contro un regime in particolare ma si diverte a schernire il potere mediatico e politico.

La vita è bella (1997)

Roberto Benigni e Giorgio Cantarini nel film La vita è bella
Roberto Benigni e Giorgio Cantarini nel film La vita è bella

La vita è bella è il film simbolo della carriera cinematografica diRoberto Benigni. Per il successo mondiale che gli ha permesso di vincere tre premi Oscar - tra i quali il riconoscimento al miglior attore - e per essere tutt'oggi il punto più alto del suo percorso sul grande schermo. Una fiaba emozionante che combatte il crudele abominio del nazismo con l'ingenua e pura forza dell'amore. Quello tra un padre e un figlio, rinchiusi in un campo di concentramento. Gli orrori dell'Olocausto non vengono mostrati ma la presa in giro di Benigni è evidente e coerente con il suo stile bizzarro e istrionico.

La vita è bella: un viaggio nell'Olocausto tragicomico di Roberto Benigni lungo vent'anni

Morto Stalin, se ne fa un altro (2017)

The Death of Stalin: una scena corale
The Death of Stalin: una scena corale

Presentato al Torino Film Festival, Morto Stalin, se ne fa un altro è una curiosa operazione del regista scozzese Armando Iannucci - autore della celebre serie Veep - che imbastisce una commedia atta a prendersi gioco di un manipolo di ufficiali sovietici spaesati in seguito alla dipartita di Stalin. Un film graffiante soprattutto nella prima parte. D'altronde Iannucci ha dalla sua un ottimo background in termini di satira politica. Le assurdità non mancano, così come alcuni passaggi meno convincenti ma Morto Stalin, se ne fa un altro è certamente un'operazione degna di nota, arricchita dalla presenza di star come Steve Buscemi, a cui viene affidato il ruolo di Kruscev.