Recensione Il favoloso mondo di Amélie (2001)

Vera e propria rivelazione del cinema europeo d'inizio secolo XXI°, Il favoloso mondo di Amelie è la perfetta rappresentazione di quello che il cinema del vecchio continente dovrebbe, per ragioni storiche e culturali, essere.

L'importanza delle piccole cose

Vera e propria rivelazione del cinema europeo d'inizio secolo XXI°, Il favoloso mondo di Amelie è la perfetta rappresentazione di quello che il cinema del vecchio continente dovrebbe, per ragioni storiche e culturali, essere: innovativo e allo stesso tempo maturo, profondo e divertente, ben recitato e ben diretto. Sappiamo bene che raramente il risultato raggiunto è a questi livelli, soprattutto dalle parti di casa nostra, e guardando il film di Jean-Pierre Jeunet viene spontaneo chiedersi il perché: non è certo questione di budget, visto che i circa 22 miliardi di lire di budget (poco più di un Natale sul Nilo e circa un quarto del Pinocchio di Roberto Benigni) sono accessibilissimi anche per un film di qualità italiano, ma piuttosto per cronica carenza di idee e soprattutto di uomini di cinema che siano in grado di mettersi in discussione ed uscire dai soliti schemi di "film di denuncia" o "commedia senza pretese", ovvero da quell' "aut aut" (e aut-oimposto) che da decenni, tranne rari casi, sta immobilizzando le nostre produzioni. Questa deliziosa pellicola francese, invece, riesce a trovare un equilibrio pressoché perfetto tra sentimenti e risate, toccando argomenti tanto leggeri da essere quasi invisibili, "piccole cose" e piccoli gesti che arrivano dritto al cuore degli spettatori.

La storia narra infatti di una cameriera di nome Amelie che per una semplice coincidenza si trova a cambiare la vita di una persona e renderla felice attraverso la semplice restituzione di un oggetto trovato nascosto all'interno di una parete del suo appartamento. Colpita dall'apparente semplicità con cui è riuscita ad infondere felicità ed ottimismo in uno sconosciuto, decide di dedicare la propria vita a questi piccoli gesti di solidarietà o ad ergersi a paladina dei più deboli, come il garzone del fruttivendolo sotto casa. E' così che gli spettatori si trovano catapultati in una giostra colorata di vicende al limite del surreale, in cui si alternano momenti commoventi e toccanti (come la "visita guidata" sotto braccio al non vedente o la citazione sul muro destinata ad infondere fiducia ad uno squattrinato e sfortunato poeta) a sequenze divertenti che hanno come protagoniste un nano da giardino in giro per il mondo o la cassiera di un bar e un ex-fidanzato ossessivo e paranoico.

Il favoloso mondo di Amelie: Audrey Tautou in una scena
Il favoloso mondo di Amelie: Audrey Tautou in una scena

C'è anche una storia d'amore, all'inizio soltanto accennata, ma Jeunet non rischia mai di cadere nella trappola, che in questo caso sarebbe stata letale, della classica commedia romantica, ma semmai dirige una storia d'amore "universale", nei confronti della vita, dell'ottimismo, e dell'amore stesso. Nonché una dichiarazione d'amore per la sua città, Parigi, mai così bella e vitale quanto in questo film, per cui sono state addirittura ripulite dai graffiti alcune zone riprese nella pellicola. Così com'è stata ripulita, con l'aiuto di strumenti digitali, la meravigliosa fotografia del film, ottenendo una calibrazione del colore, tra interni ed esterni, perfetta; d'altronde in questo film non manca certo l'utilizzo di effetti speciali ed elaborazioni digitali, ma lo spirito è quello di sfruttarli come supporto alla storia per renderla maggiormente funzionale, e non per riempire alcune carenza nei contenuti come spesso accade in alcune miliardarie produzioni d'oltreoceano.

Ma i veri effetti speciali del film sono le invenzioni del regista, il suo stile sempre eccessivo ma al tempo stesso delicato e sognatore, molto più maturo e sicuro rispetto ai precedenti Delicatessen o La città dei bambini perduti, che erano comunque degli ottimi esempi di cinema, e lontano anni luce, per fortuna, dal poco riuscito Alien: La clonazione, unica sua esperienza statunitense. Jeunet sembra essersi in parte avvicinato ai prodotti americani, o perlomeno a quelli di maggiore qualità, come dimostra in parte la splendida sequenza iniziale in cui ci presenta tutti i personaggi, ma anche qui lo fa a modo suo, mostrandoceli attraverso i loro gusti e le loro preferenze: sequenza esemplificativa delle "piccole cose" sui cui si baserà l'intero film. E' un inizio importante e programmatico perché mette al centro dell'opera non soltanto gli attori (tutti eccezionali, dalla deliziosa ed estremamente promettente Audrey Tautou al solito attore "feticcio" Dominique Pinon, passando anche per l'interprete/regista Mathieu Kassovitz), ma i personaggi e le loro caratteristiche. E' così che Jeunet riesce perfettamente nel suo scopo: la pellicola è appena cominciata, ma i suoi protagonisti ci sembra già di conoscerli. Ed il film è già nei nostri cuori così come la straordinaria e indimenticabile colonna sonora di Yann Tiersen.

Movieplayer.it

4.5/5