"Tutti cattivi? Sì, in quel mondo non ci sono personaggi positivi, il bene ne è alieno. Nessuno con cui lo spettatore può solidarizzare, nel quale si può identificare". È quanto scrive oggi Roberto Saviano a proposito di Gomorra - La Serie, liberamente ispirata proprio al libro di Saviano, dal quale nel 2008 era già stato tratto il pluripremiato film omonimo di Matteo Garrone. Accolta dai consensi della critica e da un sorprendente successo di pubblico, Gomorra giunge questa sera a conclusione con gli ultimi due episodi della prima stagione, trasmessi in prima serata da Sky Atlantic, a poche ore dalla notizia del rinnovo della serie per una seconda stagione.
Al cuore della storia di Gomorra, tesissima ed implacabile, messa in scena con una durezza sconvolgente che non concede sconti agli spettatori, vi è la figura di Ciro Di Marzio, detto l'Immortale: il braccio armato del clan camorristico dei Savastano, che il feroce boss don Pietro (Fortunato Cerlino) affianca al figlio Genny (Salvatore Esposito). Un protagonista, Ciro, nel quale convivono la freddezza del killer professionista e la sottile ambiguità di un uomo coinvolto in spietate lotte di potere, sullo sfondo della città di Napoli e in particolare del quartiere di Scampia, teatro di un inferno quotidiano e senza vie di scampo. Ad impersonare la parte di Ciro, personaggio-chiave di questo complesso intreccio narrativo, è il giovane attore Marco D'Amore, 32 anni, nato a Caserta, con alle spalle una solida formazione teatrale e un "battesimo" cinematografico accanto al grande Toni Servillo. Abbiamo avuto l'occasione di parlare con Marco, ragazzo umile ed appassionato, a proposito del successo di Gomorra e dei numerosi elementi di innovazione della serie, in attesa di conoscere l'esito riservato a Ciro e agli altri protagonisti di una delle più straordinarie fiction italiane degli ultimi anni.
Marco, proprio oggi Roberto Saviano ha pubblicato un articolo dal titolo Perché sono tutti cattivi nella Gomorra che va in TV, in cui sottolinea l'ipocrisia insita nel motto "I panni sporchi si lavano in famiglia". Vi siete trovati di fronte a polemiche di questo tipo durante la realizzazione di Gomorra? Sia io, sia gli altri membri della produzione siamo stati tutti molto decisi nella scelta di dribblare queste polemiche. A me personalmente, per inclinazione e per educazione, le polemiche non interessano; invece mi interessano assai più le discussioni e le critiche costruttive. Rispetto all'atteggiamento complessivo del gruppo che ha lavorato a Gomorra, noi in questa serie non abbiamo voluto raccontare Napoli: piuttosto, Gomorra rappresenta il paradigma di un sistema criminale esteso nel mondo. Chi ci accusa di aver voluto infangare l'immagine di Napoli o si fa abbagliare dal solito specchietto per le allodole oppure non ha i mezzi culturali per recepire il vero messaggio della serie. Il nostro è un paese amaro ma anche meraviglioso: senza dover risalire addirittura al Neorealismo, basta pensare alle opere di Ettore Scola, di Elio Petri e di Pietro Germi, a tutti i film che negli anni Sessanta e Settanta hanno saputo raccontare l'Italia. Nel 1974 Scola, in C'eravamo tanto amati, ha inserito la scena che si svolge all'interno del cineforum di Nocera Inferiore, dove viene proiettato Ladri di biciclette. Al termine della proiezione il preside di turno, il professor Caprigno, si alza ed esclama: "Questi stracci e questi cessi ci diffamano di fronte al mondo". Purtroppo, quarant'anni dopo in molti casi ancora sentiamo ripetere quel triste discorso...
Sempre a proposito di Saviano, tu e lui avete frequentato la stessa scuola: quando ti sei avvicinato per la prima volta al libro Gomorra e quali sono state le tue reazioni? Ho letto Gomorra appena fu pubblicato. Ricordo che in quel periodo (il 2006, ndr) ero in tournée con la nostra compagnia teatrale: durante la tournée ci passavamo le fotocopie del libro e la sera, dopo gli spettacoli, ci riunivamo e facevamo delle letture in comune. All'epoca non era ancora esploso il "fenomeno", ma appena ho letto Gomorra ho sentito subito che quello era un evento, qualcosa di gigantesco che avrebbe veramente cambiato le cose. Di recente ho trascorso dieci giorni a New York insieme a Roberto Saviano: grazie a Sky, infatti, abbiamo avuto la possibilità di girare alcune "conversazioni" con Saviano che vanno in onda poco prima degli episodi della serie, e nelle quali io racconto i retroscena legati alle riprese sul set e lui fa una sorta di spoiler dei fatti narrati nella fiction, ricollegandoli alla cronaca. In Gomorra gli autori hanno inserito una famiglia fittizia, i Savastano, che però costituisce un collage di personaggi ed avvenimenti legati alla realtà: in questo senso, nella serie non c'è nulla di inventato.
Com'è stato il primo "incontro" con il tuo personaggio, il gregario della camorra Ciro Di Marzio? Ho avuto un impatto traumatico. Per interpretare il ruolo di Ciro mi è stata richiesta una grande trasformazione fisica: avevo appena finito di girare una commedia e in quel periodo avevo i capelli lunghi e la barba. Inoltre ho dovuto dimagrire di venticinque chili, è stato un cambiamento drastico ma necessario. Con il regista Stefano Sollima siamo partiti dall'idea che Ciro fosse come un militare, un uomo d'azione, e di conseguenza dovesse essere fisicamente preparato. Per il resto, come attore non ho una formazione all'americana, quindi non ho sentito il bisogno di calarmi in tutto e per tutto in quella realtà: vivo di "vertigini" rispetto ai personaggi che interpreto e mi affido alla sceneggiatura, e nel caso di Gomorra la sceneggiatura è di un livello altissimo. Io sostengo che il lavoro dell'attore sia simile a quello dell'archeologo: il personaggio è come un reperto, sotterrato nelle pagine della sceneggiatura. Come attore hai il compito di tirarlo fuori, di scoprirne colori e forme, di farlo tuo. Una delle mie prime "vertigini", pensando a Ciro, è stato Iago, una figura apparentemente all'antitesi, ma che invece si muove sul medesimo crinale, fra il militare e lo stratega.
In Gomorra, in effetti, si possono rintracciare anche echi del teatro shakespeariano, sei d'accordo? La struttura della serie in realtà è figlia della tragedia greca, che poi è il genere da cui è partito tutto il teatro, incluso quello di William Shakespeare. Nella tragedia greca ritroviamo già i principali topoi del teatro successivo: la centralità del nucleo familiare, la conflittualità nei rapporti padre-madre-figlio... è tutto lì. Come in Gomorra, parte tutto dalla famiglia. Don Pietro Savastano vede nel personaggio di Ciro il figlio ideale, quello che non ha; ma non essendoci legami di sangue Pietro non può affidare il comando direttamente a Ciro, così lo affianca al figlio Gennaro, in modo da farlo diventare il suo braccio destro.
Nel calarti nella realtà di Gomorra hai avuto modo di attingere anche a ricordi personali o ad esperienze vissute direttamente? Non ho mai assistito in prima persone a scene alla Gomorra, ma nei miei occhi ho comunque la "memoria fisica" di tanti momenti di violenza e di tensione appartenenti ad un periodo, gli anni Novanta, in cui Caserta era davvero una terra di confine fra legalità e illegalità. Quando cresci in contesti del genere, sviluppi una sorta di "sesto senso" che ti aiuta a sopravvivere.
Al termine di una lavorazione così lunga, qual è il tuo bilancio dell'esperienza sul set della serie? Siamo stati impegnati per nove mesi nelle riprese, ma il periodo complessivo è di un anno e mezzo se consideriamo anche il precedente lavoro di preparazione. E fin dalla primissima conferenza stampa di Gomorra ho tenuto a sottolineare i punti di forza della serie: il grande apporto produttivo di Sky, l'unicità di collaborare con tre registi (oltre a Sollima anche Francesca Comencini e Claudio Cupellini, ndr) e con un team di sceneggiatori clamoroso. Ma l'assoluta eccellenza della serie è rappresentata anche da un cast di grandi professionisti: attori campani di generazioni diverse, a testimonianza del fatto che la mia terra, dal punto di vista dell'arte e dello spettacolo, è una fucina di talenti unica nel nostro paese. Lo dico senza campanilismo: la Campania è una terra senza solide strutture, ma che riesce a produrre tantissimo.
Si è molto parlato di Gomorra fin dalla notizia della realizzazione della serie, ma il suo successo è andato anche oltre le aspettative: che tipo di feedback avete ricevuto rispetto al vostro lavoro? Sono contento che Gomorra si sia rivelato un prodotto così trasversale, che sia riuscita a coinvolgere il pubblico e la critica e a stimolare gli intellettuali. Muovendomi anche fra le risposte dei canali social, oltre che in base al rapporto con il pubblico sul "campo", ho avuto il sentore di due cose importanti. La prima è che la gente ha inteso davvero la qualità della serie: nonostante in Italia siamo stati sommersi da cinquant'anni di televisione oscena, il pubblico ha riconosciuto la qualità di Gomorra, a riprova del fatto che quando un prodotto è valido gli spettatori lo apprezzano. La seconda è che tantissimi si sono sentiti toccati da questa storia, pur abitando a grandi distanze dai luoghi rappresentati nella serie. Per il resto, il nostro intento non è quello di insegnare né tantomeno di giudicare: un artista deve calarsi nella realtà che descrive e mostrarla nella sua essenza, per quanto atroce possa essere: poi sta agli spettatori fare le proprie scelte.
Per quanto riguarda le reazioni dagli ambienti della politica, invece? A parte l'intervento di Pietro Grasso, Presidente del Senato, mi dispiace che non si siano sollevate voci importanti, fra i pubblici amministratori, a ribadire la necessità di discutere di certi argomenti: un silenzio che riconduco ad un'incapacità culturale di accostarsi all'arte. Da cittadino, vivo in un perenne imbarazzo quando sento parlare i nostri amministratori. La politica significa amministrare la cosa pubblica; e in un paese in cui circa la metà degli elettori si astengono dal voto, se fossi un uomo politico mi porrei migliaia di domande. Purtroppo molte di queste persone non hanno la credibilità per spingere la gente ad andare a votare, a riconoscersi in una classe politica.
In qualità di attore, quali sono i tuoi maggiori modelli di riferimento? Davanti agli occhi ci sono costantemente figure di attori che, grazie ai loro personaggi, hanno contribuito alla mia formazione. In fondo un attore è innanzitutto uno spettatore, di cinema e di teatro. Io ho due grandi miti nell'ambito del cinema italiano: Vittorio Mezzogiorno e Gian Maria Volonté, due latitudini di altezza massima. Poi ho avuto la fortuna di crescere artisticamente con Toni Servillo e di lavorare insieme a lui al cinema (nel film Una vita tranquilla, ndr) e in teatro. Inoltre, come tutti i ragazzi, sono cresciuto ammirando gli idoli del cinema americano, da Robert De Niro ad Al Pacino, fino a Philip Seymour Hoffman, uno dei più grandi attori dei nostri tempi.
Un nome in particolare che ti abbia influenzato, e magari un ruolo specifico? Ho un'ammirazione maniacale per Gian Maria Volonté: mi ha insegnato che un attore deve avere il "fisico del ruolo", imponendo la necessità di uno studio approfondito per impostare quel cambiamento che permette di calarsi in un personaggio. Se penso a quanto ha fatto Volonté, a quanto si è trasformato tra un film e l'altro, regalandoci delle chicche per ogni personaggio, mi commuovo. Se ne dovessi scegliere uno, direi l'operaio Lulù ne La classe operaia va in paradiso: adoro la sequenza in cui esclama "un pezzo, un culo!", avevo addirittura inserito questo frase come nome del mio profilo di facebook!
Parliamo dei tuoi prossimi progetti. Hai in cantiere un nuovo film, Perez, diretto da Edoardo De Angelis: cosa puoi dirci al riguardo? Ho appena finito le riprese: si tratta di un noir, con uno strepitoso Luca Zingaretti, basato sul rapporto tra un padre, sua figlia e il fidanzato della figlia, ovvero il personaggio da me interpretato. Sto lavorando anche alla nuova pellicola di Claudio Cupellini, I principianti, con Elio Germano. Inoltre ho fondato una compagnia teatrale, "La piccola società", insieme allo sceneggiatore Francesco Ghiaccio, e vorremmo realizzare un film. Si tratta di un progetto legato allo scandalo della polvere di amianto nella fabbrica della Eternit, a Casale Monferrato: stiamo lavorando insieme all'associazione delle vittime dell'amianto e con i sindacalisti che si impegnarono in quella battaglia politica e giudiziaria. Al centro del film ci sarà il rapporto tra un padre e un figlio che si riavvicinano dopo anni di silenzio, in contemporanea con una presa di coscienza rispetto a quegli eventi. Il film si chiamerà Un posto sicuro: un titolo emblematico della contraddizione fra tenersi stretto un posto di lavoro e la consapevolezza del marciume a cui sono sottoposti gli operai. Attualmente siamo in fase di scrittura, e contiamo di girarlo entro quest'anno.
Per tornare a Gomorra: puoi anticiparci qualcosa sul gran finale di questa sera? Ritroveremo Ciro anche nella prossima stagione? Siamo molto soddisfatti che Gomorra sia stata riconfermata subito per una seconda stagione. Purtroppo non posso rivelare il destino del mio personaggio, ma posso dirvi che il finale di Gomorra è come un lavandino otturato che all'improvviso si stura e tira giù tutto quanto in un enorme gorgo: non ci sarà alcuna possibilità di sfuggire da questo gorgo, tutti i personaggi verranno travolti!