Favolacce, parla Elio Germano: “Sul set abbiamo cercato l’autenticità”

La nostra intervista a Elio Germano e il cast di Favolacce, il film premiato a Berlino dei fratelli D'Innocenzo che arriva in digitale dall'11 Maggio sulle principali piattaforme streaming.

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Favolacce: una scena del film di Damiano e Fabio D'Innocenzo

Dopo averci colpiti con La terra dell'abbastanza, i fratelli D'Innocenzo sono tornati con Favolacce, un'opera seconda più ambiziosa e sfaccettata, che riparte da un'ambientazione simile a quella dell'esordio, ma ne allarga temi, scopo ed efficacia. Un film favolistico nell'approccio eppure duro, diretto e solido nel comunicare il suo messaggio. Un lavoro giustamente premiato allo scorso Festival Internazionale del Cinema di Berlino con il premio per la miglior sceneggiatura, che potrete guardare comodamente a casa dall'11 Maggio sulle principali piattaforme streaming, dove ha trovato rifugio dopo che l'uscita in sala è saltata per la situazione che stiamo ancora vivendo.

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Berlino 2020: il cast al photocall di Favolacce

Fabio e Damiano D'Innocenzo non vedono l'uscita in digitale "come un ridimensionamento, una ideale ripartenza di quello che deve essere l'industria del cinema. L'esperienza della sala è irripetibile, è come vedere la partita allo stadio. Ma se la Roma vince, vince anche in tv, e in un momento del genere dare la possibilità di evadere ad altre persone non è da sottovalutare." Di questo, del film e dell'esperienza sul set abbiamo parlato con Elio Germano e i suoi colleghi del cast, da Barbara Chichiarelli, Ileana D'Ambra e Gabriel Montesi, oltre che con i due sceneggiatori e registi, che con questo secondo lavoro hanno confermato le sensazioni positive dell'esordio e si sono imposti tra gli autori più interessanti e da tener d'occhio del nostro cinema (ne abbiamo parlato nella nostra recensione di Favolacce).

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Berlino 2020: Fabio e Damiano D’Innocenzo al photocall di Favolacce

Un primo punto che abbiamo voluto affrontare è proprio quello che riguarda il valore di questi due giovani autori, che è emerso in modo così evidente in quel di Berlino, chiedendoci in cosa si concretizzi sul set per i loro interpreti. "Non ti lasciano mai da sola" ci ha detto Ileana D'Ambra, "mi dissero che sarebbe stato un viaggio fatto insieme, mano nella mano, e così è stato. Mi hanno dato la possibilità di prendere confidenza passo passo con l'estrema delicatezza che hanno nel rapportarsi con noi attori." Un tocco particolare che si evidenzia anche nella fiducia nelle capacità dei singoli, nel non dare indicazioni eccessive e lasciare libertà, ma anche sul piano umano.

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Berlino 2020: al photocall di Favolacce

"Ti danno la possibilità di sperimentare, ma non vuol dire che vanno a caso" ci conferma Gabriel Montesi, che parla anche di "persone, non registi che si mettono su una cattedra", mentre Barbara Chichiarelli sottolinea "un valore aggiunto che si confermerà nei prossimi lavori, qualunque cosa decidano di fare. Sono due poeti e abbiamo bisogno di poeti" Completa il discorso Elio Germano, che elogia anche il coraggio, supportato dalla produzione di scegliere attori funzionali a ciò che volevano comunicare, senza inseguire grandi nomi a tutti i costi. Ma l'attore premiato, sempre a Berlino, per Volevo nascondermi si è dimostrato soprattutto entusiasta per "un metodo di lavoro appagante, perché ci è stato chiesto di 'vivere' qualcosa e non limitarci a delle performance, di essere qualcosa e non riprodurlo."

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L'inquietudine della normalità

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Berlino 2020: uno scatto della conferenza di Favolacce

È in questo concetto espresso da Elio Germano che individuiamo la forza di un film come Favolacce, che mette al centro del suo racconto uno spaccato di quotidianità, doloroso e inquietante: un mondo apparentemente normale che cela sofferenze e disagio, tra sottile sadismo, passività e indifferenza degli adulti e la disperazione di figli che non riescono a farsi ascoltare. Tutto scritto con perizia in una "sceneggiatura come poche volte mi è capitato di leggerne" ha dichiarato la Chichiarelli, a cui ha fatto eco Montesi: "un gioco di specchi che porta all'osservazione sia interiore che esteriore". Un discorso che Ileana D'Ambra ha cercato di approfondire: "ho chiesto una mano a mia madre, che si occupa di mediazione familiare, di genitori e figli. Mi sono fatta raccontare il mondo che è là fuori."

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Favolacce: una sequenza del film

È infatti l'ispirazione alla realtà che permette al film di colpire duro, di essere un vero pugno nello stomaco. "Non ce lo siamo mai raccontati come finzione" ha spiegato Elio Germano, "perché c'è sempre la sensazione che la vita riesca a essere più complicata di quanto un attore possa raccontare. Volevamo metterci l'umanità, non rappresentarla." Un mondo raccontato con la semplicità delle ispirazioni letterarie dei gemelli D'Innocenzo, a cominciare dalla "poetica di Charles Schultz" ci dicono, "il grande poeta che ha inventato Charlie Brown, la nostra Bibbia in cui si trovano tutte le risposte", oltre che in una certa letteratura americana, che riesce ad avere una semplicità e immediatezza che troppo spesso mancano a quella del nostro paese.

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Senza assolvere nessuno

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Favolacce: una scena del film di Fabio e Damiano D'Innocenzo

Questa realtà di cui parla Germano è immersa in un background identificabile con la periferia di Roma sud, ma la forza del film sta nel riuscire ad elevare i temi da quel luogo, portandoli a essere universali. "Ne La terra dell'abbastanza c'era la possibilità di evadere" spiegano i D'Innocenzo, "ma qui non volevamo assolvere nessuno, non volevamo che lo spettatore guardasse con distacco". Ma gli autori non assolvono nemmeno loro stessi: "noi siamo tutti i personaggi" ci dicono, "non ci tiriamo fuori. E questo rende il film degno di essere visto. O prendi tutto il pacchetto e accetti di essere quelle cose, o non entri nel film. Favolacce è un'esperienza sommaria."

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Favolacce: una foto del film

"Individuare un colpevole, serve a sentire che i colpevoli non siamo noi" conferma Elio Germano, che sottolinea come oggi non ci si faccia più domande, ma piuttosto si viva "come in una rappresentazione, facendo il proprio ruolo", come seguendo dei binari da cui non si riesce a deviare. "Lo hanno fatto altri, posso farlo anche io" dice Fabio D'Innocenzo spiegando l'atteggiamento di troppi individui, parlando di una ciclicità, evidente nel film, che va interrotta. Una ciclicità che c'è anche nel cinema nostrano e va ugualmente interrotta: "un certo tipo di cinema crea un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Sono importanti le contaminazioni. Un film come questo poteva solo essere d'autore, ma abbiamo cercato di contaminarlo con Stephen King, mettendoci Charlie Brown e la commedia caustica da graphic novel. È cinema industriale, ma partorito da intimità."

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