Venezia 2004

Almeno sulla carta il nuovo direttore aveva ideato una Mostra davvero sontuosa, con un programma ricco e variegato; una Mostra che, nonostante qualche incidente e le inevitabili difficoltà organizzative, ha chiuso con dignità.

Un grande schermo alto 11 metri, ideato dall'architetto Matteo Thun, a coprire la facciata del Palazzo del Cinema, sul quale sono state proiettate immagini, luci e colori che cambiavano durante le lunghe giornate del Lido. Davanti, ad opera dello scenografo Dante Ferretti, sessanta steli di altezze diverse, ciascuno con sopra un leone d'oro di due metri in vetroresina: è stato questo il primo messaggio del corso tracciato dal presidente della Biennale Davide Croff e dal nuovo direttore della Mostra Marco Müller. Un mix visivo che nelle intenzione degli ideatori ha simboleggiato i "lavori in corso" verso la nuova struttura del Palazzo del Cinema, che uscirà dal concorso internazionale di progettazione appena bandito dalla Biennale di Venezia.

Si era alzato così il sipario su Venezia 61., una kermesse che nelle intenzioni voleva accontentare un po' tutti e soprattutto non scontentare nessuno. Più spazio al pubblico giovane in sacco a pelo, con la riapertura del campeggio San Nicolò, ma anche un ritorno all'etichetta con l'obbligo dello smoking alle cerimonie di apertura e chiusura e il consiglio di usarlo alle proiezioni ufficiali in Sala Grande. Una Mostra che ha aperto ai film d'animazione, ma che allo stesso tempo ha segnato anche una grande attenzione alla ritualità della passerella.

C'è stato tutto e un po' di tutto qui al Lido, e lo dimostrano le varie sezioni in cui sono state divise le pellicole partecipanti. Oltre ai film in concorso e ai grandi eventi fuori concorso, una sezione Orizzonti dedicata alle nuove linee di tendenza, una sezione Mezzanotte dedicata ai film di genere ad alta spettacolarità, e ancora uno spazio ai corti, al cinema digitale, alla Settimana internazionale della critica. E ovviamente tanto spazio alla retrospettiva Italian Kings of the B's sul cinema italiano con padrini Quentin Tarantino e Joe Dante.

Almeno sulla carta il nuovo direttore aveva ideato una Mostra davvero sontuosa, con un programma ricco e variegato; una Mostra che, nonostante qualche incidente e le inevitabili difficoltà organizzative, ha chiuso con dignità. La pressione alla quale tutti i media italiani e RaiCinema hanno sottoposto la giuria negli ultimi due giorni, infatti, non ha sortito effetto. Le chiavi di casa di Gianni Amelio è rimasto a bocca asciutta, a parte due riconoscimenti non ufficiali come quello del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici e quello assegnato da La rivista del cinematografo.

A vincere il Leone d'oro della 61. Mostra del cinema di Venezia è stato invece Il segreto di Vera Drake di Mike Leigh. Un premio giusto per un film praticamente perfetto, di un'eleganza e uno stile mirabili abbinati a un tema scottante come quello dell'aborto trattato con tale delicatezza da lasciare tutti, favorevoli e contrari al comportamento della protagonista, a bocca aperta. All'unico film che poteva davvero contendere il Leone d'oro a quello inglese, il commovente Mare dentro di Alejandro Amenábar (altro film "bollente" in modo delicato, stavolta sull'eutanasia), è andato invece il Leone d'argento, gran premio speciale della giuria.

La giuria ha avuto decisioni sagge anche nelle altre scelte: il premio speciale della giuria per la miglior regia è andato al coreano Kim Ki-Duk per il film Binjip - Ferro 3, altro film molto apprezzato al Lido. Puntuali e secondo pronostico le Coppe Volpi per i migliori attori: Javier Bardem (che l'avva già vinta nel 1999 per Prima che sia notte) è stato straordinario in Mare dentro, Imelda Staunton lo ha imitato in Vera Drake.

Il cinema italiano può consolarsi solamente con con il Premio "Marcello Mastroianni" per il miglior giovane attore emergente, vinto ex aequo da Marco Luisi e Tommaso Ramenghi, fra i protagonisti di Lavorare con lentezza diretto da Guido Chiesa.
Qualche perplessità ha invece suscitato il premio riservato alla sezione Orizzonti, dove è stato premiato il comunque gradevole Les petits fils di Ilan Duran Cohen (menzione speciale a Vento di terra di Vincenzo Marra): è stato un peccato aver trascurato infatti l'intenso Mysterious Skin di Gregg Araki. Il premio "Leone del futuro - Luigi De Laurentiis" per la migliore opera prima è stato assegnato invece a Le grand voyage del marocchino Ismael Ferroukhi (menzione speciale a Saimir di Francesco Munzi), mentre il Premio Osella per il contributo tecnico è andato allo Studio Ghibli che ha curato l'animazione di Howl's Moving Castle.
Decisioni della giuria dunque equilibrate, a fronte di un livello artistico dei film che è stato certamente buono, ma con qualche buco nero inquietante. Purtroppo le più grandi perlessità a livello di selezione le ha destate qualche proposta italiana, come Ovunque sei e Te lo leggo negli occhi. Altre scelte discutibili ci sono state, ma ovviamente quelle riguardante gli italiani destano più clamore.

Meno positivo è il bilancio della Mostra dal punto di vista organizzativo. Troppi film, programma caotico, ritardi continui, resse, file e proteste hanno caratterizzato tutti i dieci giorni del Festival, con conseguenze anche imbarazzanti: star che hanno dovuto sfilare in passerella alle 2 di notte o che sono dovute stare in piedi per mancanza di posto. Certo, Müller e Croff hanno avuto poco tempo a disposizione per questa edizione, si spera la lezione serva per il futuro. Il problema è sempre quello delle strutture, ormai inadeguate. Ma piuttosto che puntare il dito ogni volta sulle strutture, fino a quando queste non ci saranno, sarà meglio adeguare il programma.