Se chiedete a noi, fino a qualche tempo fa gli Eighties, soprattutto per quanto riguarda il cinema, non è che avessero poi questa grande fama. Eppure è evidente ormai, tra revival di saghe e reboot di film ormai considerati classici, che siamo tutti d'accordo che in fondo crescere guardando E.T. L'Extraterrestre, Guerre stellari, Ritorno al futuro, I Goonies, Ghostbusters e Ai confini della realtà - Anni '80 non è stato poi così male, se tutti non vedono l'ora di tornare a quelle stesse sensazioni ed emozioni che pensavamo di esserci lasciati indietro da tre decenni.
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Il primo a capire le potenzialità, anche economiche, di questa cosidetta "operazione nostalgia" è stato - ovviamente - il solito J.J. Abrams che con Super 8 aveva realizzato il suo sogno di sempre, ovvero quello di "rifare" Steven Spielberg. E, abuso di lens flare a parte, alla fine si può dire che c'è riuscito talmente bene da sublimare il tutto qualche anno dopo "rifacendo" anche George Lucas, con quel Star Wars: Il risveglio della forza che non solo ha incassato oltre un miliardo e mezzo in tutto il mondo ma ha definitivamente dato il via a questa pazza corsa all'indietro, allo scopo di riuscire a riconquistare il pubblico degli 'anta e affiancarlo a quello dei giovanissimi che ormai detta legge al botteghino.
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Incontri ravvicinati del vecchio tipo
Ed è così che mentre il mondo del cinema cerca di capire cosa vale la pena di rifare e cosa invece deve rimanere intoccabile (dopo il polverone Ghostbusters, vale davvero la pena di rischiare?), Netflix zitta zitta realizza una miniserie evento di otto episodi - ideata, scritta e diretta dai fratelli Matt e Ross Duffer con il supporto del produttore Shawn Levy - che non solo riprende l'esperimento di Abrams con Super 8, ma lo amplifica al punto tale che per quelle otto ore di durata non ci sembra solo di tornare alle atmosfere degli anni '80 ma direttamente al cinema di quell'epoca, con tanto di poltroncine scomode e gelato Bomboniera da dividere con gli amici.
Se vi sembra che stiamo esagerando vi sfidiamo a guardare anche solo i primi due episodi di Stranger Things, perché vedrete che in più di un'occasione avrete davvero la sensazione di stare guardando E.T. o Incontri ravvicinati del terzo tipo. E nei momenti più horror ritroverete Poltergeist: demoniache presenze o Fenomeni paranormali incontrollabili. Negli episodi finali invece sarete proiettati direttamente ne La cosa di John Carpenter (le cui musiche vengono richiamate fin dai titoli di testa), magari dopo aver fatto una bella passeggiata sui binari come Stand by me di Rob Reiner e le immancabili corse in bicicletta spielberghiane (con alieno o senza) che ci hanno accompagnato per l'intera infanzia.
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D'altronde già la storia, che parte dalla tragica sparizione del piccolo Will e dall'altrettanto improvviso arrivo in una cittadina della provincia americana di una misteriosa ragazzina con poteri telecinetici, non lascia molti dubbi sulla provenienze delle ispirazioni che, oltre ai già citati registi e film, può contare su una presenza massiccia di omaggi e benevoli "furti" dal migliore Stephen King, soprattutto quell'It che ancora aspetta di trovare un adattamento degno di tale nome per lo schermo ma che aveva nel suo punto di forza proprio la caratterizzazione di un gruppo di "perdenti", un gruppetto eterogeneo di amici che passava gran parte del suo tempo a scappare dai bulli e a cercare di sconfiggere un Male molto più grande di loro.
Ai protagonisti più piccoli si aggiunge poi un altro gruppetto di teenager, con rivalità e problemi d'amore, e gli adulti, tra cui il capo della polizia locale (il David Harbour di The Newsroom, Manhattan e State of Affairs) e la madre del bambino scomparso interpretata da una brava ma monocorde (non per colpa sua) Winona Ryder. Tutti finiranno con il dover affrontare gli stessi pericoli che includono non solo uno spaventoso mostro, ma anche una misteriosa agenzia governativa guidata da un Matthew Modine dai capelli d'argento.
Ma nonostante le (sotto)storie siano tutti parimenti coinvolgenti e convergano nella parte finale, il cuore dello show restano sempre i ragazzini, con la loro freschezza, la loro simpatia e l'innata bravura che riesce a spazzar via qualsiasi dubbio si possa avere sulla legittimità e opportunità di riproporre, in alcuni casi quasi scena per scena, questi film classici che sono nel cuore di tutti.
Should I Stay or Should I Go
Perché il problema di Stranger Things è tutto qui, nel suo voler essere quell'operazione nostalgia di cui parlavamo sopra prima di ogni cosa, proprio come in fondo lo era Super 8 di Abrams. E se il film di Abrams aveva comunque il limite di non aspirare a nulla di più, a maggior ragione questo vale per questa miniserie Netflix che è sì in fondo niente altro che un lungo film, ma proprio per la sua durata di otto ore poteva quanto meno provare a realizzare qualcosa di più, creare un universo più coerente e ricco, magari una vera e propria mitologia su cui costruire qualcosa di più solido anche per il futuro.
Ma in fondo, per otto ore siamo tornati ad essere i bambini che pedalano insieme ad E.T., i perdenti che cercano di colpire It con una fionda e i Goonies che non dicono mai la parola morte; quindi perché lamentarsi?
Movieplayer.it
3.5/5