Gli Oscar 2020 saranno ricordati probabilmente come un'annata spartiacque nella storia degli Oscar, e tutto in virtù di un singolo, importantissimo fattore: il trionfo senza precedenti di Parasite, andato al di là di ogni previsione. Una vittoria destinata a segnare un "prima" e un "dopo", e che ha dato vita ai momenti di maggior entusiasmo nel corso delle tre ore e mezza della cerimonia della novantaduesima edizione degli Academy Award, per il secondo anno consecutivo senza un conduttore e con un ritmo più spedito nell'assegnazione delle statuette. E dopo l'annus horribilis del 2019, tra gaffe preliminari, decisioni schizofreniche revocate a furor di popolo e l'assurda valanga di trofei per Green Book e Bohemian Rhapsody, per l'Academy il 2020 ha sancito un ideale 'riscatto', regalandoci una delle edizioni più soddisfacenti negli annali del premio.
Oscar 2020: tutti i vincitori di questa edizione
Il poker da record di Bong Joon-ho e Parasite
Che il fervore nei confronti di Parasite non riguardasse soltanto critici e cinefili, ma anche il pubblico del Dolby Theatre, è apparso evidente dagli applausi fragorosi riservati a Bong Joon-ho quando è stato chiamato sul palco a ritirare le statuette per la miglior sceneggiatura originale e per il miglior film internazionale. Se tuttavia questi due premi erano ampiamente prevedibili, l'autentica sorpresa è arrivata a mezz'ora dalla conclusione della serata, quando Spike Lee ha proclamato Bong Joon-ho come destinatario dell'Oscar per la miglior regia: si trattava infatti di una categoria in cui appariva scontata la vittoria di Sam Mendes, già ricompensato da tutti i precursors per il dramma bellico 1917.
L'eccezionale responso dell'auditorio, galvanizzato pure dall'omaggio di Bong nei confronti di Martin Scorsese, e il clamoroso sorpasso sul favoritissimo Mendes ha reso evidente, ancora prima del previsto, che per Parasite si profilava di lì a poco un altro, storico successo: l'Oscar come miglior film. E al termine della serata, quando Jane Fonda ha consegnato l'ultima statuetta, la standing ovation per Bong Joon-ho e tutto il team di Parasite è stata fra le più calorose mai registrate in questi anni agli Academy Award: un'eccitazione palpabile, rimarcata da quell'"Up! Up! Up!" gridato con tifo da stadio dalla platea per esortare la regia a mantenere le luci accese sul palco e a non interrompere il discorso di ringraziamento dei vincitori.
Il caso Parasite: dalla Corea agli Oscar, analisi di un film epocale
I discorsi degli attori, da Brad Pitt a Renée Zellweger
Se il dato 'storico' della cerimonia rimangono i quattro Oscar per Parasite e la primissima affermazione, nella competizione per il miglior film, di una pellicola recitata in lingua non inglese (ne riparleremo a dovere), per il resto l'elenco dei premiati non ha riservato nessun altro colpo di scena. Al contrario, tutto praticamente secondo copione, a partire dalle quattro categorie delle interpretazioni: dall'eleganza composta ed ironica di Brad Pitt, primo premiato della serata per la sua performance in C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino (due Oscar su dieci nomination), al carisma irresistibile di Laura Dern, miglior attrice non protagonista per Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, con la sua dolcissima dedica ai genitori (e la commozione di mamma Diane Ladd in platea).
Più 'particolari' gli acceptance speech dei due vincitori annunciati nelle categorie per i protagonisti. Il Joaquin Phoenix di Joker (due premi su undici nomination), secondo attore a ricevere un Oscar per il ruolo del celebre villain dei fumetti, ha pronunciato un lungo discorso nel corso del quale ha toccato vari temi legati alla società e all'emergenza ambientale; la nota più commovente, tuttavia, è arrivata con il ricordo del fratello di Joaquin, il compianto River Phoenix. Ancora più ampio (quattro minuti) il ringraziamento di Renée Zellweger che, nel ricevere il suo secondo Oscar grazie al film Judy, dopo un infinito elenco di nomi ha concluso ricordando l'importanza dell'eredità artistica di Judy Garland.
Joker allo specchio: Joaquin Phoenix e Heath Ledger, due sfumature di follia
Il 'neo' della premiazione e la fumata nera per The Irishman
Pronostici confermati pure nelle altre categorie, al di là della battuta d'arresto di 1917, che si presentava ai nastri di partenza con dieci nomination (e la pole position per film e regia) ma si è fermato a tre premi tecnici per il sonoro, gli effetti speciali e la superba fotografia dell'inglese Roger Deakins, al suo secondo Oscar su quindici nomination. Non è andata altrettanto bene al compositore della colonna sonora di 1917, Thomas Newman, anch'egli giunto a quota quindici candidature ma ancora in attesa della sua prima statuetta (e con un novello record di nomination andate a vuoto in campo musicale). Prevista, ma comunque spiacevole la fumata nera per The Irishman: il crepuscolare gangster movie realizzato da Martin Scorsese per Netflix ha visto andare a vuoto tutte le sue dieci candidature, identico risultato registrato diciassette anni fa da un altro film del leggendario regista, Gangs of New York.
L'assenza di The Irishman dal palmarès è stata una delle pochissime note negative di un'edizione degli Oscar altrimenti impeccabile. L'unico vero 'neo', in effetti, è stato il premio per la miglior sceneggiatura adattata, attribuito al regista e comico neozelandese Taika Waititi per la commedia antinazista Jojo Rabbit: una scelta discutibile, che ha premiato un film non troppo amato dalla critica (e che proprio nella scrittura riscontra qualche limite) a discapito di The Irishman, ma pure dell'originale adattamento del romanzo di Louisa May Alcott firmato dalla raffinatissima penna di Greta Gerwig per il suo Piccole donne (sei nomination e una statuetta per i costumi di Jacqueline Durran). La Pixar può festeggiare l'elezione di Toy Story 4 come miglior film d'animazione, mentre nel settore tecnico Le Mans '66 - La grande sfida si porta a casa i premi per il montaggio e gli effetti sonori.
Jojo Rabbit, o "We can be heroes": un film da Oscar tra satira e fiaba
Da Elton John a Eminem, una serata nel segno della musica
In assenza dei consueti intermezzi comici del conduttore, e con un breve (e poco incisivo) siparietto affidato a Steve Martin e Chris Rock, maggior spazio è stato riservato alla musica, a partire dal numero d'apertura: un medley eseguito con vivacità e perfetta padronanza della scena da Janelle Monáe. Fra le esibizioni dei cinque brani candidati all'Oscar per la miglior canzone, per Into the Unknown Idina Menzel si è fatta accompagnare sul palco da numerose doppiatrici internazionali di Frozen II, Cynthia Erivo ha strappato gli applausi per la sua performance del brano Stand Up ed Elton John ha eseguito, voce e piano, la sua (I'm Gonna) Love Me Again, composta per il musical Rocketman, che pochi minuti più tardi gli ha fatto conquistare un secondo Oscar, ma stavolta in coppia con il suo storico paroliere Bernie Taupin.
La giovanissima popstar Billie Eilish, introdotta da Steven Spielberg, ha corredato il segmento In memoriam con una cover di Yesterday dei Beatles, ma ad attirare maggior attenzione è stata una performance "fuori programma": quella di Eminem, comparso senza preavviso sul palco dopo un video-tributo al connubio fra le canzoni e il cinema, per eseguire (con diciassette anni di 'ritardo') la sua popolarissima hit Lose Yourself, che gli era valsa un Oscar nel 2002. A livello musicale uno dei momenti clou della serata, nonostante una reazione vagamente annoiata di Martin Scorsese diventata virale sui social media. Una nota di merito, infine, va riservata al duo formato da Maya Rudolph e Kristen Wiig, chiamate a consegnare gli Oscar per scenografie e costumi: l'alchimia fra le due star comiche ci ha ricordato quanti potenziali ottimi conduttori - e soprattutto conduttrici - l'Academy potrebbe sfruttare per le sue prossime edizioni, anche soltanto pescando dalla fucina di talenti del Saturday Night Live.
Elton John e il cinema: le sue canzoni nei film, da Rocket Man a Tiny Dancer