Dai tempi dell'invasione sovietica ad Endurign Freedom, fino alla fuga precipitosa di questi giorni. Ne è passato di tempo da quando Rambo 3 aveva dipinto i mujaheddin come eroici ed astuti guerrieri dalla parte del bene. Ora invece la situazione è diversa, da quasi vent'anni sono descritti come nemici dell'Occidente. Dopo quarant'anni, il disastro in cui versa l'Afghanistan, l'ennesima vittoria talebana è sotto gli occhi di tutti e il pensiero non può che correre a come la settima arte abbia parlato di questa tragedia, di un paese disgraziato e martoriato, della guerra caotica e brutale che vi è infuriata, degli uomini e donne che da essa sono stati inghiottiti.
Scopriamo insieme i migliori film sulla Guerra in Afghanistan, che hanno esplorato come questa guerra riguardi il passato e il presente di questo paese, come l'Occidente abbia contribuito a crearvi una nuova strada per l'inferno, lastricata da retoriche buone intenzioni.
1. Belva di Guerra (1988)
Nel 1988, la sconfitta sovietica in Afghanistan era ormai sotto gli occhi di tutti, così come l'incredibile cumulo di orrori e nefandezze che l'esercito aveva commesso nei confronti della popolazione locale, creando le premesse per la nascita di quel fondamentalismo islamico che tutti conosciamo. Kevin Reynolds in quell'anno, dirige uno dei più crudi, belli e sofisticati War Movies degli anni 80, Belva di guerra, con un cast che annoverava Jason Patric, Steven Bauer, Stephen Baldwin, Kabir Bedi e Erik Avari. L'equipaggio di un carro armato perso nei massacri diventa il simbolo di quell'invasione, di quel disastro militare ed umano, a bordo di un mostro d'acciaio, uno dei tanti con cui la Russia pensava di conquistare in breve tempo una terra che non aveva mai conosciuto padroni. Reynolds dimostra la totale mancanza di moralità e umanità di quella guerra, di quanto distruggere l'anima abbia condannato anche i sopravvissuti ad una dimensione inferiore a quella di un normale essere umano. Il potente mezzo corazzato diventa il simbolo della crudeltà bellica, della tecnologia che strangola la vita, del forte che cerca di schiacciare il più debole, quei mujahideen che all'epoca erano visti come veri e propri eroi dall'occidente anticomunista. Altro elemento per nulla trascurabile, Belva di Guerra oltre a non essere retorico o antisovietico (è in realtà antimilitarista), ci parla soprattutto della cultura pasthun, certamente tribale, ma anche votata ad una dimensione di solidarietà e comprensione tutt'altro che secondarie.
2. Cose di questo mondo (2002)
La tragedia della migrazione forzata del popolo afghano che ora conoscerà un nuovo, tragico capitolo. A partire dagli anni Ottanta, nessun'altra nazione ha visto così tanti suoi abitanti costretti alla fuga per cercare una speranza di vita o anche solo un briciolo di dignità e futuro. Di tutto questo ha parlato un film straordinario come Cose di questo mondo, diretto da Michael Winterbottom, premiato con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino nel 2003. Protagonista è un giovanissimo ragazzo afghano, Jamal, che assieme al cugino Enayat, decide di tentare la sorte, di percorrere la cosiddetta via della seta, un viaggio lungo, pericoloso, degradante per arrivare in Regno Unito. I due si troveranno alle prese con ogni terribile aspetto di quell'orrore che è l'immigrazione clandestina. Winterbottom cuce un road-movie dal taglio semi-documentaristico, naturalista, non però privo di poesia e di sentimento, né scevro della fiducia nell'umanità, in particolare in quella degli ultimi, propensi alla condivisione e al sostegno reciproco. Percorso da un'energia vibrante, capace di regalare paura come serenità, terrore come ironia, Cose di questo mondo è tra i film in questa lista quello che più riesce a far provare allo spettatore le motivazioni che spingono ancora oggi milioni di persone a rischiare la morte pur di avere un futuro. A quasi vent'anni di distanza, questa pellicola non ha perso nulla della sua bellezza, della sua capacità di svegliare sentimenti universali nello spettatore, così come di far comprendere la portata del disastro consumatosi in quella terra antica e tormentata.
3. Leoni per agnelli (2007)
Robert Redford nel 2007 fu accolto malissimo dalla critica e pubblico per aver creato con Leoni per agnelli una feroce critica trasversale alla società e politica americane.
Redford aveva messo in scena un profetico parallelo tra il disastro che si consumava tra le montagne piene di neve e ribelli in Afghanistan, e quel Vietnam che aveva ingoiato la generazione della contestazione, distrutto l'America e la sua presunta innocenza.
Una giornalista di sinistra che intervista un Senatore repubblicano guerrafondaio e ambizioso, due ragazzi arruolatisi per coerenza con il proprio credo che muoiono da soli contro i talebani, infine uno studente demotivato che si confronta con il suo professore universitario.
Leoni per agnelli è il ritratto sconsolato e feroce, di un paese incapace di guardarsi in modo critico, che ha dimenticato gli stessi valori per i quali sostiene di aver mandato i propri soldati per mezzo mondo.
Redford non risparmia nessuno e non si nasconde mai, critica il regime politico semi autoritario voluto da Bush e dalla destra conservatrice e ultranazionalista, critica però forse in modo ancora più forte la stampa e il fronte liberal in generale, ammansiti dall'amor di Patria e dalla paura di essere messi in minoranza. Film di enorme caratura dal punto di vista attoriale, con un cast che conta oltre a Redford, Tom Cruise, Meryl Streep e un giovane Andrew Garfield, Leoni per agnelli è cinema civile, nel senso più alto e nobile del termine.
Naturalmente, come quasi sempre in questi casi, la sua reale caratura e l'immenso valore dei contenuti sono stati afferrati solo molti anni dopo, soprattutto alla luce della verità innegabile della Storia. L'America è il paese che ripete sistematicamente i propri errori, che manda i suoi figli a morire in posti sperduti, che parla di libertà senza sapere cosa veramente sia.
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4. La Guerra di Charlie Wilson (2007)
Gli aiuti dati degli americani ai mujahideen in Afghanistan sono arcinoti, così come è arcinoto il paradossale epilogo materializzatosi in questi giorni. Tuttavia, su come sia cominciata quella complessa operazione di spionaggio, finanziamento ed organizzazione della resistenza del popolo talebano contro l'Armata rossa, fino al 2007 era una realtà nota a pochissimi. Ebbene il nome dell'uomo che più di tutti contribuì al disastro dell'URSS, era quello di Charlie Wilson, un Senatore Democratico texano, più noto per lo stile di vita da playboy incallito e amante del whisky, che per gli ideali. A donargli una patina di cinismo, carisma e un senso dello humor meraviglioso è stato il grande Tom Hanks, nel biopic frizzante, divertente e grottesco diretto da Mike Nichols, che lo circondò di un cast di grande caratura, comprendente Julia Roberts, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams ed Emily Blunt. La guerra di Charlie Wilson è sicuramente il film più divertente da vedere tra quelli presenti in questa lista, eppure nonostante le apparenze, forse anche il più drammatico, se si pensa quale realtà emerga dai suoi 102 minuti. L'America è simile a un gigantesco e letale bambino, incapace di guardare oltre l'effetto immediato delle sue azioni, egoista e chiuso in una bolla di autocelebrazione che naturalmente finisce sempre per costargli carissima.
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5. I Racconti di Parvana (2017)
Gioiello dell'animazione indipendente, I Racconti di Parvana, diretto da Nora Twomey e tratto da un romanzo di Deborah Ellis, è uno dei film più importanti in questa lista, per l'universalità del messaggio e a assieme la fedeltà alla realtà. La vita della giovane Parvana, undicenne afgana residente a Kabul, viene sconvolta quando il padre viene arrestato dai talebani, lasciando la famiglia in una profonda miseria, visto che le donne non possono lavorare. Ecco allora che la giovane ragazza (come molte sue coetanee) si traveste da maschio, per poter mantenere la famiglia, traducendo, vendendo e scrivendo lettere come faceva il padre. Opera sensibile ed assieme incredibilmente intensa, I racconti di Parvana - The Breadwinner è un atto d'amore verso l'Afghanistan ed i suoi abitanti, ma soprattutto un'iniezione di fiducia verso l'umanità. Bene e male non sono assoluti ma scelte personali, ovunque è possibile trovare il modo di sopravvivere, ma soprattutto nella nostra mente, grazie all'immaginazione che è la porta per la comprensione universale. Elegante, mai retorico, a metà tra sogno e realtà, I Racconti di Parvana è una piccola magnifica fiaba, su un popolo straordinario e martoriato dalla Storia, sulle donne costrette a sopravvivere tra mille espedienti ad ogni età.
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6. Lone Survivor (2014)
Senza ombra di dubbio è uno dei film che il grande pubblico generalista conosce di più su questo conflitto che ha insanguinato una terra già martoriata per vent'anni. Tuttavia, se Lone Survivor si trova in questa top 10 non è tanto per i suoi meriti ma soprattutto per i suoi demeriti, per i difetti che porta con sé e che ne fanno una manifestazione assolutamente impagabile della narrazione bellica americana, di ciò che secondo loro doveva essere questa guerra. Spacciato come film verità su una delle più disastrose sconfitte subite in terra afghana da parte delle forze speciali americane, Lone Survivor ci parla dell'operazione Red Wings, di un commando esploratore di quattro uomini che venne isolato e massacrato dalle forze ostili. Nel tentativo di aiutare quegli uomini un intero squadrone dei Navy Seals trovò la morte. Marcus Lutrell, che ha i modi decisi e la recitazione sempre sopra le righe di Mark Wahlberg, fu l'unico sopravvissuto grazie all'intervento di una tribù pashtun e di un uomo in particolare: Gulab (Ali Suliman). Questo è tutto ciò che di vero via sia in questo film, semplicemente perfetto dal punto di vista tecnico, per come sa ricreare il caos e la mancanza di riferimento, la terribile realtà di uno scontro armato in un territorio così aspro e ostile. Per il resto, è uno dei peggiori War Movie del XXI secolo, un concentrato di retorica, falsità e mistificazione della verità ad uso e consumo di un happy ending "amerikano" come non si vedeva dai tempi di Berretti verdi. Il miglior esempio di come Hollywood, ma più in generale l'America post 11 settembre, non riesca mai a concepire la parola sconfitta, a narrarla con onestà fino in fondo, a rinunciare al pro patria mori a proprio uso e consumo.
7. War Machine (2016)
David Michôd nel 2016 dirige War Machine, con un Brad Pitt a metà tra parodia e decostruzione di uno dei grandi topoi della narrazione americana: l'eroe in divisa. Il suo generale Glen McMahon, ispirato palesemente a quel McChrystal che rimane una delle figure più controverse e divisive della guerra in Afghanistan, si muove all'interno di un gigantesco circo impazzito, in cui nessuno ma davvero nessuno, ha un minimo di credibilità, serietà e autorevolezza. Non i politici, infingardi e sguscianti, non lui, generale armato di falsa umiltà e sproloquio da guru neo capitalista, che si circonda di collaboratori tra il ridicolo e l'involontariamente comico. L'Afghanistan qui viene rappresentato come una sorta di enorme contenitore all'interno del quale è possibile trovare tutta la retorica, l'ignoranza, l'irritante semplificazione e l'autoritarismo che hanno reso la macchina bellica statunitense allo stesso tempo la più potente e la più impotente dei tempi moderni. Con questo biopic, la memoria non può che andare che a Westmorland, al Vietnam, ad un altro Generalissimo pieno di vanità ed entusiasmo malriposto, che come McMahon non ha saputo fare altro che addentrarsi armato di autocompiacimento in una crociata senza senso. Pedante, innamorato della propria voce, viene sconfitto non dai talebani, o da quelle montagne che hanno ingoiato ogni conquistatore dei tempi di Alessandro Magno, ma da sé stesso, da un sistema di potere politico che mette la propria sopravvivenza sopra ogni altra cosa, anche la vittoria. Nessun altro film è stato così eloquente e cristallino, nel parlarci della genesi della sconfitta in Afghanistan, di quale impero dell'ignoranza l'abbia generata come War Machine. Il fatto più inquietante è che la realtà è anche più assurda e tragica di come questo cult imperdibile ce l'abbia mostrata.
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8. Whiskey Tango Foxtrot (2016)
Un altro film cinicamente ironico e grottesco, eppure capace di parlarci della tragedia afghana, scegliendo un punto di vista sicuramente molto interessante e tutt'altro che secondario: quello della stampa. I conflitti in Medio Oriente hanno visto i media stretti in una morsa, che li ha sovente depotenziati, non gli ha permesso di operare da quella equidistanza che il giornalismo da sempre richiede. Whiskey Tango Foxtrot, diretto da Glenn Ficarra e John Requa, tratto dalle memorie della giornalista americana Kim Barker (interpretata da Tina Fey) è ambientato nella Kabul del 2002, quando al termine di una veloce offensiva, sembrava che i talebani fossero stati definitivamente sconfitti. A farle compagnia nella Green Zone, riservata agli occidentali in particolare i giornalisti, c'è la bellissima ed astuta collega Tanya Vanderpoel (Margot Robbie), che le farà da guida all'interno di un universo completamente separato dalla realtà di un paese in preda al caos e ai massacri. Whiskey Tango Foxtrot analizza la mancanza totale di empatia dimostrata in questi vent'anni verso la popolazione afghana, la distanza tra occidente ed oriente, non solo culturale, ma soprattutto la centralità nello storytelling mediatico. L'egoismo, l'autoreferenzialità della parte privilegiata del mondo balzano agli occhi, ma il vero problema posto in modo brillante da questo film è la degenerazione della deontologia professionale del giornalismo. Non conta più la verità ma l'audience, non è più primario svegliare le coscienze e creare giornalismo d'inchiesta, ma fare carriera con scoop fini a se stessi.
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9. The Kill Team (2019)
Come nel Vietnam, anche la guerra in Medio Oriente ha fatto precipitare l'America in un abisso di amoralità e d'orrore, ha distrutto un'intera generazione finita ad imbracciare il fucile, pensando di difendere la propria patria e trovatasi invece nel mezzo di un inferno fatto di lotte tribali, attentati e morte. L'elenco di crimini di guerra commessi dagli eserciti della NATO, dagli americani in particolare, è tanto lungo quanto in realtà abbastanza poco noto al grande pubblico. Tuttavia nel 2019 Dan Krauss dirige un film crudo, inquietante e di enorme potenza espressiva: The Kill Team. Con tale termine fu definita dalla stampa americana una squadra di fucilieri che in Afghanistan si era macchiata di uccisioni sconsiderate e del tutto immotivate ai danni dell'inerme popolazione civile. Krauss, soprattutto grazie ad un Alexander Skarsgård straordinario nell'impersonificare il concetto stesso di sadismo, ci offre un punto di vista privilegiato per comprendere che cosa spinga un uomo teoricamente normale, a farsi dominare dal male. Omertà, ignoranza, razzismo, il culto della violenza non sono qui rappresentati semplicemente come qualcosa di inevitabile in un teatro bellico. The Kill Team sposa la tesi secondo la quale tutto questo è insito nella testosteronica società americana, nella sua stessa dimensione di gruppo verticistico. A livello micro e a livello macro, la leadership è per l'America una sorta di religione laica. Non è mai esistita una guerra giusta, quindi non sono mai esistiti uomini giusti in guerra, tuttalpiù uomini in grado di comprendere come la malvagità camminasse al loro fianco e per questo più pronti degli altri a difendersi da essa.
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10. The Outpost (2020)
La similitudine tra Vietnam e Afghanistan si è realizzata nelle immagini e nei video che stanno facendo il giro del mondo in questi giorni, con la fuga precipitosa, la disperazione di chi non vuole restare indietro, i politici in affanno. Tuttavia la dimensione di un disastro simile a quello che distrusse l'anima dell'America del Sud est asiatico, si era palesata in Afghanistan già da diversi anni, e The Outpost di Rod Lourie è uno dei migliori film in assoluto, per ciò che riguarda il caos e la totale negligenza che contraddistinsero la strategia sul campo da parte dell'America. Tratto dalla vera storia di un assedio portato ad una base avanzata, in una specie di imbuto tra le colline brulle ed inospitali, The Outpost è un film di guerra di altissimo livello, girato in modo semplicemente perfetto, per far comprendere la totale anarchia e mancanza di controllo che caratterizzano un campo di battaglia. Al contrario di un Lone Survivor o Act of Valor, qui non abbiamo a che fare con super soldati votati al sacrificio o guerrieri ipertecnologici, ma soprattutto con uomini comuni, comandati in modo inetto e negligente, intrappolati dentro divise che scottano quasi come il sole afghano. Nessun altro film in questa lista riesce a comunicare la totale mancanza di logicità, la casualità che fa la differenza tra vivere o morire, tra impattare una pallottola o schivarla. Lourie non si lascia andare a nessun giudizio morale o di merito su quella guerra, gli afgani sono come erano gli indiani per John Ford, privati però della caratterizzazione mostruosa o aliena, resi casomai un tutt'uno con un mondo che rifiuta e odia l'ennesimo invasore disorganizzato. Lo sguardo freddo e neutrale della telecamera, la totale assenza anche esteticamente di una nobilitazione del fatto d'armi in sé contribuiscono al piglio semi-documentaristico dell'insieme, al suo essere una storia di uomini, non di eroi o aspiranti tali come a lungo è stato offerto al pubblico americano.
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