Tradizionalmente, nel cinema americano, il cortometraggio, live-action o animato, era sempre considerato un'entità a sé, facente parte del programma che precedeva la proiezione dell'attrazione principale in sala, ossia il lungometraggio (il programma in questione includeva anche alcuni cinegiornali, per un totale di circa mezz'ora di materiale preliminare).
Al giorno d'oggi, invece, capita - con una frequenza maggiorata negli ultimi anni - di imbattersi in corti che sono stati trasformati in lungometraggi, in modo diretto o indiretto (Toy Story, per esempio, nacque dagli scarti di un possibile sequel del corto Tin Toy).
Oggi, a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, escono nelle nostre sale due rappresentanti di questo filone: Babadook di Jennifer Kent e Pixels di Chris Columbus. Un'ottima scusa per rinfrescarsi la memoria con alcune di queste piccole storie successivamente espanse per il grande schermo. La classifica è in ordine cronologico, relativamente all'uscita del corto originale.
1. Da Electronic Labyrinth: THX-1138 4EB (1967) a L'uomo che fuggì dal futuro (1971)
Disponibile tra i contenuti speciali del DVD de L'uomo che fuggì dal futuro, questo film rappresenta il prototipo dell'opera prima di George Lucas, concepita nel 1967 mentre questi era uno studente alla University of Southern California. Lucas aveva avuto l'idea di realizzare una storia di fantascienza usando solo oggetti e location preesistenti, e ricevette l'opportunità perfetta per mettere in atto i propri progetti quando gli venne proposto l'ingrato compito di occuparsi del corso di cinema destinato ai registi che lavoravano per la marina. In cambio, l'esercito avrebbe pagato per la pellicola e le spese di post-produzione. Lucas riuscì anche ad accedere a zone solitamente proibite, come i due aeroporti principali di Los Angeles. Il risultato finale è sostanzialmente una versione condensata del finale del lungometraggio, di cui viene anticipata anche l'estetica. L'unica differenza di un certo peso: nel corto, gli attori - tutti soldati - non hanno la testa rasata.
2. Da Frankenweenie (1984) a Frankenweenie (2012)
Omaggio in bianco e nero a Frankenstein, inteso sia come romanzo che come film, il secondo corto di Tim Burton, dopo l'animato Vincent, è un piccolo gioiello spassosamente macabro, la storia di un ragazzino che decide di resuscitare l'amato cane Sparky, con conseguenze non interamente positive. Realizzato con attori in carne ed ossa (i coniugi Frankenstein, genitori del protagonista, sono Shelley Duvall e Daniel Stern), il film portò al licenziamento di Burton da parte della Disney, convinta che il giovane animatore stesse sprecando le risorse dello studio su un prodotto invendibile in quanto ritenuto inadatto al pubblico più giovane. Quando il cineasta trovò fortuna altrove, Frankenweenie ebbe una seconda vita, prima come VHS nel 1992 e poi come contenuto extra - insieme a Vincent - dell'edizione DVD di Nightmare Before Christmas. Nel 2012, grazie anche al successo di Alice in Wonderland, che suggellò la riconciliazione ufficiale tra Burton e la Disney, è uscito il lungometraggio Frankenweenie, questo realizzato in stop-motion (l'unico elemento live-action è il cameo televisivo di Christopher Lee nei panni di Dracula).
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3. Da Cashback (2004) a Cashback (2006)
Prima di dirigere Lena Headey nel mediocre The Broken e conquistare una nomination all'Oscar nella categoria del film straniero con Metro Manila (produzione inglese, ma girata nelle Filippine e recitata interamente in tagalog), il regista inglese Sean Ellis si era fatto notare nel circuito festivaliero con il corto Cashback, dal quale scaturì l'omonimo lungometraggio, di successo inferiore rispetto al prototipo. D'altronde l'intuizione brillante del regista - per sconfiggere la noia sul posto di lavoro, lo studente Ben Willis immagina di poter fermare il tempo - era costruita apposta per reggere la durata più breve del corto (meno di venti minuti), e soffre per via della dilatazione narrativa in forma più lunga. Un biglietto da visita curioso ed affascinante che vale la pena riscoprire.
4. Da 9 (2005) a 9 (2009)
Un altro cortometraggio "universitario", questa volta nel contesto della prestigiosa UCLA, dalla quale è uscito, fra gli altri, Francis Ford Coppola. 9 è un progetto studentesco di Shane Acker, che impiegò quattro anni per completare il suo breve racconto post-apocalittico avente per protagonista una bambola di pezza senziente. Notevole soprattutto per il design dei personaggi e l'atmosfera piacevolmente lugubre, il film conquistò nientemeno che Tim Burton, che propose ad Acker di realizzare una versione estesa per le sale cinematografiche. Ne uscì appunto 9, con le voci - in originale - di Elijah Wood, John C. Reilly e Martin Landau (il corto originale non aveva dialoghi). Un ottimo sfoggio di bravura da parte di un talento visionario di cui aspettiamo ancora, fiduciosi, il prossimo parto creativo.
5. Da Monster (2005) a Babadook (2014)
No, non stiamo parlando del film di Patty Jenkins in cui Charlize Theron interpreta la serial killer Aileen Wuornos. Questo Monster è il primo cortometraggio - dieci minuti di durata - di Jennifer Kent, attrice australiana passata dietro la macchina da presa. È la storia di una madre che deve fare i conti con le paure del figlio, tormentato da una creatura misteriosa ed implacabile chiamata Babadook. Sì, proprio quel Babadook che nel 2014 ha terrorizzato gli avventori del Sundance e - per l'Italia - del Festival di Torino, mostrando un volto inedito dell'horror australiano (finora noto per Wolf Creek e, attraverso la trasferta americana del regista James Wan, la saga di Saw, anch'essa nata da un cortometraggio) e aprendo alla sua regista le porte di Hollywood, se sono vere le voci che circolavano sulla sua candidatura per la regia di Wonder Woman.
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6. Da Alive in Joburg (2006) a District 9 (2009)
1990: nel cielo sopra Johannesburg si manifestano diverse astronavi, i cui abitanti sono costretti a coesistere con la popolazione di colore, innescando tensioni razziali al fianco di quelle già esistenti. Questo il contenuto di Alive in Joburg, sei minuti di allegoria politica ad opera del sudafricano Neill Blomkamp, che nel 2006 si è fatto notare con questo lavoro molto personale che mescola finto documentario e vere immagini d'archivio (gli spezzoni in cui non si parla apertamente di alieni sono tratti da materiali dell'epoca dell'apartheid). Tra i fan della prima ora c'è stato un certo Peter Jackson che, dopo un tentativo fallito di portare sullo schermo il videogioco Halo, ha aiutato Blomkamp ad espandere la premessa di Alive in Joburg per un lungometraggio. Il risultato è stato District 9, osannato dalla critica e candidato agli Oscar per il miglior film e la migliore sceneggiatura non originale. Il protagonista di questa versione, Sharlto Copley (amico di vecchia data del regista, nonché suo produttore), era già apparso in Alive in Joburg nei panni di un cecchino.
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7. Da Mamá (2008) a La madre (2013)
Tre minuti di tensione e brividi, con due bravissime attrici bambine ed una "madre" a dir poco terrificante. Questo il contenuto di Mamá di Andres Muschietti, regista argentino che con il suo corto si è fatto un nome nei festival di genere ed è riuscito a spaventare a morte Guillermo del Toro, il quale gli ha subito proposto di trarne un lungometraggio. Trattasi de La madre, con Jessica Chastain e Nikolaj Coster-Waldau. Cambiano l'ambientazione e la lingua, ma l'orrore non ne risulta diluito, anzi, le sue origini ispaniche vengono evocate spudoratamente nella persona di Javier Botet, che dopo aver interpretato la bambina indemoniata nella saga di Rec presta il corpo alla "madre" del titolo. Da notare che inizialmente, nella transizione al lungometraggio, Muschietti pensò di eliminare la sequenza basata sul corto originale. Fu del Toro ad insistere perché venisse inclusa, e a ragione: anche chi ha visto la prima versione rimarrà terrorizzato dinanzi al rifacimento in lingua inglese.
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8. Da Pixels (2010) a Pixels (2015)
Questo corto di origine francese, premiato al festival dell'animazione di Annecy nel 2011, è quello che si discosta di più, a livello contenutistico, dalla sua versione estesa per il grande schermo. Nell'immaginazione di Patrick Jean, i pixel malefici non sono il frutto di un'invasione aliena, bensì del malfunzionamento di un televisore degli anni Ottanta. Seguono due minuti di puro delirio visivo, con i pixel che conquistano gradualmente il pianeta assumendo le sembianze di Pac-Man, Donkey Kong ed altri. Per la componente extraterrestre bisognerà aspettare il Pixels di Chris Columbus, così come la presenza di Adam Sandler, Kevin James e Peter Dinklage nei panni di coloro che salveranno il mondo...
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9. Da T Is for Turbo (2011) a Turbo Kid (2015)
Nel 2012 è uscito il film antologico The ABCs of Death, contenente 26 cortometraggi, uno per ogni lettera dell'alfabeto anglosassone, avente per tema la morte in tutte le sue forme. Per la scelta di uno dei corti fu organizzato un concorso, al quale partecipò un trio canadese con T Is for Turbo, omaggio in salsa splatter al cinema post-apocalittico degli anni Ottanta (in particolare Interceptor), con protagonista un ragazzino che diventa un supereroe. Il corto non convinse abbastanza da essere incluso in The ABCs of Death, ma permise ai registi di ottenere i fondi per raccontare la storia più in grande. Quattro anni dopo, tale progetto ha visto la luce con il titolo Turbo Kid, recentemente presentato al festival South by Southwest. La sua componente vecchio stampo è ancora più marcata, dalla voce narrante che dice "Questo è il futuro: anno 1997" alla presenza dell'inossidabile Michael Ironside nei panni del cattivissimo Zeus. Tante idee, tanto sangue, tantissime risate.
10. Da Whiplash (2013) a Whiplash (2014)
Cosa fare se nessuno vuole darti i soldi per il tuo primo lungometraggio? Convincili della validità dell'idea usando parte del copione per girare un corto. È quello che ha fatto, su suggerimento dei produttori Jason Blum e Jason Reitman, il regista Damien Chazelle per poter realizzare Whiplash. Ha preso la scena più importante del film - quella del primo scontro verbale fra il professor Fletcher e l'aspirante musicista Andrew - e ne ha ricavato un concentrato di ritmo e rabbia che ha saputo convincere i giurati del Sundance, portandosi a casa il premio per il miglior cortometraggio. È tornato al festival del cinema indipendente un anno dopo con il lungometraggio, grazie al quale J.K. Simmons - già presente nel corto per via del suo legame professionale con Reitman - ha vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista.
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