Recensione La madre (2013)

Da un suo cortometraggio del 2008, il regista Andrés Muschietti trae un melò/horror dall'interessante scrittura, ma eccessivamente convenzionale nella messa in scena.

Cuore di madre, cuore di tenebra

Siamo nel 2007, all'inizio della crisi finanziaria che sconvolgerà l'economia mondiale. Jeffrey, uomo reso folle dalla disperazione, uccide i propri soci e sua moglie, per poi rapire le sue due bambine, Victoria e Lilly. La folle corsa in macchina dell'uomo si ferma prima con uno schianto contro un albero, e in seguito in un casolare abbandonato, posto in aperta campagna. Mentre Jeffrey sta per concludere il suo macabro lavoro, togliendo la vita prima alle sue due bambine e poi a sé stesso, una misteriosa presenza si manifesta nella casa. E' spettrale, rapida e letale: per il folle genitore non c'è scampo. Cinque anni dopo, l'uomo e le sue figlie sono ufficialmente dispersi; ma, durante una ricognizione tra i boschi, Lucas, fratello di Jeffrey e guardia forestale, si imbatte casualmente nel casolare, in cui trova nelle due bambine. Queste sembrano aver vissuto gli ultimi cinque anni in uno stato selvaggio: parlano pochissimo e hanno perduto quasi tutto ciò che avevano assimilato della vita civile. Inoltre, sembrano turbate da una misteriosa presenza, una donna che le avrebbe accudite e che forse esiste solo nelle loro fantasie. Ma, gradualmente, prima il loro psichiatra, il dottor Dreyfuss, e poi Annabel, fidanzata di Lucas, iniziano a credere che la misteriosa "madre" possa essere reale.


L'idea originale di questo La madre nasce da un cortometraggio realizzato nel 2008, circa 3 minuti che mostravano due bambine chiuse in casa, terrorizzate da una spettrale e mostruosa figura materna. Il regista del corto Mamà è lo stesso Andrés Muschietti (già specializzato in spot pubblicitari) che ha ora deciso di sviluppare quell'embrione ideale in un lungometraggio, il suo esordio sul grande schermo. Si possono intuire, guardando questo film, i motivi che hanno portato Guillermo Del Toro (qui produttore esecutivo) a interessarsi al progetto: questi risiedono tutti nell'interessante sceneggiatura del film, scritta a sei mani dal regista, dalla sorella Barbara Muschietti e da Neil Cross (autore della serie Luther). I temi trattati dal copione sono tutti in linea con le recenti tendenze dell'horror iberico, incarnate dalle opere dello stesso Del Toro, dai lavori di Jaume Balaguerò, da un gioiellino come il recente The Orphanage: ghost story dal tono cupo e fiabesco (sono espliciti, in questo senso, i disegni infantili che appaiono sui titoli di testa) con uno sguardo particolare all'infanzia, ai suoi misteri e ai suoi magici rituali, ma anche alla fragilità e all'abbandono, alla solitudine di bambini costretti a pagare le colpe di generazioni passate, a volte trasformati essi stessi, loro malgrado, in entità ostili. Si coglie anche, in uno script che racconta una storia di abbandono, ma anche di amore materno frustrato e violentato, un collegamento con il giapponese Dark Water: diversissimo per messa in scena e humus culturale di base, analogo per temi trattati e substrato melodrammatico.

Le ottime premesse, e la convincente scrittura di questo La madre, non possono tuttavia cancellare i limiti di una messa in scena scolastica, convenzionale, decisamente poco personale. Muschietti, nel dirigere il film, si è limitato a replicare, dilatandolo, il look già messo in mostra nel suo corto, che funzionava in quanto essenziale e scevro da una vera scrittura. Quei tre minuti vengono qui replicati, diremmo clonati, in una serie di sequenze tutte molto simili tra loro, che mostrano una concezione della paura decisamente superficiale. L'insistenza sulla ricerca dell'effetto-shock, puntualmente atteso quanto inoffensivo, toglie attrattiva e credibilità ad una vicenda che avrebbe avuto bisogno di un tocco più sottile, di un impianto visivo meno esplicito e più teso alla sottrazione. Lo stesso aspetto della creatura, più in ombra e "suggerito" nel corto, viene qui messo in mostra in modo esplicito, denunciando tutti i limiti di un disegno digitale posticcio e poco attraente. E' un peccato che Muschietti abbia scelto la via più facile e meno rischiosa al genere, evitando di costruire un'atmosfera davvero rispondente alle potenzialità della storia: anche perché lo stesso potenziale attoriale non è male, a cominciare da una convincente Jessica Chastain (che dà vita a un personaggio interessante, dapprima "madre" per forza, poi sempre più per scelta) per finire con le giovanissime Megan Charpentier e Isabelle Nélisse. Il lato melò della storia, inevitabilmente sacrificato dalla convenzionalità della messa in scena, emerge con forza in un intenso finale: ma il coinvolgimento emotivo resta inficiato da una regia che, per 100 minuti, non ha fatto che inanellare spaventi preconfezionati e poco efficaci. Così, pur lasciandosi seguire e regalando qualche salto sulla sedia (ma ne abbiamo davvero - ancora - così bisogno?) La madre lascia l'inevitabile amaro in bocca di un'occasione sprecata.

Movieplayer.it

3.0/5