In ogni strada di questo paese c'è un nessuno che sogna di diventare qualcuno. È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo.
È un sorriso di trionfo ad allungarsi sul volto di Joaquin Phoenix, quel volto coperto da un'impressionante maschera di trucco slabbrato, nell'epilogo di Joker. Ed è l'accenno di un sorriso, o forse un ghigno, a illuminare per un attimo il viso di Robert De Niro quando, nel finale di Taxi Driver, si punta un indice sanguinante alla tempia, in un grottesco gesto di follia. In un caso e nell'altro, il sorriso è il suggello di un eccidio: il bagno di sangue in cui Arthur Fleck e Travis Bickle hanno deciso di immergere se stessi, per poi rinascere a nuova vita.
Il 'debito' del film di Todd Phillips nei confronti del capolavoro di Martin Scorsese era dichiarato in partenza, fin dall'ideazione di uno dei progetti più ambiziosi nella storia della DC Films, ed è apparso evidente fin dalla sua presentazione in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia (vi rimandiamo in proposito alla recensione di Joker). Il cinema di Martin Scorsese appare come il modello di riferimento primario per Todd Phillips sotto vari punti di vista: sul piano stilistico, innanzitutto, ma anche su quello narrativo, con un'intera sezione di Joker che ricalca uno dei film meno fortunati di Scorsese, Re per una notte, inclusa la presenza di Robert De Niro come ideale trait d'union fra le due pellicole.
Ma ancor più di Re per una notte è probabilmente Taxi Driver, il classico del 1976 interpretato da un De Niro in stato di grazia, ad aver esercitato la maggiore influenza nella realizzazione di Joker. Premiato con un sorprendente Leone d'Oro al Festival di Venezia e arrivato da pochi giorni nelle sale, Joker è un cinecomic sui generis in cui la mitologia legata a Batman e a Gotham City viene rielaborata secondo canoni mutuati da quelli della New Hollywood, piuttosto che dal filone dei superhero movie. E proprio tale aspetto costituisce uno dei principali motivi d'interesse di un film estremamente significativo, con la sua declinazione in chiave contemporanea di una tenebrosa parabola simile a quella di Travis Bickle. (Prima di procedere con la lettura, è necessario tenere conto che da qui in poi seguiranno diversi spoiler sulla trama di Joker.)
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L'inferno in movimento: New York e Gotham City
New York, scenario ricorrente di gran parte della filmografia scorsesiana, non è soltanto la 'cornice' di Taxi Driver, ma un elemento alla radice del film e connaturato all'alienazione del protagonista. "Grazie al cielo è venuta la pioggia, è servita a ripulire un po' le strade dall'immondizia che si era ammonticchiata", dichiara la voce narrante di Travis; "Un giorno o l'altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre". Nella sua recensione di Taxi Driver per il New Yorker Pauline Kael, fra le più importanti voci della critica in merito al cinema della New Hollywood, non ha mancato di sottolineare il ruolo svolto da New York nel definire la poetica di Scorsese: "Non c'è grazia né compassione nell'atmosfera illuminata artificialmente. I neon rossi, i vapori che si sollevano dalle strade, la fatiscenza, li percepiamo nello stesso modo in cui li percepisce Travis".
E la Gotham City dipinta in Joker, lungi dall'eleganza futuristica o dalla stravaganza gotica a cui ci avevano abituato i vari film su Batman, da Tim Burton a Christopher Nolan, non è troppo distante dalla New York di Taxi Driver, con i cumuli di spazzatura affastellati lungo i marciapiedi ad accrescere lo squallore imperante di questa giungla d'asfalto. È un primo, fondamentale indizio di come la pellicola di Phillips sia ancorata all'immaginario scorsesiano, a quell'incubo metropolitano che la Kael ha saputo descrivere in maniera magistrale: "La New York di Scorsese è la grande città dei thriller con cui lui ha nutrito la sua immaginazione, ma in un successivo stadio di decadenza. Questa New York è un nemico voluttuoso. I vapori della strada diventano spettrali; l'amore del pappone Sport per la piccola prostituta la spinge in una danza ipnotica; i cinema porno sono come obitori; il traffico congestionato è macabro. E questo inferno è sempre in movimento".
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'La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita': Travis Bickle e Arthur Fleck
A livello drammaturgico, sia Taxi Driver che Joker sono strutturati come l'inesorabile discesa del protagonista verso la follia: un percorso a cui i due personaggi paiono destinati in partenza, come per una condanna ontologica determinata dalla propria gabbia di solitudine. Per il Travis Bickle di Robert De Niro, la prigione è il taxi giallo con cui si aggira nei bassifondi di New York, la "bara di metallo" che lo accompagna nelle sue odissee notturne e allucinate. Nel caso dell'Arthur Fleck di Joaquin Phoenix, il senso di oppressione che grava su di lui è legato sia all'angusto appartamento condiviso con la madre Penny (Frances Conroy), sia a quella risata innaturale su cui non ha controllo, sintomo di un'instabilità psichica che potrebbe - o forse no - avere origini genetiche.
Se il malessere di Travis era frutto, almeno parzialmente, del suo passato nei Marine e delle sue esperienze in Vietnam (la matrice storico-politica è parte integrante di Taxi Driver, così come di tanti altri film della New Hollywood), il disagio di Arthur, i suoi sentimenti di frustrazione e di inadeguatezza, sono racchiusi in un'indeterminatezza ricollegabile a quell'aura di mistero che da sempre avvolge la figura del Joker (e che è stata espressa in maniera emblematica da Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro). E per entrambi l'unica ancora di salvezza, l'appiglio ad un'agognata 'normalità', sembra essere il rapporto con una donna: l'angelica Betsy di Cybill Shepherd, al cui iniziale interesse per Travis subentrerà un palese disprezzo; e la Sophie Dumond di Zazie Beetz, sulla quale Arthur proietta le proprie illusioni romantiche, perdendo definitivamente il contatto con la realtà.
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'Stai ridendo di me?': la metamorfosi dei giustizieri
C'è un momento, sia in Taxi Driver che in Joker, che segna l'improvvisa svolta dei due personaggi: una svolta improvvisa e dettata dagli eventi, che li porterà a imbracciare le armi - letteralmente - e, per la prima volta durante i rispettivi racconti, a fare uso della violenza. Travis acquista illegalmente delle armi, inclusa una 44 Magnum, e poche scene più tardi, ritrovandosi testimone di una rapina all'interno di un emporio, aprirà il fuoco contro il ladro, uccidendolo. È il primo, decisivo passo della sua inquietante metamorfosi in giustiziere, che coinciderà con un mutamento anche fisico: l'acconciatura da pellerossa mohawk, divenuta il marchio distintivo di Travis nell'iconografia cinematografica. Subito dopo, eccolo alla ricerca di nuove cause per cui battersi: dal proposito di eliminare il politico Charles Palantine a quello di togliere dal marciapiede la giovanissima squillo Iris Steensma (Jodie Foster).
Una pistola non registrata verrà messa in mano pure ad Arthur, sempre secondo la logica della metropoli come una no man's land in cui bisogna essere pronti a difendersi da sé. Se Travis risulta maggiormente padrone delle proprie scelte, caricando Taxi Driver di una fortissima tensione morale, per Arthur il "battesimo del sangue" si manifesta come un passaggio quasi obbligato: vittima egli stesso dei soprusi di un terzetto di yuppie a bordo della metropolitana (e prima ancora di quelli di alcuni ragazzi di strada), Arthur risponde premendo il grilletto e dando vita, di fatto, a un rabbioso movimento sociale antiborghese. Ad accomunare lui e Travis, piuttosto, è l'odio maturato nei confronti dell'élite e della celebrità, incarnate da un bersaglio privilegiato: per Travis è il candidato Palantine, per Arthur la star televisiva Murray Franklin, interpretata nientemeno che da Robert De Niro. E la sua metamorfosi, ovviamente, sarà la spaventosa maschera del Joker.
Da Taxi Driver a Silence: gli antieroi di Martin Scorsese tra fede, redenzione e martirio
'La mia vita ha avuto un solo scopo': gli agenti del caos
Seguendo l'evoluzione di Travis e di Arthur, l'ultimo parallelismo fra questi oscuri antieroi è la climax dell'epilogo, corrispondente a un'esplosione di furia omicida; una furia, tuttavia, lucidamente fredda, programmata a priori e fatta esplodere con implacabile efficienza. Il massacro del pappone Sport (Harvey Keitel) e dei suoi scagnozzi resta una delle scene più scioccanti mai girate da Martin Scorsese; di contro, l'assassinio di Murray Franklin in diretta TV sancisce la 'nascita' del Joker, nonché la miccia in grado di scatenare il caos nelle strade di Gotham City. Per entrambi i personaggi è un punto d'arrivo inevitabile, ma rappresenta soprattutto una sinistra forma di catarsi: un aspetto che, come prevedibile, ha già acceso intense discussioni, in ambito critico, su una presunta apologia della violenza e le sue implicazioni in termini di impatto sul pubblico.
Da Joker a Arancia Meccanica: i film tra psicosi e atti di violenza
E ancora una volta, può essere utile ricorrere alle parole con cui Pauline Kael affrontava un tema analogo rispetto a Taxi Driver: "La violenza in questo film è così minacciosa precisamente perché è catartica per Travis. Immagino che alcune persone indignate dal film sosterranno che legittima la violenza come rimedio per la frustrazione. Ma riconoscere che quando il sangue di uno psicopatico ribolle lui poi potrebbe placarsi non è lo stesso che giustificare l'eruzione. (...) E per noi è un vero pugno nello stomaco quando alla fine vediamo Travis in apparenza pacificato. Ha scacciato la rabbia fuori di sé - per il momento, almeno - ed è tornato al lavoro, raccogliendo passeggeri di fronte al St. Regis. Non è che lui sia guarito, ma la città è più folle di lui". A quarantatré anni di distanza, la medesima riflessione non si applica forse anche a Joker?