Nel passato, se uno aveva un segreto e non voleva assolutamente che qualcuno lo sapesse, lo sai che faceva? Andava in montagna e cercava un albero, scavava un buco nel tronco, vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango, così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno.
Il cinema come confessione, diario intimo, album di ricordi da sfogliare e rivivere con quieto struggimento: sembra l'assunto alla base di In the Mood for Love, confermato da quel celeberrimo epilogo che vede il protagonista Chow Mo-wan, interpretato da Tony Leung Chiu-wai, sussurrare parole misteriose nella fessura di un muro di Angkor Wat, il maestoso tempio medievale khmer immerso nella giungla della Cambogia. Se il segreto di Chow viene affidato al silenzio impenetrabile di quell'edificio quasi millenario, al cinema spetta la rievocazione per immagini dell'amore impossibile per Su Li-zhen, la sua vicina di casa nel condominio di Hong Kong in cui entrambi, nel 1962, avevano affittato un appartamento insieme ai rispettivi coniugi.
Il rivoluzionario mélo di Wong Kar-wai
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Presentato in anteprima mondiale il 20 maggio 2000 al Festival di Cannes e consacrato da allora tra i film più importanti del ventunesimo secolo, In the Mood for Love segna un'evoluzione nell'itinerario artistico di Wong Kar-wai e al contempo un evidente punto di rottura nella sua produzione. Non si tratta della prima volta che il regista nato a Shanghai e cresciuto a Hong Kong si cimenta con la rilettura degli elementi del mélo, eppure il suo settimo lungometraggio si distingue nettamente dalle pellicole precedenti: il romanticismo vitalistico e appassionato di Hong Kong Express, ma in parte anche dell'esordio As Tears Go By (che afferiva ai generi dell'azione e del thriller), e lo sfibrante erotismo di Days of Being Wild e Happy Together, storie di amori dolenti e di coppie destinate a sfaldarsi fin dalle prime battute.
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Ben diverso è il caso di In the Mood for Love, per il quale Wong Kar-wai prende in prestito il titolo del brano pressoché omonimo dell'American songbook - I'm in the Mood for Love - datato 1935 (mentre il titolo originale si può tradurre come "Gli anni in fiore"). Diverso innanzitutto perché, rispetto alle convenzioni del melodramma classico, Wong imbriglia i desideri dei suoi personaggi in una routine e in un microcosmo sociale in cui il sentimento appare costantemente soffocato: le esistenze di Chow Mo-wan e di Su Li-zhen, a cui danno volto Tony Leung Chiu-wai e Maggie Cheung, sono rigorosamente scandite dagli orari di lavoro (lui è un giornalista, lei una segretaria), orari da cui dipendono le loro possibilità di incrociarsi sulle scale o nel corridoio del condominio, ma pure i ritmi che regolano i rapporti con la signora Chow e il signor Chan, il marito di Su.
Sublimare il sentimento
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Due figure che, anziché frapporsi come canonico ostacolo fra i due innamorati, costituiscono delle presenze-assenze, invisibili sullo schermo (del signor Chan ascolteremo solo un'effimera voce fuori campo) così come nelle vite dei due protagonisti. Non è un caso dunque se, prima ancora che una storia d'amore, In the Mood for Love si configura come la storia di una doppia, speculare solitudine; così come è emblematico il fatto che l'unico, possibile confronto sull'infedeltà di cui sia Chow che Su sono vittime avvenga proprio fra i due coniugi traditi, impegnati a indossare le maschere di una coppia per recitare il dialogo che dovrebbe permettergli di esprimere la propria dignità ferita. È un sottile paradosso, su cui Wong innesta la dicotomia fra la natura impetuosa dell'amore e la necessità di incasellarla entro una formula che possa renderla in qualche modo 'governabile'.
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È appunto quanto tentano di fare Chow e Su, lasciando che siano gli sguardi timorosi, le inflessioni della voce e i piccoli movimenti del corpo a suggerire la sommessa tempesta che si agita dentro di loro. E in questo mélo trattenuto ma mai freddo, proprio in quanto in grado di mantenere sempre una prospettiva interna e personalissima, Wong Kar-wai fa leva sui suoi splendidi interpreti: Maggie Cheung e Tony Leung, premiato come miglior attore al Festival di Cannes, si producono in una prova in sottrazione capace di far emergere l'intensità e la sofferenza del rapporto fra i due personaggi. Un rapporto sublimato in una passione inespressa e, pertanto, in un senso di rimpianto in cui la musica e le immagini, veicolo della memoria, diventano depositarie di quel sentimento che Chow e Su non potranno mai condividere con il resto del mondo.
Il "mondo altro" di quegli anni lontani
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In the Mood for Love scorre su questo doppio binario: la dimensione piccolo-borghese della Hong Kong degli anni Sessanta, di cui il condominio della signora Suen (Rebecca Pan) funge da ideale specchio, con le sue tradizioni, le partite a mahjong e i piatti tipici che accompagnano lo scorrere delle stagioni; e un "mondo altro", racchiuso pur sempre in quegli stessi interni angusti, ma che appartiene unicamente a Chow e Su. Un mondo, quest'ultimo, scandito dalla voce di Nat King Cole, con la ripetizione della melodia di Quizás, Quizás, Quizás, e rappresentato da Wong Kar-wai secondo una libertà espressiva che assurgerà a tratto distintivo del suo cinema: dalla slow-motion che sembra voler fissare la bellezza di un attimo e ammantarla di poesia ai toni soffusi, quasi impressionisti, della fotografia di Christopher Doyle, storico collaboratore del regista, e del taiwanese Mark Lee Ping-bing.
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"Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato", dichiara la voce narrante a proposito di Chow, in prossimità del finale, e in fondo il miracolo di In the Mood for Love risiede proprio in questo: raccontare gli "anni in fiore" dei due protagonisti facendo sì che, come accade quando si guarda al passato, "tutto ciò che vede è sfocato, indistinto"; ma riuscire anche ad annullare tali barriere per una manciata di fugaci, inestimabili momenti, che ai nostri occhi non potrebbero essere più vividi.