"Tutti vogliono questa vita, tutti vorrebbero essere noi". Occhiali da sole, abiti griffati ed espressione diabolica, Miranda Priestly è la direttrice della rivista di moda Runway ne Il diavolo veste Prada; il cult della romantic comedy che, rivoluzionando il best seller Chick lit di Lauren Weisberger, riflette con humour graffiante le luci e le ombre dell'alta moda; un mondo che, al di là del glamour, dello sfarzo e delle griffes, è molto meno dorato di quello che i media ci fanno credere. Uscito nelle sale americane il 30 giugno 2006, il cocktail di ironia ed emozioni di David Frankel conquista il pubblico e la critica, regala a Meryl Streep l'ennesimo Golden Globe e consacra Anne Hathaway tra le nuove promesse di Hollywood.
Andrea Sachs (Anne Hathaway), neo-laureata in cerca di lavoro a New York, accetta l'impiego come assistente di Miranda Priestly (Meryl Streep), la spietata direttrice dell'influente rivista americana Runway che trasforma la sua ascesa nel giornalismo in un viaggio di sola andata per l'inferno. Una trama che, richiamando il glamour di Sex and the City e l'ironia al vetriolo di Mean Girls, presenta suggestive location come New York e Parigi e il sapore di classici come Colazione da Tiffany e Prêt-à-Porter. Punti di forza di una commedia che, incassando 326 milioni di dollari, diventa un fenomeno amato e imitato in tutto il mondo. A dieci anni dal primo "È tutto!" di Miranda Priestly andiamo a scoprire quali sono gli ingredienti che rendono Il diavolo veste Prada una commedia diabolicamente intramontabile:
1. Una moda che va oltre il romanzo
Non deve essere facile avere a che fare con un boss come Miranda Priestly. Lo sa bene Lauren Weisberger che, prima di scrivere il best seller che dà il titolo al film, lavora per Anna Wintour nella redazione di Vogue America. L'esperienza, messa su carta nel 2003, vende milioni di copie in tutto il mondo e attira l'attenzione di David Frankel che realizza una trasposizione cinematografica nettamente superiore al fenomeno letterario. Il successo al box office spinge la Weisberger a scrivere il romanzo-sequel, La vendetta veste Prada. Il ritorno del diavolo che vede Andrea, ormai direttrice di una rivista di moda, trovarsi nuovamente faccia a faccia con Miranda Priestly. Arriverà mai nei cinema? Difficile, ma non impossibile, considerati i già confermati nuovi capitoli di Bridget Jones e Pretty Princess. Ma sequel, prequel e spin-off a parte, resta indubbio che David Frankel abbia sviluppato con Il diavolo veste Prada una moda che va ben oltre il romanzo.
2. Da Pretty Princess a Star di Hollywood
Anne Hathaway debutta nel frizzante Pretty Princess di Garry Marshall e stupisce nel drammatico I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee ma è nelle vesti glamour di Andy Sachs che conquista Hollywood. Il regista David Frankel, assegnandole una parte ambita da Juliette Lewis e Claire Danes, la lancia come la nuova regina della commedia americana ma la Hathaway sperimenta il dramma romantico in Amore & altri rimedi, il cinecomic in Il cavaliere oscuro - Il ritorno e il musical in Les Misérables che la consacra a star con l'Oscar come miglior attrice non protagonista. La battuta cult de Il diavolo veste Prada "lavorare alla Runway apre infinite possibilità" diventa così assurdamente precognitiva per Andrea e per la sua impeccabile interprete. Un talento fiutato da Meryl Streep sin dal primo giorno delle riprese: "Credo tu sia perfetta per questo ruolo. Sono felice che lavoreremo insieme. E questa è l'ultima cosa carina che ti dico".
3. Una diabolica Meryl
Un po' Anna Wintour, un po' Crudelia De Mon, Miranda Priestly manda in fumo intere collezioni di moda e distrugge stilisti affermati con un cenno. Il parere della regina del glamour è l'unico che conta perché "nessuno sa fare il suo lavoro meglio di lei". La direttrice di Runway è l'ingrediente principale de Il diavolo veste Prada, il film che segna il ritorno alla commedia di Meryl Streep a dieci anni da La morte ti fa bella di Robert Zemeckis; un'anti-eroina che, esprimendo con un solo sguardo odio, rabbia e disapprovazione, regala alla camaleontica Streep l'ennesimo Golden Globe e la nomination ai premi oscar 2007. Ma occorre fare un passo indietro! Il mix di fascino, stile e malvagità del personaggio cattura l'attenzione di Kim Basinger e Helen Mirren ma a ottenere il ruolo è Meryl Streep; un'attrice che, consapevole della sua unicità, fredda i produttori con una risposta degna del suo alter ego: "L'offerta era quasi un insulto, ho detto loro addio e mi hanno raddoppiato lo stipendio. Avevo cinquantacinque anni e avevo appena imparato a trattare queste persone". Dopotutto, per interpretare il diavolo, bisogna dare voce al proprio lato diabolico...
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4. Fashion and the City
C'è un motivo se Il diavolo veste Prada è uno dei film più amati dalle fashion victim. Dopo l'esperienza nel glamour Sex and the City, David Frankel utilizza nella commedia con Meryl Streep alcuni degli abiti più belli della storia del cinema. Ma il merito va alla costumista Patricia Field che, prendendo in prestito molti dei vestiti utilizzati dalle protagoniste, regalando una sfilata da oltre un milione di dollari e dando l'impressione di un budget decisamente più elevato dei 100.000 dollari stanziati. Tra le firme spiccano Vivienne Westwood che veste Emily, e Valentino che disegna l'abito indossato da Miranda Priestly durante il party di beneficenza. E non è tutto! Lo stilista italiano appare nei suoi griffati panni mentre la top model Gisele Bündchen interpreta Serena, la compagna di malizie di Emily alla Runway.
5. La colonna sonora a tinte Vogue
Madonna, U2, Alanis Morissette e KT Tunstall compongono la frizzante colonna sonora de Il diavolo veste Prada; una commedia caratterizzata da uno spirito pop perfettamente in linea con la soundtrack. Quando Andy si butta giù dal letto per recarsi al colloquio con la Runway risuona la sensuale e avvolgente Suddenly I See di KT Tunstall mentre quando deve correre dall'altra parte di New York per un servizio fotografico parte l'energica Jump di Madonna. La regina del pop accompagna sulle note di Vogue una delle sequenze più riuscite del film: l'evoluzione di Andrea da "gonna della nonna" a regina della moda. Conclude il cerchio il theme musicale di Theodore Shapiro che, con deliziosa semplicità, arricchisce di romanticismo ed emozioni la pellicola.
6. Due assistenti insostituibili
Il diavolo veste Prada, senza due coprotagonisti del calibro di Stanley Tucci ed Emily Blunt, non sarebbe la stessa cosa. L'interprete di classici come Il rapporto Pelican ed Era mio padre è Nigel, l'assistente di Miranda Priestly; un personaggio che, pur conoscendo il diavolo meglio di chiunque altro resta al suo fianco, consapevole che la meritata promozione non arriverà mai. Un ruolo ironico e brillante ma anche profondo e struggente che, confermando il talento del più sottovalutato attore di Hollywood, dà una marcia in più alla pellicola. Altrettanto fondamentale nella caratterizzazione della storia è la prima assistente, interpretata dall'allora semi-esordiente Emily Blunt, che trasforma il fragile alter ego pensato da Lauren Weisberger in uno dei maggiori punti di forza de Il diavolo veste Prada. Schietta, cinica e interessata solo a se stessa, Emily regala irresistibili faccia a faccia con Andrea arricchendo di più dimensioni la parte comica del film. Due anti-eroi, senza i quali, la redazione di Runway sarebbe molto meno divertente.
7. Un montaggio ricco di stile
Una delle sequenze cult de Il diavolo veste Prada è la brillante introduzione. David Frankel, supportato dal montaggio serrato ma mai frenetico di Mark Livolsi, mette a confronto la routine di Andrea con il risveglio a tinte glamour delle segretarie-modelle di Runway. Alle scarpe basse, hamburger calorici e viaggi in metro dell'aspirante giornalista, le icone della moda rispondono con tacchi alti, un pugno di noci e taxi. Un guizzo di genio che anticipa l'ascesa della protagonista nel mondo della moda: una semplice passeggiata di Andrea che il team Frankel/Livolsi trasforma in una sfilata di moda caratterizzata da decine di abiti diversi.
8. Ridere, ma con cattiveria
"Le risorse umane hanno uno strano senso dell'umorismo". Emily, la prima segretaria di Miranda, utilizza parole al vetriolo per accogliere Andy nella realtà di Runaway; uno humour cinico che diventa nel tempo uno dei principali tratti distintivi della pellicola di David Frankel. La brillante sceneggiatura di Aline Brosh McKenna amplia il lato umoristico del romanzo di Lauren Weisberger caratterizzandolo di un'irresistibile spirito mean. I personaggi non si curano dei sentimenti dell'interlocutore e sono diabolicamente disposti a dire tutto quello che gli passa per la testa: "Mi sono detta coraggio, assumi la ragazza sveglia e grassa", afferma Miranda Priestly dopo aver esordito con "Non hai la minima idea dello stile e del senso della moda... no, non era una domanda". Meno esplicito ma altrettanto spietato è Nigel: "Minestra di mais, lo sai vero che la cellulite è uno degli ingredienti principali?". Il diavolo veste Prada diverte con battute taglienti ma non sfiora mai il cattivo gusto. L'offesa diventa un pretesto per ridere con un pizzico di sana, diabolica ironia.
9. Il lato oscuro del successo
Il diavolo veste Prada, oltre a riscrivere le regole della comicità, analizza il lato oscuro dello show business; un mondo che, dietro l'apparente perfezione, cela solitudine e disperazione. Miranda Priestly, tolti gli abiti sfarzosi e le feste esclusive, è una donna alle prese con l'ennesimo divorzio e le critiche dei giornali; vittima di un sistema che fagocita i più deboli e divinità pronta a spiccare il volo al flash dei fotografi. Altrettanto sola è Andrea che, per ottenere il lavoro dei suoi sogni, tradisce le persone che la circondano; un atto di lussuria che rifiuta di portare avanti quando il diavolo si riconosce in lei: "Vedi oltre quello che le persone vedono e scegli per te stessa. Sento un legame con te", afferma Miranda Priestly, consapevole di aver abbandonato la sua umanità per la gloria. Un'analisi efficace che dona alla pellicola un valore aggiunto rispetto al cinema di genere.
10. Un cult che non passa mai di moda
Nonostante siano passati dieci anni dall'uscita nelle sale americane della commedia con Anne Hathaway e Meryl Streep, il meccanismo narrativo de Il diavolo veste Prada è ancora efficace. Il merito va alla brillante sceneggiatura di Aline Brosh McKenna e all'impeccabile regia di David Frankel che trasformano il frivolo romanzo di Lauren Weisberger in un accattivante affresco sulla vanità. Un classico del genere che lascia un sorriso sulle labbra a ogni visione e un simbolo di eleganza che continua a invadere l'immaginario cinematografico e televisivo. Al di là delle griffes e dell'immancabile spirito fashion, Il diavolo veste Prada resta un cult ricco di emozioni, ironia e buoni sentimenti che non passerà mai di moda.