Recensione Gli intoccabili (1987)

Quattro intrepidi tutori della legge sono soli contro tutti. Quel tutti è rappresentato da Al Capone, "dittatore" della mala, pubblica e privata, nella Chicago anni Trenta. Brian De Palma confeziona un'opera magistrale che non disdegna i punti nodali del suo cinema.

I magnifici quattro

Gli intoccabili di Brian De Palma si presenta come un entertainment di lusso, con una scansione narrativa implacabile e compatta, seppur tendenzialmente episodica. Il gangster-movie viene manipolato da De Palma (e sappiamo come la manipolazione sia un'attività registica tipica dell'italo-americano) sin dal suo costituirsi, sovvertendone per ipertrofia sintattica i canoni prestabiliti (Robert De Niro nella parte di Al Capone è talmente sgradevole da apparire come una parodia del male; i quattro intoccabili, buoni e giusti, sembrano supereroi usciti da qualche fumetto piuttosto che poliziotti intenti a svolgere bene il proprio ingrato lavoro).

La regia di De Palma scarnifica le "classiche" tendenze del suo cinema, che pur ci sono, esistono, e neanche in superficie come vorrebbe qualcuno: il tema del doppio (Eliot Ness ed Oscar Wallace da un lato e Jim Malone e George Stone (un Andy Garcia senza la necessaria grinta che si richiederebbe in un ruolo simile) dall'altro, sono archetipi che combaciano alla perfezione nelle alchimie depalmiane), i travelling, i virtuosismi tecnici, l'amore per gli strumenti hi-tech (qui, trovandoci negli anni Trenta, può esserci solo un binocolo con cui Ness avvista l'arrivo dei contrabbandieri sul ponte) e anche il "classico" (per De Palma) citazionismo esasperato, che parte dal solito Alfred Hitchcock di Sabotaggio (la bimba che salta in aria a causa della valigetta-bomba collocata all'interno dell'emporio), per attraversare John Carpenter e Dario Argento (la soggettiva durante la splendida sequenza dell'assassinio di Malone) e per arrivare, addirittura, alla scalinata di Odessa ne La corazzata Potemkin di Sergei M. Eisenstein.

Non mancano le autocitazioni, come quella di Vestito per uccidere nella figura dell'assassino di Malone con guanti neri e coltello, e quella di Blow Out per la location della stazione in una delle scene capitali del film. Per cui non ci troviamo d'accordo con chi non riconosce ne Gli intoccabili il "De Palma touch": Gli intoccabili è totalmente un film di De Palma. Qui tutti gli elementi tipicamente depalmiani ci sono, anche se sono impiegati con un superiore controllo della materia filmica, indirizzandola più che mai verso la narrazione pura e semplice. Ma il gioco modernista di De Palma è quello, paradossalmente, di sgraffignare punti sul territorio del postmoderno, creando scenari straordinariamente contaminati nella loro originalità.

Si diceva, in sostanza, che Gli intoccabili è un gangster-movie destabilizzato. Sono altri, infatti, i caratteri che danno unitarietà al film di De Palma: la frenesia dell'action-movie, gli scenari western (l'improvviso stacco su una prateria sconfinata e la successiva comparsa dei poliziotti a cavallo), i momenti thriller (l'"indipendente" De Palma è presente nelle scene più cruente, come nella mise en abyme dell'orrore con Malone che uccide "letteralmente" un uomo morto, oppure nell'omicidio con la mazza da baseball, o, ancora, nella macabra composizione dei cadaveri all'interno dell'ascensore con la scritta nel sangue che riecheggia il "redrum" di Shining) e la cultura pop dei fumetti. A differenza, ad esempio, di un Quentin Tarantino (Pulp fiction, innanzitutto), ne Gli intoccabili di De Palma la lotta tra bene e male e la natura gangsteristica della pellicola non resta sotto traccia, informando l'intera struttura del film (già l'introduzione dei due protagonisti del film è inequivocabile: Al Capone ripreso dall'alto mentre è seduto dal barbiere (come nello Scarface di Howard Hawks) ed Eliot Ness ripreso di spalle in un tenero quadretto domestico). Non siamo in presenza di un'operazione postmoderna, perché la trama ha un suo inizio ed un suo epilogo ben congegnati e straordinariamente coerenti con l'intero apparato figurativo messo in campo da De Palma. Si pensi alla ben nota sequenza della scalinata della stazione. L'evidente citazione di Ejzenstejn, menzionata in tutte le recensioni e le analisi de Gli intoccabili, non è mero sfoggio di reminiscenze cinefile: il montaggio discorsivo del grande regista russo, qui è diluito in un ralenti che gioca sulla tensione emotiva e sull'impatto drammatico; lo spazio filmico, conseguentemente, viene frantumato con una precisione da carillon, anticipando di un decennio le intuizioni "cubiste" di Matrix.

In tutto questo resta la grande riuscita di un film che gira con la velocità di un aereo supersonico e con la forza allettante di un videogioco di ultima generazione ("ma cos'è questo, un gioco?" si chiede appunto Ness dopo l'adrenalinico assalto al ponte), potendo contare sulla sceneggiatura di David Mamet (premio Pulitzer nel 1984 per lo script teatrale Glengarry Glen Ross), sui vestiti d'epoca "ricreati" da Giorgio Armani, sulla colonna sonora composta da Ennio Morricone (con temi che trasfigurano epicamente l'avventura dei quattro) e, per concludere in bellezza, una Chicago anni Trenta ricostruita in modo maniacale.

Ma il pessimista De Palma non poteva non inserire una nota stonata in un happy ending (anche se solo a metà) praticamente fuori luogo nella sua filmografia: il giornalista avvisa Ness, poco prima dei titoli di coda, che il proibizionismo sta per cessare. E' stato tutto inutile, allora: il sacrificio di Malone (un diligente Sean Connery premiato con L'Oscar come migliore attore non protagonista) e quello di Wallace, sono stati semplici incidenti di percorso, come in un banale iter burocratico che alla fin fine non serve più a nulla. Sono state tutte chiacchiere e distintivi. Nient'altro.