Recensione Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (2004)

Un terzo episodio che riesce finalmente ad elevarsi a prodotto artistico, laddove i predecessori erano state semplici e lucrose operazioni di marketing.

Harry Potter, prigioniero del suo stesso successo

Dopo un anno e mezzo di fremente attesa da parte dei milioni di fan in tutto il mondo, il giovane mago Harry Potter torna ad incantare le nostre sale e si prepara a spazzare via dalla cima dei box-office internazionali colleghi blasonati del calibro di Troy, The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo e, almeno negli Stati Uniti, Shrek 2.
Il successo, come evidenziato dai due mediocri precedenti capitoli firmati da Chris Columbus, arriverà a prescindere dall'effettivo valore artistico, questo è indubbio, ma è anche vero che questo Harry Potter e il prigioniero di Azkaban si dimostra senza dubbio come prodotto di maggiore interesse anche all'occhio del cinefilo che di fantasy e romanzi per bambini non vuol nemmeno sentir parlare, se non altro per la presenza dietro la macchina da presa di un regista anticonvenzionale come Alfonso Cuaròn e l'inserimento di due attori del calibro di Gary Oldman e Emma Thompson nel già ricchissimo cast all-star.
E c'è da dire subito che questo interesse, almeno in parte, può dirsi ripagato, perché questo terzo episodio della saga non solo è senz'altro superiore sotto ogni punto di vista alle due pellicole precedenti, ma riesce finalmente ad elevarsi a prodotto artistico (di qualità non certo eccelsa, ma comunque di qualità), laddove i predecessori erano state semplici e lucrose operazioni di marketing.

Come ogni estate Harry Potter si appresta a tornare, insieme ai suoi inseparabili amici Ron ed Hermione, alla scuola di magia di Hogwarts, ma la più o meno tranquilla vita scolastica sarà presto minacciata da Sirius Black, famigerato assassino appena evaso dall'inespugnabile prigione di Azkaban, alla ricerca di vendetta nei confronti di Harry. Questa la trama, apparentemente semplice e lineare nella prima metà della pellicola, ma che ben presto finirà col complicarsi innescando colpi di scena a catena e ritmi narrativi piuttosto frenetici.
E qui, per assurdo, troviamo sia i maggiori pregi che i difetti del lavoro del regista messicano. Innanzitutto bisogna dire che il più grande merito di Cuaròn è quello di aver da subito compreso che bisognava affrontare il film in maniera completamente opposta rispetto a quanto fatto dal suo predecessore: dove Columbus era verboso, didascalico ed inutilmente attento a particolari e sottostorie marginali ai fini della fruizione del film, rischiando più volte di far annoiare anche lo spettatore meno esigente, qui l'intreccio viene ridotto all'essenziale e tutto ci viene mostrato solo e soltanto se ha una sua funzione ben precisa nella dinamica della storia. Dimentichiamoci quindi le avventure nei labirintici corridoi del castello, le divertenti lezioni di Trasfigurazione e perfino le partite di Quidditch, quello che possiamo trovare è solo tutto quello che può portarci a Black e alla lunga, ma avvincente, parte finale.

Non per questo mancano sequenze divertenti o emozionanti, ma Cuaron molto saggiamente preferisce costruire qualcosa di più nuovo e personale piuttosto che rifarsi letteralmente al romanzo di J.K. Rowling; ed è così che trovano spazio nuovi ambienti (prevalentemente esterni) che non avevamo avuto modo di visitare precedentemente e possiamo apprezzare dei paesaggi naturalistici che, insieme all'abbigliamento dei protagonisti più casual e naturale, non fanno altro che donare all'atmosfera del film, come da ammissione dello stesso regista, una carica di maggior realismo e quindi di umanità. Anche il lavoro sui personaggi, fortemente voluto dal regista, dà i suoi frutti: non si può non lasciarsi coinvolgere dalle vicende dei giovani protagonisti e non si può non provare simpatia per i giovani interpreti, soprattutto per quanto riguarda la graziosa e brava Emma Watson che regala una convincente interpretazione. Altro apporto fondamentale alla saga da parte di Cuaròn è l'introduzione di uno stile registico più vivace e soprattutto più personale, con preziosismi e tocchi molto eleganti e soprattutto delle trovate visive molto belle e divertenti: i brevi stacchi che scandiscono il passare delle stagioni, la simpatica citazione al Titanic di James Cameron in sella ad un ippogrifo o gli originalissimi titoli di coda. Da sottolineare tutta la sequenza in cui Radcliffe e la Watson si ritrovano a recitare, come conseguenza di un incantesimo, in compagnia di sé stessi: è soprattutto lì che il regista dimostra tutta la sua bravura nella messa in scena e la perfetta padronanza dei tempi narrativi.

Ma dicevamo che il lavoro di Cuaròn presenta anche dei difetti, che in parte sono anche una diretta conseguenza dei pregi di cui sopra: il limare la sceneggiatura fino a renderla il più essenziale e snella possibile non sempre ha l'effetto voluto, ma talvolta rischia di rendere il susseguirsi degli eventi un po' troppo frettoloso e "tirato via", mettendo così in discussione anche l'efficacia dei meccanismi narrativi ideati dalla Rowling. Ma se questo può essere un difetto avvisabile principalmente dai neofiti del mondo di Harry Potter, l'autentico pomo della discordia potrebbe essere rappresentato dalle innumerevoli e consapevoli omissioni operate rispetto al plot del romanzo; omissioni certo dettate da una ben precisa politica di fedeltà non letterale ma "spirituale" alla saga bestseller in tutto il mondo e soprattutto da alcune limitazioni di tipo tecnico (già così il film dura oltre due ore), ma nonostante tutto sono scelte che potrebbero provocare in alcuni spettatori (e in primis lettori) un livello di insoddisfazione tale da annebbiare quelli che possono essere gli aspetti positivi. Ma questo è un problema certo non nuovo alle produzioni che hanno origine da libri di successo e, considerando che non sono ovviamente proponibili soluzioni di trilogie da 10 ore come nel caso di Peter Jackson, è un problema destinato a ripetersi, forse anche in maniera maggiore, per i capitoli successivi. Insomma più che una mancanza di Cuaron o dello sceneggiatore Steven Kloves, è quasi una conseguenza del troppo successo del brand.
Ultimo, marginale, difetto potrebbe essere lo spreco che si fa di tanti talenti quali la già citata Thompson o la sempre splendida Julie Christie, così come di attori non nuovi alla saga come Maggie Smith o Fiona Shaw, giusto per citarne due.

Decisamente vincenti invece le scelte di Oldman per il ruolo del pazzo Black, di David Thewlis come professor Lupin e di Michael Gambon per raccogliere l'eredità del compianto Richard Harris nelle vesti del preside Silente. Eccellenti tutti gli aspetti tecnici del film: dalla splendida fotografia di Michael Seresin ai ricchissimi effetti speciali, dall'efficace colonna sonora di John Williams all'esemplare montaggio di Steven Weisberg. Insomma un primo grande passo in avanti è stato fatto, saprà Mike Newell nel prossimo Harry Potter e il calice di fuoco spingersi ancora più in là?

Movieplayer.it

3.0/5