Fino all’ultimo spin-off: l’ossessione di Hollywood per i franchise

Mentre in sala impazzano film come Animali Fantastici 2, Venom e The Nun e altri spin-off, facciamo il punto della situazione sul trend dominante del cinema USA.

Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald,
Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald,

È stato uno dei recenti dominatori delle sale il film The Nun, quinto capitolo del franchise inaugurato nel 2013 da The Conjuring, che ora è considerato un vero e proprio universo cinematografico, simile a quelli della Marvel e della DC (i materiali promozionali parlano apertamente di Conjuring Universe). Un universo che funziona, considerando che il film, in due mesi di programmazione, ha già incassato quasi 400 milioni di dollari nel mondo, ossia più di quindici volte il suo budget (22 milioni). È uscito anche The Predator, che invece arranca: nel momento in cui scriviamo queste righe si è portato a casa poco più di 160 milioni di dollari, ed è costato 88 milioni. Un risultato che, salvo sorprese eclatanti, in teoria porrà fine ai piani della 20th Century Fox e del regista Shane Black di realizzare due sequel (il film lascia la porta piuttosto spalancata, presentandosi apertamente come un primo episodio). Confermato invece il sequel di Venom, arrivato a oltre 800 milioni, ed è partito bene il secondo capitolo di Animali Fantastici 2 e spin off di Harry Potter(253 milioni nel primo weekend). Quattro film abbastanza diversi tra di loro, ma entrambi indicativi di quello che è diventato il trend dominante nel cinema americano: tutti gli studios vogliono dei franchise, a tutti i costi. Un fenomeno del quale noi, in questa sede, vogliamo provare ad analizzare gli alti e i bassi.

Leggi anche: The Conjuring (Saga): tutti i film horror e gli spinoff

To be continued...

Negli ultimi anni la maggior parte dei grandi successi commerciali nelle sale rientra nella categoria di un qualche tipo di brand: Pixar, Marvel, DC, Star Wars, Pirati dei Caraibi, Transformers, Harry Potter, eccetera. Questo perché il pubblico occasionale, che va al cinema in media una volta al mese, soprattutto negli USA, ormai esce di casa solo per quelle esperienze che, in un modo o nell'altro, pretendono di essere vissute sul grande schermo. In altre parole, i blockbuster, o comunque film ad alto tasso di spettacolo che, il più delle volte, si basano anche su materiale preesistente molto popolare (vedi alla voce A Star Is Born, raro esempio di film non "di genere" che sta spopolando al box office). Ovviamente ci sono delle eccezioni, come i franchise horror della Warner e della Blumhouse o la trilogia di Cinquanta sfumature di grigio (che è sì basata su un best-seller letterario, ma priva della componente puramente spettacolare). La forza della sala, più che nel nome dei registi (salvo Christopher Nolan) o degli attori, sta tutta nei brand associati a questa o quella proprietà intellettuale. Di conseguenza, per fidelizzare il pubblico, quasi tutti i progetti con un budget medio-alto vengono approvati partendo dal presupposto che sia possibile trarne ulteriori film, che si tratti di Shark - Il primo squalo (basato su una serie di libri, e con sequel annunciato) o Red Zone - 22 miglia di fuoco, pellicola action con Mark Wahlberg che pone apertamente le basi per due seguiti (incassi permettendo).

Leggi anche: A Star Is Born, ieri e oggi: le versioni di È nata una stella a confronto

Venom 2
Venom: una scena del film

L'errore che viene talvolta commesso, in questi casi, è proprio di ragionare a monte più sullo sfruttamento futuro che sul film stesso, arrivando persino ad annunciare prematuramente i piani per l'eventuale franchise: basti pensare a Power Rangers, che doveva avere sei seguiti, o a King Arthur - Il potere della spada, che doveva generare un franchise di mezza dozzina di episodi, con conseguenti tagli di alcuni elementi che la Warner ha preferito tenere da parte per i fantomatici sequel (vedi l'assenza di Merlino e la decisione di rimuovere in post-produzione il fatto che la maga fosse in realtà la futura regina Ginevra), o anche a La Mummia, che doveva inaugurare un franchise incentrato sui mostri della Universal, attualmente in fase di rielaborazione. Il caso emblematico rimane The Amazing Spider-Man, per cui c'erano già tutte le date annunciate, con tanto di spin-off oltre ai quattro film della serie principale: il primo episodio deluse in parte i fan per la struttura palesemente incompleta (la "untold story" promessa dai trailer nel film non c'è più di tanto), e il secondo, oltre a passare gli ultimi minuti a porre le basi per ciò che sarebbe venuto, finisce con un cliffhanger, partendo dal presupposto che nulla avrebbe impedito la realizzazione del terzo e quarto capitolo. Così non è stato: pur non essendo tecnicamente un flop, The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro è il film meno visto di tutto il franchise, compresi i tre lungometraggi di Sam Raimi, e la Sony si è vista costretta a stringere un accordo con la Casa delle Idee per portare Peter Parker nel Marvel Cinematic Universe e rafforzare il brand danneggiato. Adesso la major ci riprova con un universo incentrato sugli avversari del Tessiragnatele, e l'esito di Venom è, per lo meno sul piano commerciale, un passo nella direzione giusta. Staremo a vedere...

Leggi anche: Recensione Venom: un cinecomic fuori tempo massimo

Il curioso caso della DC Comics

Justice League: Ben Affleck, Ezra Miller, Ray Fisher e Gal Gadot in una scena del film
Justice League: Ben Affleck, Ezra Miller, Ray Fisher e Gal Gadot in una scena del film

Abbastanza significativo nel panorama attuale, in termini di ciò che non andrebbe fatto, è stato l'approccio della Warner Bros. per portare sullo schermo un universo basato sugli eroi della DC Comics, sulla falsariga di quanto fatto con successo dall'eterna rivale Marvel. Quello inaugurato da L'uomo d'acciaio è un franchise costruito per i motivi sbagliati e a partire da un grossolano errore di comunicazione tra le alte sfere della Warner e il regista di quel lungometraggio inaugurale, Zack Snyder. Quest'ultimo, interagendo con i fan sui social, ha lasciato intendere, senza troppe ambiguità, che la sua idea prevedesse un arco narrativo contenuto: cinque film, dal reboot di Superman al sequel di Justice League, con alcuni spin-off dedicati a singoli personaggi (vedi Wonder Woman e l'imminente Aquaman). In pratica, un lungo Elseworlds, un mondo alternativo con un inizio, una parte centrale e una fine. L'esatto contrario di ciò che voleva lo studio, interessato a portare avanti quell'universo a tempo indeterminato. Questo spiegherebbe l'allontanamento di Snyder dopo le riprese principali del film sulla Justice League, successivamente rimaneggiato da Joss Whedon per aprire il franchise a un futuro meno cupo e con gli anni contati. E alla luce di questo dettaglio ha senso anche l'atteggiamento ambivalente di Ben Affleck nei confronti delle prossime apparizioni cinematografiche di Batman: è altamente probabile che l'attore abbia firmato il contratto pensando di dover interpretare il vigilante di Gotham City per un periodo limitato, fino al 2019 circa, e non abbia voglia - anche per questioni di età - di continuare all'infinito. Dal prossimo anno, con l'uscita di Wonder Woman 1984, uno dei film più attesi del 2019, diventerà più chiaro il nuovo corso del franchise, con la speranza, per la Warner, che il pubblico sia ancora interessato.

Leggi anche: Justice League: come cambierà il DC Extended Universe?

Gli universi che funzionano

Avengers: Infinity War, Benedict Wong, Benedict Cumberbatch, Mark Ruffalo e Robert Downey Jr. in una scena del film
Avengers: Infinity War, Benedict Wong, Benedict Cumberbatch, Mark Ruffalo e Robert Downey Jr. in una scena del film

Come abbiamo detto, quello della Warner/DC è stato un tentativo maldestro di replicare il modello della Marvel, capostipite del fenomeno degli universi cinematografici attuali. Un modello che funziona perché la Casa delle Idee ha preferito concentrarsi sull'esito dei singoli film, costruendo un mondo che, salvo rare eccezioni (vedi il recentissimo Avengers: Infinity War), non obbliga gli spettatori a conoscere tutti i lungometraggi per seguire le vicende di Tony Stark, Steve Rogers e compagnia bella. C'è un progetto generale, ma è abbastanza flessibile da poter ammettere delle modifiche come l'inclusione di Spider-Man o il futuro ingresso dei personaggi che, per ora, sono in mano alla 20th Century Fox. Su un principio simile si reggono anche il Conjuring Universe e il franchise di Fast & Furious, che si sta ora espandendo con uno spin-off: il piano a lungo termine c'è (James Wan ha parlato di una timeline ufficiale per i vari Conjuring presente negli uffici della produzione), ma si parte sempre dal singolo lungometraggio, che ha un inizio, una parte centrale e una fine (al limite un post-credits che apre la strada alle evoluzioni successive). La soluzione ideale in un'industria dove la mania del franchise è talmente dilagante che persino un gigante in apparenza infallibile come la Disney ha pagato il prezzo dell'espansione di Star Wars con il flop di Solo: A Star Wars Story, mentre David Gordon Green e Danny McBride, dopo aver inizialmente proposto di girare in simultanea il nuovo Halloween e il suo sequel, hanno deciso di aspettare facendo un ragionamento sacrosanto: e se poi al pubblico il secondo episodio non interessa?