Recensione Kill Bill: Volume 1 (2003)

Dopo sei anni di silenzio, il regista più innovativo ed influente degli anni Novanta, Quentin Tarantino, torna sul grande schermo con un film da lui scritto e diretto.

Da Hollywood con furore

Dopo sei anni di silenzio registico, il regista più innovativo ed influente degli anni Novanta, Quentin Tarantino, torna sul grande schermo con un film da lui scritto e diretto. Un film, Kill Bill: Volume 1, che pur essendo semplicemente il primo capitolo di un progetto cinematografico che si concluderà con l'uscita, il marzo prossimo, di Kill Bill: Volume 2, da solo candida Tarantino alla palma di regista più innovativo ed influente del primo decennio del Ventunesimo secolo.
Sulla genesi di Kill Bill saprete sicuramente già tutto, da tante fonti, compresi gli articoli di approfondimento apparsi qui su Movieplayer.it. Saprete sicuramente della genesi dei personaggi e della storia, ideati da Tarantino e da Uma Thurman durante la lavorazione di Pulp Fiction. Conoscete sicuramente i retroscena che hanno portato il film ad essere diviso in due parti, e sicuramente vi è nota la trama, che ruota intorno alla vendetta di una donna, ex membro di un gruppo di letali assassine, che svegliatasi dopo quattro anni di coma dà il via ad una vendetta privata contro le sue ex compagne di team ed il suo boss, che sull'altare le hanno ucciso il futuro marito, la bambina che portava in grembo e le hanno piantato in testa la pallottola che l'ha fatta cadere in coma.
Non ci dilunghiamo quindi oltre su questi argomenti, e iniziamo subito a parlare dei temi, delle ispirazioni, delle stupefacenti emozioni che è in grado di regalare questo splendido film.

Dopo aver stupito il mondo con Le iene, dopo aver riabilitato il cinema di serie B ed il pulp con Pulp Fiction, dopo aver celebrato la blaxploitation e le sue icone in quel mai troppo sottovalutato ed incompreso Jackie Brown, Quentin Tarantino ha voluto realizzare un film che fosse un omaggio sentito ed appassionato ad altri generi e registi che per lui sono modelli ed ispirazioni: da un lato il kung fu movie di Hong Kong, dall'altro i film di samurai provenienti dal Giappone, da un altro ancora gli spaghetti western del suo regista preferito, Sergio Leone. Ebbene, Kill Bill Vol. 1 è un film che adempie alla perfezione questo compito, e che al contempo riesce - come tutti i film di Tarantino - ad essere molto di più di un omaggio, a superare il semplice citazionismo e diventare innovativo, spiazzante, personalissimo fino all'ultimo fotogramma.

Sin dalle primissime immagini del film Tarantino ci cala in quelle che sono le atmosfere che vuole evocare con il suo film, con musiche da telefilm anni Settanta e con il cartello "Shaw-scope" (la risposta hongkonghese al Cinemascope) preso a prestito dai film dei Shaw Brothers Studios, i più importanti studi cinematografici della ex-colonia britannica degli anni 70, 80 e 90, produttori di quasi tutte le pellicole più importanti ed influenti di quella incredibile cinematografia che è stata quella di Hong Kong, compresi i film di Bruce Lee, Jackie Chan e John Woo.
Dopo questi primi, indicativi accenni, prende il via un film che per tutta la sua durata ci offre infinite citazioni ai generi prima menzionati, quelli che Tarantino ha voluto omaggiare. Citazioni che il regista, ironico e sornione, dedica a anche a se stesso, citazioni che vanno oltre l'oramai consueta (ma mai banale e ripetitiva) divisione in capitoli che mescolano la cronologia del film e che, con riuscita ironia dimostrano come Tarantino - in film tanto diversi fra loro - sia stato in grado di portare avanti delle linee comuni e quindi distintive di un progetto - magari inconsciamente - "autoriale".

Tornando alle alle citazioni di genere, sarebbe lunghissimo e noioso elencarle tutte, specie per quanti con il cinema di Hong Kong o con i film di Samurai giapponesi non hanno grande dimestichezza. Per il primo basterebbe menzionare la tuta gialla nella quale è sensualmente inguainata Uma Thurman, presa di peso da L'ultimo combattimento di Chen, o le maschere indossate dagli scagnozzi di Lucy Liu, omaggio a quel Green Hornet che di Bruce Lee fu il primo ruolo rivestito con successo. Per i secondi la presenza di Sonny Chiba, vera e propria leggenda vivente del genere, che regala un (lungo) cammeo che è un gioiello di ironia e umorismo. E sempre in omaggio al cinema giapponese arriva quello splendido inserto anime che Tarantino ha fatto realizzare da specialisti del settore sulla base di una sceneggiatura che - come per tutto il resto del film - descriveva le inquadrature e tutto quanto c'è di visivo nel film fino al più piccolo dettaglio. E Sergio Leone? In attesa di vedere Vol.2 - che stando a quanto dichiarato da Uma Thurman a Roma dovrebbe essere molto più legato ai film del regista italiano di Vol. 1 - basta ricordare come la figura di The Bride sia modellata, nel carattere e nelle espressioni, su quella del Clint Eastwood della trilogia del dollaro, e di come Tarantino cerchi costantemente attraverso i movimenti di macchina di imitare il suo modello.

Questo e molto altro ancora Tarantino ha citato e omaggiato, ma con uno stile che avvince, sorprende e cattura, uno stile perfettamente fedele alle regole di genere (dei generi) e comunque al tempo spesso personalissimo e spiazzante. La grande cultura cinematografica del regista, la sua tecnica, la sua inesauribile creatività gli hanno permesso di compiere un'operazione di estrema difficoltà: quella di realizzare un film che conosce talmente bene le regole dei generi cui si ispira da farle proprie, da forzarle, modificarle, introspettizarle, senza mai e poi mai romperle.
Postmoderno come gli Stati Uniti da cui proviene, e come quella Hong Kong e quel Giappone a cui si è cinematograficamente ispirato, Tarantino ha realizzato un film che è un frullato di generi e culture, rimescolate con incredibile perizia e coscienza di sé.
Basterebbe anche la sola colonna sonora a testimoniarlo: curatissima e straniante, perfetto e fondamentale contrappunto all'azione, che associa le musiche degli spaghetti western ai combattimenti tutti spada e kung-fu nello stile di Hong Kong e che fa affrontare due donne-samurai in un tradizionalissimo giardino giapponese sulle note "flamencheggianti " di "Don't let me be misunderstood" dei Santa Esmeralda.

Kill Bill Vol. 1 è un film ipnotico ed appassionante, che stupisce ad ogni sequenza, che lascia segni profondi in chi guarda, nella retina e nel cuore. Un film che può essere apprezzato al 100% anche da chi non possiede quel background cinematografico cui Tarantino si è ispirato, per via della sua forza emotiva. Senza dimenticare poi il fondamentale contributo offerto dalla musa di Tarantino, Uma Thurman. Un'Uma Thurman - lo diciamo una volta per tutte - dalla incredibile bellezza e dalla straordinaria intensità, un'Uma Thurman senza la quale il film non sarebbe stato quello che è. Quentin e Uma prendono quindi lo spettatore, lo catturano con la spettacolarità, la violenza, l'umorismo, l'ironia, la stralunatezza, il pathos. E lo accompagnano lungo 110 minuti che sembrano volare, fino all'epilogo sospeso che è un'altra piccola gemma del film. Non sappiamo - e non vogliamo sapere - se il film è stato diviso di due per imposizione della Miramax o meno. Quello che importa è che Tarantino ha sfruttato questa situazione - voluta od imposta che fosse - per completare fino all'ultimo fotogramma il suo progetto cinematografico, con una conclusione che ricalca totalmente quella dei telefilm a puntate degli anni Settanta, rientrando così nella cifra narrativa ed estetica del film tutto e dei suoi modelli.

Con questo film Quentin Tarantino si conferma quindi non solo un grande regista, ma soprattutto uno dei pochi in grado di padroneggiare la natura intima del cinema di genere e delle sue regole, della sua iconografia, delle sue topiche. Si conferma un grande accumulatore di cinema e di competenza cinematografica, un'enciclopedia che odia l'intellettualismo e che ama i generi "negletti", che questa competenza restituisce allo spettatore attraverso i suoi film, dopo averla rielaborata e ruminata. Ma non si commetta l'errore di pensare che questa competenza e questa padronanza riguardi solo i film ed i generi che abbiamo definito "negletti". Basta ammirare il bellissimo piano sequenza con il quale il regista segue Uma Thurman e Julie Dreyfus nella House of the Blue Leaves: un piano sequenza modellato su quello altrettanto splendido ambientato tra i corridoi degli studi televisivi in Magnolia, realizzato da quell'altro grande del cinema di oggi che è Paul Thomas Anderson. Non a caso altro regista stimatissimo da Tarantino.