Cobra: da Sylvester Stallone il film cult dell'America conservatrice

Compie 35 anni Cobra, uno dei film più iconici e allo stesso tempo meno di successo di Sylvester Stallone, un action che portò sul grande schermo le paure dell'America reaganiana.

Cobra: un primo piano di Sylvester Stallone
Cobra: un primo piano di Sylvester Stallone

Cobra di Sylvester Stallone è uno dei film più iconici del divo italo-americano. Eppure rappresenta un piccolo passo falso nella sua carriera, in termini di incassi e soprattutto di critica, che accolse in modo assolutamente negativo questo action dalla genesi incerta e dalla natura poco armoniosa. Eppure, a dispetto del tono violentissimo e sovente involontariamente comico (la cosa peggiore per un film di questo tipo) Cobra ancora oggi gode di molto credito presso tanti registi, ed è considerato uno dei prodotti action più esemplificativi di quel decennio americano ultraconservatore, machista, dominato da una narrazione tanto polarizzata quanto distopica. A trentacinque anni di distanza, questo film va forse analizzato con un'ottica e un punto di vista differenti, riconoscendone oltre che limiti, anche la notevole dose di fantasia e la sua connessione con la società americana dell'epoca.

Un action dalla genesi difficoltosa

Sylvester Stallone con Brigitte Nielsen in Cobra
Sylvester Stallone con Brigitte Nielsen in Cobra

Cobra era un film creato seguendo passo dopo passo il volere di Sylvester Stallone, all'epoca semplicemente il divo per eccellenza del grande schermo. Tra Rambo e Rocky IV l'attore italo-americano in quel periodo era letteralmente il Re Mida del botteghino, nel pieno della sua gloria e di un egocentrismo indomabile. Di base, seguiva un'autoreferenzialità tanto marchiana, quanto coerente con quel decennio, dominato da divi e simboli vincenti e autoritari, testosteronici e arrogantemente sicuri di sé. Era l'epoca di Reagan e della rinascita dell'Impero a stelle e strisce, era il trionfo dell'America bianca, conservatrice, capitalista e borghese, decisa a prendersi la ribalta. Lo faceva anche grazie ad una narrazione in cui si esaltava l'individualismo, la necessità di legarsi ad eccellenze, ad eroi sicuri di sé, sovente antiliberali, i soli capaci di rimediare alle falle dello Stato. La sceneggiatura di Cobra si basava sia sul romanzo "Fair Game" di Paula Gosling, sia sullo script iniziale di Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills, al tempo in cui Stallone era stato vicino ad interpretare il personaggio che avrebbe poi lanciato Eddie Murphy. Sul set la lavorazione fu molto difficoltosa. Il regista ufficiale, il dittatoriale George P. Cosmatos, era in realtà completamente messo da parte da Stallone, che sovente trattò in modo rude e poco rispettoso la crew e lo stesso cast, in primis Brian Thompson, che interpretava "Belva della Notte", il villain del film. Le riprese, sia per le ingerenze della Warner Bros., sia per le continue modifiche apportate allo script da Stallone, furono difficoltose ed incoerenti, in fase di montaggio, i 140 minuti dovettero essere ridotti a 87. Il risultato fu un action cupo, sanguinolento, dove la povertà dei dialoghi, la scarsissima profondità data ai personaggi e le sequenze action abbastanza prevedibili, ne decretarono un successo contenuto e una severità nei giudizi della critica che ferì il divo hollywoodiano.

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Le paure dell'America conservatrice e bianca

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Cobra: Sylvester Stallone in una scena del film

In Cobra Stallone era chiamato ad interpretare l'eccentrico e violento poliziotto Marion Cobretti, facente parte dell'immaginifica divisione Zombie, specializzata (per così dire) nel levare dalla circolazione i delinquenti psicopatici. Oggi come oggi appare senz'altro assurdo pensare ad una sorta di setta come quella delle Belve della Notte, che mirava a punire l'Occidente (cioè l'America) per i suoi crimini contro il mondo, capace di darsi un'organizzazione militaresca e di infiltrarsi nella polizia. Eppure, tale nemesi, era assolutamente in linea con un periodo molto particolare della storia americana. La crisi degli anni '70 e le politiche economiche e sociali decise da Reagan, avevano aumentato la conflittualità sociale così come la tensione razziale. Le periferie erano diventate delle gigantesche baraccopoli dove regnavano droga, povertà e gangs di tutti i tipi. Tutto ciò che l'America dominante di quegli anni seppe fare, fu di pensare a quella realtà come a una culla di crimine e nefandezze, il vero pericolo per la parte perbene, borghese e produttiva della società. Una visione presente anche nella saga de Il giustiziere della notte o in quella dell'ispettore Callaghan. Ma vi era qualcosa di più reale, di orrendo: la nuova realtà dei serial killer. Come mostrato da Mindhunter in quegli anni l'America capì che vi era una nuova razza di predatori urbani, gente assolutamente instabile, apparentemente normale, ma capace di seminare morte e terrore per poi sparire nell'anonimato. Da Richard Ramirez a Ted Bundy, da Arthur Gary Bishop a Larry Eyler, quel decennio riempì di terrore le notti delle famiglie americane, sicure che la Polizia ordinaria, non potesse nulla contro mostri del genere. Servivano nuovi metodi, servivano nuovi difensori. Serviva uno come Cobra.

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Un vendicatore poco convincente

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Cobra: una scena del film

Cobra fu creato da Stallone ispirandosi a tanti popolari eroi del grande schermo americano. Sicuramente uno dei più importanti era Lo Straniero senza Nome, diventato icona grazie a Clint Eastwood. Come lui, anche Cobra era un personaggio che si distingueva per un look molto eccentrico e sostanzialmente due espressioni: o con gli occhiali Ray-ban o senza, in alternativa con o senza il fiammifero tra i denti. Se il Monco della Trilogia del Dollaro aveva il poncho, lui invece indossava il suo bomber nero, con quel cobra rosso dietro, e cavalcava il suo destriero, una 50 Mercury Coupe, che ancora oggi è ricordato come uno dei veicoli cinematografici più cool di sempre.

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Cobra: una scena del film

La sua pistola, una Colt 1911 personalizzata, altro non era che l'omaggio alla Colt impugnata dai tanti giustizieri del genere western. E come nel film western, anche in Cobra vi era l'orda selvaggia che attaccava la civiltà, i banditi che solo lui, Marion Cobretti, novello sceriffo, poteva fermare. Cobra era un duro, un solitario, che andava oltre le regole, oltre la legge, pur di fare giustizia e non rispettava che il suo codice, un po' come John Wayne. In molti videro in questo personaggio una sorta di fascista, né più né meno di ciò che era stato un altro massacratore di folli e criminali: l'ispettore Callaghan, a cui Stallone cercò di connettersi, creandone però una versione più atletica e rabbiosa. In particolare, in Cobra appariva forte il legame con il villain di Cielo di piombo, Ispettore Callaghan, anch'esso a capo di sbandati deviati, armato di un coltello a dir poco bizzarro. Certo, il fatto che alle domande di Thompson circa le motivazioni del suo personaggio, Stallone avesse risposto con un "è cattivo e basta", fa ben comprendere quanto poco approfondito fosse il prodotto nelle mani di Sly.

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Cult sottovalutato o action dimenticabile?

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Cobra: Sylvester Stallone in una scena del film

Forse il vero, grande difetto del film, fu che al netto di cadaveri, inseguimenti e un'atmosfera oscura, mancasse la componente ironica, fosse anche "vecchio" esteticamente e non molto in linea con le atmosfere urban di quei tempi. Il suo rivale Arnold Schwarzenegger aveva portato quasi contemporaneamente sul grande schermo due blockbuster di grande successo come Commando e Codice Magnum. In entrambi, vi era maggior cura a livello tecnico ma soprattutto una grande autoironia, une vera e propria decostruzione del machismo americano. Stallone commise l'errore di prendersi troppo sul serio.

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Cobra: Sylvester Stallone in una scena del film

Ma a tanti anni di distanza, Cobra rimane tuttavia un cult di quel decennio, un concentrato di azione molto interessante e particolare per atmosfere e tematiche. Non stupisce che un regista come Nicolas Winding Refn lo annoveri tra i suoi film preferiti, e ne abbia fatto la propria fonte d'ispirazione per il suo riuscitissimo ed acclamato Drive. A 35 anni di distanza, quell'action così tiepidamente accolto da pubblico e critica fu un piccolo passo falso per Stallone, ma rimane un'opera particolarmente eloquente per ciò che riguarda le paure e la visione individualista e pessimista verso lo Stato della società americana.