Catherine Deneuve: 70 anni di un'icona senza tempo

Attrice di straordinario talento, idolo dei cinefili e musa di registi quali François Truffaut, Roman Polanski e Luis Buñuel, ma anche modello di fascino e di eleganza per più di una generazione: un omaggio alla carriera della primadonna indiscussa del cinema francese

Ben pochi attori possono vantare il merito di aver attraversato oltre mezzo secolo di carriera restando sempre, inesorabilmente sulla cresta dell'onda. Ancora meno, tuttavia, coloro che, oltre a conservare una popolarità acquisita ed accresciuta di anno in anno grazie a film entrati di diritto nell'immaginario collettivo, hanno saputo evolversi e adattarsi alle epoche ed ai generi più diversi, pur mantenendo una propria, peculiarissima riconoscibilità. Ed è per questo che oggi chiunque ami la settima arte, ed in particolare i grandi film che hanno entusiasmato gli appassionati di ogni età, non può non rivolgere un pensiero carico di affetto e di gratitudine a una delle attrici che maggiormente hanno contribuito a scrivere pagine fondamentali della storia del cinema. Stiamo parlando di Catherine Deneuve, che in questo 22 ottobre spegne 70 candeline: 70 anni portati con un'eleganza ed un carisma che il tempo non sembra aver minimamente scalfito. Oltre ad essere un'attrice di primissima grandezza, amata ed apprezzata su entrambe le sponde dell'Atlantico, Catherine Deneuve è anche molto altro: un'icona di bellezza raffinata ed eterea, tanto da aver incarnato la Marianne di Francia dal 1985 al 1989; ex ambasciatrice dell'UNESCO, da sempre impegnata in prima linea per le cause umanitarie ed ambientali, nonché pronta a far sentire la propria voce in ambito sociale e politico; compagna, tanto sul set quanto nella vita privata, di personaggi come Roger Vadim, François Truffaut e Marcello Mastroianni, dal quale nel 1972 ha avuto una figlia, Chiara Mastroianni, che ha seguito le sue orme di attrice; ed occasionalmente cantante, non solo sul set dei film (nel 1981 ha perfino inciso un album, Souviens-toi de m'oublier, composto per lei da Serge Gainsbourg).

Gli esordi: Vadim, Demy, Polanski

Nata nella Parigi sotto l'occupazione tedesca da una coppia di attori di teatro, Maurice Dorléac e Renée Deneuve, Catherine intraprende la carriera di attrice in maniera professionistica quando ha appena sedici anni. Assume lo pseudonimo di Catherine Deneuve, prendendo il cognome della madre, per non essere confusa con la sorella Françoise Dorleac, più grande di un anno e anche lei attrice emergente. Nel 1961, giovanissima, diventa la compagna del regista Roger Vadim, già ex marito di Brigitte Bardot; la loro relazione durerà ben poco (Vadim in seguito contrarrà un burrascoso matrimonio con Jane Fonda) ma nel 1963 porterà alla nascita di un figlio, Christian. Nel frattempo, Catherine Deneuve si prepara a conquistare il cuore del pubblico: accade nel 1964, quando interpreta Les parapluies de Cherbourg, deliziosa quanto malinconica favola d'amore narrata interamente attraverso la colonna sonora di Michel Legrand (la Deneuve viene doppiata nel canto da Danièle Licari). Il film, diretto da Jacques Demy (e considerato tuttora dall'attrice come il più bello della sua carriera), riscuote un successo clamoroso: non solo in Francia, dove si aggiudica la Palma d'Oro al Festival di Cannes, ma addirittura negli Stati Uniti, dove riporta incassi sorprendenti e ottiene cinque nomination all'Oscar. Appena un anno più tardi, la biondissima Catherine si guadagna l'entusiasmo della critica grazie ad un'altra pellicola destinata a diventare un classico: Repulsione, secondo lungometraggio del regista polacco Roman Polanski. Un thriller inquietante e visionario, in cui la Deneuve si cala magistralmente nel ruolo di una giovane estetista che cade preda ad incubi ed allucinazioni, fino a precipitare nel baratro della follia.

Bella di giorno

Il 1967 è un anno fondamentale nel percorso professionale di Catherine Deneuve: il momento in cui questa star in rapida ascesa è consacrata definitivamente fra le nuove icone del cinema internazionale. Innanzitutto, la Deneuve replica il successo de Les parapluies de Cherbourg con un altro, coloratissimo musical di Jacques Demy: Josephine - Les demoiselles de Rochefort, in cui l'attrice è affiancata da una gloria hollywoodiana quale Gene Kelly e dalla sorella Françoise (pure lei reduce da un cult firmato Polanski, Cul de sac). Questa commedia romantica dai toni fiabeschi, ancora accompagnata dalle canzoni di Michel Legrand, rappresenterà l'ultima occasione per vedere insieme le due sorelle Dorléac: la povera Françoise, infatti, muore quello stesso anno in un incidente stradale, appena venticinquenne. Ma il ruolo che stabilisce davvero, una volta per tutte, il talento e la statura iconica di Catherine è Séverine, inappuntabile e frigida moglie borghese che, spinta da un impulso misterioso, inizia a prostituirsi ogni pomeriggio in una casa d'appuntamenti. Il film, Bella di giorno, è uno dei massimi capolavori del regista spagnolo Luis Buñuel, e nonostante scateni le reazioni inferocite degli organi clericali e dei benpensanti riporta un vastissimo successo di scandalo, registrando oltre due milioni di spettatori solo in Francia e conquistando il Leone d'Oro al Festival di Venezia. La Deneuve, con la sua bellezza fredda e castigata, ma in grado di incarnare al contempo l'oscuro oggetto del desiderio maschile (al punto da suscitare l'ammirazione di Sir Alfred Hitchcock, che avrebbe voluto lavorare con lei), disegna uno dei personaggi cinematografici più celebri di tutti i tempi. Il sodalizio con Buñuel proseguirà, quattro anni dopo, con Tristana, torbida storia del triangolo di passione fra una giovane orfana, il suo maturo tutore (Fernando Rey) ed il pittore che diventa suo amante (Franco Nero).

L'incontro con Truffaut

La strada di Catherine Deneuve non poteva non incrociarsi, presto o tardi, con quella del più amato regista della Nouvelle Vague: e così nel 1969 François Truffaut la chiama ad impersonare la seducente femme fatale che fa innamorare e poi raggira un inconsapevole Jean-Paul Belmondo ne La mia droga si chiama Julie, melodramma a tinte noir che si richiama a certi stilemi tipici del cinema di Alfred Hitchcock e Fritz Lang. Truffaut, folgorato dalla Deneuve sia dentro che fuori dal set, avrà con lei una breve relazione sentimentale, in attesa di ritrovarla davanti alla cinepresa, undici anni più tardi. Intanto lei, Catherine, si fa tentare da Hollywood affiancando Jack Lemmon in Sento che mi sta succedendo qualcosa (1969), per poi tornare a farsi dirigere da Jacques Demy nell'apprezzato adattamento della fiaba La favolosa storia di Pelle d'Asino (1970). Per tutto il periodo successivo, la Deneuve si divide fra coraggiosi film d'autore e titoli più commerciali: dall'amaro La cagna di Marco Ferreri (1972), accanto al compagno Marcello Mastroianni, al dramma giudiziario Fatti di gente perbene di Mauro Bolognini (1974); dalla fortunatissima commedia Il mio uomo è un selvaggio (1975), con Yves Montand, al pluripremiato thriller finanziario I soldi degli altri (1978), con Jean-Louis Trintignant. Perfetta nei ruoli di donne in grado di unire una bellezza sofisticata ad un'incrollabile forza di carattere, Catherine Deneuve si prepara a regalare un'altra interpretazione memorabile: quella di Marion Steiner, impresaria e prima attrice di un teatro nella Francia occupata dai nazisti, incerta tra la fedeltà verso il marito (Heinz Bennent), un regista ebreo nascosto nei sotterranei dell'edificio, e l'attrazione per un volitivo attore (Gérard Depardieu). La pellicola in questione, L'ultimo metrò, è uno dei maggiori trionfi nella carriera di François Truffaut: un'accoglienza entusiastica in tutto il mondo, incassi record in patria (quasi tre milioni e mezzo di spettatori) e una pioggia di premi César, incluso il trofeo come miglior attrice per la Deneuve.

Tra la Francia, l'Italia e Hollywood

La coppia Deneuve / Depardieu, sulla cresta dell'onda dopo L'ultimo metrò, si riunisce l'anno dopo per Codice d'onore, polar a firma di Alain Corneau, che vede nel cast pure il veterano Yves Montand; Corneau tornerà a dirigere Catherine e Gérard nel 1984 nel fastoso kolossal bellico Fort Saganne, altro campione d'incassi in patria. Del resto, anche dopo aver tagliato il traguardo dei 40 anni la Deneuve resta in assoluto la star più amata di Francia: in questo periodo qualunque film interpretato dall'attrice, a prescindere dal genere o dalla ricezione critica, registra risultati eccellenti sul territorio nazionale. E la Deneuve, consapevole del proprio status divistico, ne approfitta per concedersi qualche scelta più azzardata: come quando accetta di recitare in Miriam si sveglia a mezzanotte (1983), bizzarro ma intrigante horror metropolitano dai toni dark diretto da Tony Scott, nel ruolo di una sensuale donna vampiro coinvolta in una torrida passione omoerotica, facendosi affiancare da Susan Sarandon e da un sinistro David Bowie. Ma a testimonianza dell'incredibile versatilità della Deneuve, poco dopo questo piccolo cult dell'horror nel curriculum dell'attrice compare il malinconico affresco familiare Speriamo che sia femmina di Mario Monicelli (1986), ambientato in un casolare in Toscana, stavolta accanto ad un'altra leggenda del cinema europeo, Liv Ullmann. In un'industria in cui le attrici over 40 anni vengono spesso messe da parte o confinate in ruoli secondari, Catherine Deneuve si conferma una felicissima eccezione: e nel 1992, alla soglia dei 50 anni, mette a segno un altro grandioso successo internazionale con Indocina, melodramma a sfondo storico diretto da Régis Wargnier, che oltre a sbancare il box-office francese si fa apprezzare pure in America, vincendo l'Oscar come miglior film straniero. E la Deneuve, nel ruolo di una latifondista francese che si fa travolgere dalla passione per l'ufficiale Vincent Pérez, non solo porta a casa il suo secondo premio César, ma si guadagna una nomination all'Oscar come miglior attrice.

La maturità: da Téchiné e Raúl Ruiz a von Trier e Ozon

Oltre a questi progetti produttivamente ambiziosi, tuttavia, Catherine Deneuve non manca di dedicarsi ad opere più complesse ed autoriali: soprattutto a partire dagli Anni '90, quando le sue scelte professionali si fanno più imprevedibili, ma spesso e volentieri anche più interessanti. Nel 1993 è la protagonista, insieme a Daniel Auteuil, del toccante dramma familiare La mia stagione preferita, per la regia di André Téchiné (che tornerà a diligerla nel 1996 ne Les voleurs e nel 2004 ne I tempi che cambiano); nel 1995 affianca John Malkovich ne Il convento del maestro Manoel de Oliveira, mentre nel 1997 si affida a Raoul Ruiz per uno dei suoi film più suggestivi ed ermetici, Genealogia di un crimine, accanto al giovane Melvil Poupaud. Il 1998 la vede incoronata sia al Festival di Berlino, che le rende omaggio con l'Orso d'Oro alla carriera, sia alla Mostra del Cinema di Venezia, dove riceve la Coppa Volpi come miglior attrice per la sua performance in Place Vendôme di Nicole Garcia, nei panni della vedova di un gioielliere alle prese con un traffico illecito. Nel 1999 ritrova Wargnier in Est Ovest - Amore Libertà, mentre nel 2000 recita accanto alla popstar islandese Björk nell'acclamato dramma musicale Dancer in the Dark di Lars von Trier, che ottiene la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Possibile che un'attrice tanto aristocratica, seria ed impegnata sia disposta a giocare con la propria immagine divistica? Eccome: nel 2002, ecco dunque la Deneuve pronta a dividere il set con altre primedonne del cinema d'oltrealpe (fra cui nomi del calibro di Isabelle Huppert, Fanny Ardant ed Emmanuelle Béart) in 8 donne e un mistero di Françoiz Ozon, gustosissima ed irresistibile parodia dei murder-mystery, ma in salsa musicale e con una smaccata derivazione teatrale. Il successo è a dir poco strepitoso (più di tre milioni e mezzo di spettatori solo in Francia, il suo risultato più alto), mentre l'attrice consolida il proprio status di icona gay grazie ad una scena cult in cui si rotola sul pavimento insieme a Fanny Ardant, scambiandosi effusioni saffiche.

La "bella statuina", fra trofei e nuove sfide

Ben lontana dai propositi di pensionamento, nonostante un glorioso passato che conta già una quantità incalcolabile di apparizioni cinematografiche, anche in questi ultimi anni Catherine Deneuve ha saputo scegliere con ammirevole oculatezza registi e copioni, dimostrando un'intelligenza ed un fiuto davvero fuori dal comune. Emblematica, in tal senso, la collaborazione con il regista Arnaud Desplechin, che dopo averla chiamata in una parte secondaria ne I re e la regina (2004) le ha affidato uno dei suoi ruoli più belli: quello di Junon, matriarca ultrasessantenne affetta da una grave malattia in Racconto di Natale (2008), superba tragicommedia familiare ricca di battute sagaci e di infallibili notazioni psicologiche, da annoverare tra i migliori film francesi dello scorso decennio. Di nuovo per Françoiz Ozon, e di nuovo accanto all'amato collega Gérard Depardieu, nel 2010 la Deneuve si è calata con sopraffina autoironia in un personaggio che pare voler smontare la sua aura divistica - impagabile l'entrata in scena in tuta rossa e bigodini - per riaffermarla invece con ancora maggior forza: Suzanne, moglie-oggetto dell'odioso industriale Fabrice Luchini, che si trasforma in un'eroina femminista in Potiche - La bella statuina, simpatica commedia dai toni farseschi che ha confermato lo straordinario appeal commerciale dell'attrice francese. Un'attrice che, anche a 70 anni, non si accontenta di godersi gli onori del passato, per quanto numerosi: dopo il premio alla carriera conferitole al Festival di Cannes 2005 (bissato da un premio speciale tre anni dopo, quando presentò in concorso Racconto di Natale), il 1° dicembre Catherine Deneuve riceverà il Lifetime Achievement Award alla prossima edizione degli European Film Award, a Malta. Nel frattempo, nel nostro piccolo celebriamo i suoi magnifici 70 anni ringraziandola per quel contributo, preziosissimo ed insostituibile, che ha dato e continua tuttora a dare al mondo del cinema.