Alexander Payne presenta Paradiso Amaro a Roma

A due mesi dalla presentazione in anteprima al Torino Film Festival, il regista Alexander Payne torna in Italia per presentare alla stampa il suo bellissimo film, che proprio ieri ha ricevuto ben cinque nomination ai prestigiosi Academy Awards che saranno assegnati il prossimo 26 febbraio.

Miglior Film, Migliore Regia, Migliore Attore Protagonista, Migliore Sceneggiatura non originale e Miglior Montaggio. Queste le nomination ricevute dal suo Paradiso Amaro (in originale The Descendants), il film drammatico con venature ironico-sentimentali ambientato alle isole Hawaii che vede come interprete principale un grande George Clooney, capace di offrire una delle prove più convincenti di tutta la sua carriera. Il regista di origini greche nato nel Nebraska e già premio Oscar per la sceneggiatura di Sideways ha raccontato con estrema delicatezza e realismo un'intensa storia familiare ambientata nello scenario incantevole dell'arcipelago del Pacifico e che vede un uomo d'affari e padre di famiglia giunto ad un bivio su due fronti. Con la moglie in coma in un letto d'ospedale a causa di un incidente nautico, due figlie piene di rancore nei suoi confronti e una spinosa questione di eredità familiare sulle spalle, l'uomo dovrà fare i conti con un passato di marito e padre assente e con la sua nobile discendenza dai reali nativi hawaiiani che hanno lasciato a lui e ai suoi cugini la proprietà di una striscia di spiaggia di inestimabile valore. Nella splendida cornice dell'Hotel Eden di Roma Alexander Payne, regista del brillante già citato Sideways, di A proposito di Schmidt e di La storia di Ruth - Donna americana, ci ha commentato a caldo le cinque nomination del suo film, ci ha svelato qual'è il suo film preferito del 2011 ed ha ricordato insieme a noi Theo Angelopoulos, maestro del cinema greco scomparso ieri a settantasei anni in seguito ad un incidente stradale occorsogli mentre si recava sul set del suo nuovo film (L'altro mare protagonista Toni Servillo ndr.) nei pressi del Pireo.

Si aspettava queste cinque nomination agli Academy Awards? I candidati quest'anno sono dei giganti, da Terrence Malick a Woody Allen passando per Martin Scorsese, come commenta la corsa agli Oscar?
Uno non si aspetta mai di ricevere delle candidature così importanti, al limite può immaginarsi o sperare di riceverle visto il successo del film ai Golden Globes, che di solito rappresentano un'indicazione sui titoli che poi saranno candidati agli Oscar. Posso dirvi che sono molto felice per le cinque nomination soprattutto perchè il mio nome negli elenchi affianca quello di grandi registi come appunto Malick, Allen e Scorsese. A questo proposito non vedo l'ora di incontrare i miei colleghi per i simposi di rito che si terranno tra pochi giorni. Anche se penso che né Malick né Woody Allen saranno dei nostri vista la loro poca propensione alla partecipazione ad eventi pubblici (ride). Michel Hazanavicius (regista di The Artist che ha ricevuto dieci candidature ndr.) e il mio amico Martin Scorsese sicuramente verranno e sono sicuro che ci divertiremo.

Ci racconta di cosa si discute in questi simposi di cinema tra grandi autori?
Si tratta di incontri di cortesia che si tengono con il pubblico subito dopo le nominations, uno è organizzato dalla Directors Guild of America e l'altro dall'Academy Awards. Sarà presente anche il mio amico David Fincher, un regista che stimo molto e che ha una grande conoscenza di cinema.

I personaggi protagonisti dei suoi film si confrontano sempre con eventi difficili della vita, cose che una persona non spererebbe mai di vivere, e poi lei li mette in relazione con i più grandi attori di Hollywood. Ci spiega cosa la spinge a ricreare questo meccanismo ogni volta?
Credo che tutte le più grandi opere teatrali e letterarie della Storia si siano sempre incentrate su questo argomento, far confrontare persone 'normali' con situazioni estremamente difficili, molto più grandi di loro. Da Edipo in poi la condizione umana è stata sempre raccontata in maniera drammatica e d'altronde sono tanti i momenti di crisi che ci capitano nella vita. Questo film riflette molto la mia generazione, il fatto di essere americani ma molto legati al passato dei nostri avi, mi piace anche molto raccontare le cose drammatiche della vita con uno sguardo a tratti anche leggero e pieno di ironia. Sono molto orgoglioso di aver avuto Jack Nicholson, George Clooney e Paul Giamatti nei miei film più celebri, credo che abbiano vestito alla perfezione i panni dei tre protagonisti.

Secondo lei perchè queste grandi star con lei danno sempre il meglio delle loro capacità? Come lavora con loro per ottenere questi risultati?
Prima di essere delle grandi star sono dei grandi attori. Nel caso di George Clooney c'è anche l'aspetto del gossip a influenzare l'opinione pubblica, i paparazzi, la fidanzata di turno, le sue dichiarazioni sul matrimonio e quant'altro. Da lui, come da Nicholson, da Giamatti e da tutti gli altri pretendo realismo e loro sanno che se io li scelgo per un ruolo dovranno rappresentare solo ed esclusivamente la realtà e dimenticarsi di tutto il resto, dovranno scrollarsi di dosso il glamour di certe produzioni hollywoodiane di moda in questi anni. Quando penso ad un attore per un mio film non prendo mai coscienza del gossip che lo circonda se non in un momento successivo, magari quello della promozione del film. Sarà per questo che gli attori vengono volentieri a lavorare con me, perchè sanno che con me faranno qualcosa di diverso dal solito.

L'ambientazione del film incuriosisce molto, cosa l'ha spinta a raccontare questa storia che parla di argomenti delicati come la morte e la discendenza in un luogo come le Hawaii in cui tutti sanno esattamente da dove vengono e chi sono i propri antenati. Com'è stato girare in quei luoghi?
La cosa principale che mi ha attirato di questa storia e che mi ha spinto a lavorare al progetto è stata proprio l'ambientazione alle Hawaii, davvero unica e speciale. Al di là dell'aspetto non secondario di poter vivere per otto mesi in un posto molto bello immerso in una natura rigogliosa, il tessuto sociale e culturale di quel territorio è la cosa che più mi ha intrigato. Esso deriva proprio dalla consapevolezza che ogni hawaiiano ha della sua discendenza, e non mi riferisco soltanto all'alta aristocrazia bianca di cui fa parte il nostro protagonista, ma anche ai nativi che sono sempre molto coscienti delle loro radici genealogiche. Le Hawaii rappresentano un piccolo stato a sé stante con un milione e duecentomila abitanti, fisicamente distanti dalla terraferma sperduti nel mezzo dell'Oceano Pacifico, stanziati in un territorio assolutamente unico. Grazie a questa posizione geografica si è creata una strana commistione tra l'essere una terra cosmopolita a livello turistico ma allo stesso tempo un luogo in cui vige un profondo provincialismo.

La qualità migliore del suo cinema è il suo essere lineare, moderno e classico allo stesso tempo, come giudica il fatto che nella sua generazione ci sono registi innovativi e anche un po' surreali legati a storie di grande modernità? Qual è il suo legame con il cinema europeo che ha dato l'impronta classica al cinema negli anni in cui Hollywood era in profonda crisi?
Credo che a tutti possa piacere la narrazione classica, a me piacciono le storie classiche, mi piace il cinema classico ma a mio avviso non conta tanto lo stile di un regista quanto la sincerità con cui egli usa questo stile per raccontare le storie. Secondo me la cosa più importante per un autore è far emergere il suo stile con schiettezza ed efficacia. Forse mi piace il cinema di stampo classico perchè sono nato negli Usa, ed essere un regista americano con a disposizione un determinato budget richiede l'adozione di un certo tipo di linguaggio. Probabilmente se fossi un regista slovacco avrei un altro stile, se avessi fatto cinema in Grecia e i miei avi non fossero emigrati negli Usa tanti anni fa probabilmente avrei raccontato storie diverse con un linguaggio diverso. Credo che il mio stile personale mi rispecchi come persona, amo il cinema hollywoodiano fino agli '80 e adoro letteralmente i grandi classici del cinema europero, adoro la grande umanità che traspare dalla recitazione e nel racconto.

A proposito di grandi autori Europei, come commenta la morte improvvisa del maestro Theo Angelopoulos?
Senza voler fare alcuna battuta sarcastica voglio citare a questo proposito Akira Kurosawa che una volta disse "spero di essere su un set cinematografico il giorno in cui morirò". Ho conosciuto Theo Angelopoulos a Salonicco dopo la proiezione di Sideways e ricordo che fu gentilissimo nei miei confronti, mi disse che esistevano pochi cineasti americani di origine greca, nominò Elia Kazan e John Cassavetes e mi disse che sperava un giorno di vedere il mio nome affiancato al loro. Conservo uno splendido ricordo di quell'incontro. Esistono pochi maestri del cinema di origine greca conosciuti in tutto il mondo ed è un grande dolore averne perso uno così grande.

Nel suo film c'è un riferimento neanche troppo accennato all'eutanasia e al testamento biologico, un argomento molto discusso in questi ultimi tempi qui in Italia. Come pensa che il pubblico italiano accoglierà il suo film?
Non immaginavo che ci fosse una discussione così accesa su un argomento che negli Usa è stato risolto da tempo con il testamento biologico, una soluzione accettata da tutti che secondo me ha molto senso. Credo che sia giusto che una persona possa decidere anzitempo di essere scollegato dai macchinari che la tengono in vita in caso di un coma irreversibile. Non so come verrà accolto il film, è un quesito che non mi sono mai posto francamente.

Se non vincesse lei che film vorrebbe vedere in trionfo alla consegna degli Oscar del 26 febbraio prossimo?
Il mio film preferito dell'anno è certamente Una separazione, lo splendido film iraniano diretto da Asghar Farhadi che avrei auspicato di vedere anche tra i migliori film in assoluto e non solo nelle nomination come Miglior Film Straniero.