Se il cinema italiano ci è ben noto perchè nel bene e nel male fa parte e deriva dalla nostra impronta culturale, se quello asiatico si sta ritagliando sempre più spazi grazie soprattutto ad alcuni autori che hanno saputo varcare con decisione i suoi confini, se di quello europeo abbiamo un'idea più o meno definita e quello americano ci viene proposto in grandi quantità, ci stupiamo a volte nel renderci conto di quanto poco sappiamo di quello che accade, in termini cinematografici, nelle altre zone del nostro pianeta. Difficile a volte considerare che quelli che ci appaiono dei casi isolati, quando trovano una via per arrivare nelle nostre sale, fanno parte in realtà di cinematografie molto attive che nel circuito dei festival internazionali hanno uno spazio ben consolidato e, spesso, certificato da premi e riconoscimenti.
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E' il caso per esempio del Sud America, sempre presente nei cartelloni dei festival principali, spesso arrivando anche ad assicurarsi premi prestigiosi come è accaduto lo scorso anno a Berlino a Gigante (2009), opera prima di Adrián Biniez che racconta con tenerezza la vita di Jara, guardia notturna di un supermercato che assapora la realtà attraverso i monitor del sistema di sorveglianza. Per lui il Gran Premio della giuria ed il riconoscimento per la miglior opera prima, mentre un peruviano come Il canto di Paloma (2008) si aggiudicava l'Orso d'oro.
Un cinema, quindi, quello del Sud America, che sa raccontare storie con delicatezza come nell'autobiografico Valentin (2002) di Alejandro Agresti, in cui a volte sono gli attori a catalizzare l'attenzione, come nel caso di altri film piccoli come El custodio (2006), ma che spesso dà spazio a temi delicati come la guerra tra bande rivali di La città di Dio - City of God (2002) di Fernando Meirelles, che sa miscelare gli elementi della tradizione neorealistica del cinema brasiliano con altri più spettacolari che richiamano il mondo cinematografico americano.Una cinematografia in cui non manca però l'originalità e lo testimonia un piccolo gioiello come La Antena (2007) di Esteban Sapir, che ha saputo convincere la critica con una sceneggiatura ricca dal punto di vista metaforico.
Spostandoci un po' più a nord, non mancano le soprese: anche il cinema dell'America centrale, ed in particolare del Messico, si dimostra vivo e ricco. Pensiamo a film come La zona (2007) in cui il messicano Rodrigo Plà dà voce alle paranoie della nostra società globalizzata, un vero pugno allo stomaco che ci mostra uno stato nello stato, un quartiere nel centro di Città del Messico, i cui ricchi abitanti si circondano di vigilanza privata per proteggersi dall'esterno, dimostrando un istinto primordiale che i vestiti eleganti non riescono a nascondere.
E' crudo anche Amores Perros (2000), brillante esordio di Alejandro González Iñárritu, ben più noto per i successivi 21 Grammi - Il peso dell'anima (2003) e Babel (2006), che sa intrecciare tre registri diversi per raccontare tre storie che si incrociano, lanciando la carriera del giovane Gael García Bernal, che ritroviamo in un altro film messicano che ha attirato l'attenzione nell'ultimo decennio: Y tu mamá también (2001), divertente road movie che sa raccontare il passaggio di due ragazzi al mondo degli adulti e la scoperta della sessualità e che porta la firma di Alfonso Cuarón, autore del migliore dei film della saga più in voga in questo decennio: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (2004).
Naturalmente tratteremo il cinema degli Stati Uniti d'America in articoli dedicati, per vastità e varietà della produzione, ma il Nord America non si limita agli USA e non sono mancati film interessanti provenienti dal Canada in questo decennio: pensiamo per esempio a Le invasioni barbariche (2003), in cui Denys Arcand riflette sulla vita e la morte, riprendendo i temi del precedente Il declino dell'impero americano (1986), in cui condannava la rovina della società occidentale, ed affrontandoli con una leggerezza che riesce a divertire lo spettatore. E' con spirito diverso che Isabel Coixet affronta lo stesso tema della vita e della morte in La mia vita senza me (2003), la cui protagonista Sarah Polley affronta le ultime settimane di vita con assoluta lucidità, dando ad ogni piccolo gesto una nuova importanza.
Particolarmente vivo negli ultimi dieci anni è stato il Medio Oriente, con una cinematografia che ruota spesso intorno ai temi drammatici della guerra con una sensibilità raramente presente altrove. Ne è un esempio lampante Valzer con Bashir (2008), documentario autobiografico realizzato con un misto di tecniche di animazione che riescono a riprodurre con efficacia i racconti di guerra così come sono narrati da coloro che erano presenti in battaglia.
Sullo stesso tema si concentrano sia Beaufort (2007) che Lebanon (2009), rispettivamente vincitori dell'Orso d'argento per la regia a Berlino e Leone d'oro a Venezia, e lo fanno mostrandoci un piccolo pezzo della guerra: il primo racconta la resistenza di un avamposto militare israeliano in attesa di un ordine di ritiro che tarda ad arrivare, mentre Lebanon riproduce l'ansia e la claustrofobica sensazione di pericolo di quattro soldati chiusi all'interno dell'abitacolo di un carroarmato.E' il racconto familiare del regista Elia Suleiman al centro di The Time that Remains (2009), a Cannes lo scorso anno ed in uscita a Maggio per la BIM: le vicissitudini della famiglia del regista, vero e proprio fulcro della narrazione, diventano anche lo spunto per raccontare le vicende dello stato di Israele dal 1948 ad oggi, ma non per questo pretende di approfondire una delle storie più complesse di questo secolo.
Viene invece dall'Iran About Elly (2009), vincitore dell'Orso d'argento l'anno scorso a Berlino ed in arrivo nelle nostre sale a Febbraio per la Mediaplex, un film che mantiene alta la tensione con grande equilibrio e sa emozionare come pochi grazie al confronto tra i protagonisti, ma soprattutto grazie all'abilità di Asghar Farhadi nel dirigerli.
Non è rimasta a guardare l'Oceania, proponendo in questi dieci anni pellicole di indubbio valore provenienti dall'Australia come il thriller Lantana (2001) di Ray Lawrence o un vero e proprio western di ambientazione australiana come The Proposition (2005) di John Hillcoat, o l'horror di Wolf Creek (2005), tutti notevoli per la loro messa in scena.
Ecco la lista completa (in ordine cronologico) delle scelte della redazione per quanto riguarda I film del decennio 2000-2009 - Speciale World Cinema:
Amores Perros (2000)
Lantana (2001)
Y tu mamá también (2001)
La città di Dio - City of God (2002)
Valentin (2002)
La mia vita senza me (2003)
Le invasioni barbariche (2003)
The Proposition (2005)
Wolf Creek (2005)
El custodio (2006)
Il labirinto del fauno (2006)
Beaufort (2007)
La Antena (2007)
La zona (2007)
The Tracey Fragments (2007)
Il canto di Paloma (2008)
Valzer con Bashir (2008)
About Elly (2009)
District 9 (2009)
Gigante (2009)
Lebanon (2009)
The Time that Remains (2009)
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