Recensione Match Point (2005)

Raramente nell'ultimo decennio le opere di Woody Allen sono state così "cinematografiche" o hanno potuto godere di una direzione degli attori così attenta o di una struttura narrativa così bilanciata.

Un rovescio fortunato

Puntuale come ogni anno, giunge anche nelle sale italiane il nuovo film di Woody Allen, il trentacinquesimo dietro la macchina da presa, con non poche novità per tutti coloro che conoscono e apprezzano la filmografia del regista newyorkese. La novità più evidente è che questo Match Point è il primo film girato ambientato completamente al di fuori della Grande Mela, e più precisamente a Londra. Mancano, poi, quasi del tutto, la comicità e i dialoghi pungenti che da sempre hanno caratterizzato la sua opera, così come mancano i tipici protagonisti alleniani, nevrotici, insicuri e buffamente tragici.
La storia infatti vede come protagonista il giovane Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyers), ex professionista di tennis appena approdato nella capitale inglese e alla ricerca di un lavoro: troverà un posto come insegnante in un prestigioso club di tennis riservato all'alta società, conoscerà il ricco Tom Hewett (Matthew Goode) e in seguito tutta la sua famiglia, e grazie all'interesse, anche sentimentale, della sorella Chloe (Emily Mortimer) comincerà una lunga ascesa all'interno della "nobiltà" inglese. Sarà l'incontro con la splendida Nola Rice (Scarlett Johansson), attricetta di scarso successo e fidanzata con Tom nonostante il parere poco favorevole della famiglia di lui, a mettere a rischio tutta la fortuna che ha costruito e che gli ha permesso di vivere una vita agiata, piacevole al di là di ogni aspettativa, e di cui non riesce più a fare a meno, al punto di essere pronto a fare qualsiasi cosa pur di difenderla.

Come già detto in precedenza, Allen abbandona in questa pellicola ogni velleità comica, ma delinea piuttosto un dramma psicologico che si tinge nel finale di noir ed esamina con accuratezza l'ambiziosa scalata di un giovanotto perbene e l'evoluzione del suo animo, delle sue convinzioni e delle sue priorità. E' la società in cui viviamo, le cose che ci circondano, a mutare le nostre credenze e a forzare le nostre azioni o siamo noi che agiamo per far sì che le nostre aspettative siano sempre appagate, costi quel che costi? La risposta che ne viene fuori è ambigua; la macchina da presa segue sempre da molto vicino la storia di Chris riuscendo ad instaturare nell'animo degli spettatori le stesse paure, angosce e difficoltà del protagonista: un senso di totale coinvolgimento che non ci permette di condannare, ma neanche di giustificare, la progressione sempre più irreversibile della sua storia.
Non un giudizio morale quindi, come avveniva nel capolavoro Crimini e misfatti, ma una semplice ed attenta analisi di una storia come tante, con particolare attenzione, però, al ruolo che la fortuna può avere nella vita di noi tutti, perchè i momenti decisivi, i _match point _della nostra esistenza, dipendono dal caso. Ma se nel tennis il risultato è evidente a tutti a seconda se la pallina cade da una parte all'altra della rete, nella vita nulla è definito, ed un tiro apparentemente andato storto (ed è molto bella la scelta di mostrare questa similitudine con un'emblematica e decisiva scena al ralenty in cui fino alla fine non si sa se un anello finirà da una parte o dall'altra della riva di un fiume) può anche significare una vittoria.

Recentemente Allen ha ribadito la sua intenzione di essere sempre meno presente davanti alla macchina da presa e da concentrarsi quasi esclusivamente sulla sceneggiatura e sulla regia, e visto il risultato assolutamente soddisfacente di questo Match Point sembrerebbe una scelta giustissima, considerato che raramente nell'ultimo decennio le sue opere sono state così "cinematografiche" o hanno potuto godere di una direzione degli attori così attenta o di una struttura narrativa così bilanciata. Non sappiamo se sarà stata l'aria di Londra, il fortunato incontro con la nuova "musa" Scarlett Johansoon o la ritrovata vena drammatica (già in parte esibita nel precedente Melinda e Melinda), fatto sta che, a settant'anni, cinematograficamente parlando, Woody Allen sembra quasi un uomo nuovo.

Movieplayer.it

4.0/5