Verso l'inizio del primo episodio di questa seconda stagione, The Western Book of the Dead, l'imprenditore e criminale Frank Semyon proclama: "Mai fare qualcosa perché si ha fame, nemmeno mangiare". Ci piace immaginare che quando ha scritto questa battuta, lo sceneggiatore Nic Pizzolatto stava probabilmente pensando a se stesso, e alla sua "fame" di scrivere una seconda stagione di True Detective al livello della precedente, ma anche a quella degli spettatori, che stavano attendendo il ritorno di questa amatissima serie come forse raramente era successo nella storia delle serie TV.
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Ci piace pensare che fosse ben consapevole che qualsiasi fosse stato il risultato, questa seconda stagione, o quantomeno questo inizio di seconda stagione, avrebbe dovuto comunque fare i conti con quella fame e dell'impossibilità di saziarla. Di certo deve essersi accorto, il coraggioso Pizzolatto, di trovarsi in una situazione senza via d'uscita: "costretto" a ripetersi senza però poterlo fare per la natura antologica del suo stesso progetto e a cercare di accontentare i fan senza, però, poter offrire loro nulla, se non lo garanzia del proprio nome, a cui aggrapparsi per ritrovare gli elementi che avevano decretato l'enorme successo del primo importante lavoro della sua carriera.
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Una delusione necessaria
Prima ancora di andare ad analizzare questo primo episodio, una premessa è certamente necessaria e la domanda assolutamente legittima: "questa seconda stagione di True Detective parte bene quanto la precedente?" E la risposta non può che essere no. No, perché in tutta onestà questa premiere di stagione non ci ha soddisfatto quanto quella di un anno e mezzo fa, ma siamo abbastanza convinti che nessuno, nemmeno Pizzolatto stesso, potrebbe dire diversamente. Eppure se ci sentiamo, per il momento, di promuovere a pieni voti questo True Detective 2 è proprio per questo motivo, perché con quest'ora di televisione il suo autore - coadiuvato da un nuovo regista, il "Fast & Furious" Justin Lin - è riuscito in pieno nel suo scopo, ovvero mettere in chiaro che non c'è nessuna intenzione di ripetersi o di provare a farlo, ma che la direzione presa è davvero molto diversa.
Il True Detective che abbiamo conosciuto ed amato è quindi definitivamente alle nostre spalle e dobbiamo farcene una ragione, adesso non resta che ricominciare davvero da capo, letteralmente da zero. Ed è forse proprio per questo motivo che Pizzolatto decide di partire con un episodio che sa davvero di (lunga) introduzione: oltre 55 minuti dalla narrazione molto frammentata servono a presentarci nuovi personaggi, nuovi temi, nuove atmosfere per poi lasciarci negli attimi finali (accompagnati dalla bellissima All the Gold in California, cover di Nick Cave e Warren Ellis registrata appositamente per l'episodio) con i tre protagonisti che finalmente si incontrano e si guardano, a malapena di parlano, ma ci fanno capire di essere, adesso sì, pronti a cominciare davvero.
Il nuovo True Detective comincerà insomma dall'episodio sucessivo, Night Finds You, per il momento ci viene lasciato il tempo per assorbire questo cambiamento e accettare queste piccole grandi differenze. Vediamole insieme nello specifico.
1. La sigla
Partiamo dalla sigla perché seppure potrebbe sembrare una banalità, di fatto non lo è. Soprattutto in una serie antologica (vedi American Horror Story) mantenere una certa continuità stilistica nella sigla può aiutare lo spettatore e donargli un senso di familiarità. Nel caso di True Detective lo stile utilizzato per la sigla è lo stesso, ma cambia forse la cosa più importante, ovvero la musica: se lo scorso anno a fare la fortuna dello show era stata anche l'azzecatissima scelta della canzone Far From Any Road di The Handsome Family, Pizzolatto non ha potuto fare a meno di cambiarla perché troppo legata ai temi e ai personaggi della stagione precedente (qui trovate una nostra interpretazione della prima sigla).
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La nuova canzone comunque è altrettanto affascinante: Nevermind di Leonard Cohen - tratta dall'album più recente, Popular Problems del 2004 - fa capire fin da subito che nonostante tutti i cambiamenti il tono di certo non è più gioviale o allegro, ma anzi, se possibile, sarà ancora più cupo e angosciante. A questo punto bisognerà vedere se, oltre che a contribure al mood, la canzone è stata anche scelta per il significato del suo testo: i versi che si sentono nella sigla sembrerebbero suggerire di sì e c'è poco da stare allegri.
The war was lost
The treaty signed
I was not caught
I crossed the line
I was not caught
Though many tried
I live among you
Well disguised
I had to leave
My life behind
I dug some graves
You'll never find
The story's told
With facts and lies
I had a name
But nevermind
[...]
My woman's here
My children too
Their graves are safe
From ghosts like you
In places deep
With roots entwined
I live the life
I left behind
2. L'ambientazione
Un altro elemento fondamentale, che ha fortemente contributo al successo della serie, è stato il paesaggio della Lousiana, fatto di paludi ed immensi spazi aperti che, grazie anche alle tante riprese aeree scelte da Cary Fukunaga, riuscivano ad esprimere perfettamente l'idea di una provincia americana misteriosa e sconfinata, un mondo immenso in cui sembrava davvero potersi nascondere qualsiasi segreto. Con questa seconda stagione si passa invece all'assolata California e in particolare a quella della città fittizia di Vinci: sebbene rimangano le riprese dall'alto, quello che vediamo questa volta non sono prati e campi sconfinati ma un labirinto di strade che sembra richiamare non solo la complessità dell'intreccio che verrà ma anche l'impossibilità da parte dei protagonisti di trovare la strada persa molto tempo prima. Se aveva fatto un po' storcere il naso la scelta della California, un setting certamente più "banale", bisogna ammettere che almeno in questo primo episodio ci viene mostrata una Los Angeles County certamente diversa dal solito, molto più industriale che glamour.
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3. I personaggi
Veniamo alla parte più significativa perché, lo sappiamo tutti, se True Detective è diventato un fenomeno non lo deve al mistero della prima stagione o alla regia a tratti strabiliante di Fukunaga ma ai due personaggi interpretati da Woody Harrelson e Matthew McConaughey, per le loro interpretazioni ma anche e soprattutto per la coraggiosa ed originale caratterizzazione dei due personaggi e dello stravolgimento delle dinamiche tipiche della coppia di investigatori antitetici. Insomma, gran parte del primo True Detective funzionava grazie soprattutto a Rust e Marty, ai loro litigi, alle discussioni e ai monologhi.
Di tutto questo non c'è alcuna traccia, ma anzi Pizzolatto spazza via tutto fin dalle fondamenta: innanzitutto non c'è più una coppia di sbirri, ma ce ne sono ben tre e nemmeno lavorano insieme, ma si incontrano, come dicevamo, soltanto alla fine e a malapena ai rivolgono la parola. Ray Velcoro, Ani Bezzerides e Paul Woodrugh sono tre personaggi molto diversi tra loro per età, per sesso e anche per "specializzazione" ed è certamente difficile, adesso, immaginarli come sostituti di quei due interpreti che abbiamo amato così tanto un anno e mezzo fa. In più, c'è un quarto protagonista, Frank Semyon, il criminale che citavamo in apertura, che per il momento sembra essere legato al solo Ray e che non sappiamo bene come si inserirà nella storia, ma di certo anche solo il fatto di avere un personaggio principale che non è un "true detective", ma (almeno in teoria) un nemico da combattere rende il tutto ancora più interessante e imprevedibile.
Discorso a parte poi sugli attori, perché se ne è parlato moltissimo già al tempo degli annunci, quando già Pizzolatto si era dimostrato molto, molto coraggioso: dei nomi principali (Colin Farrell, Rachel McAdams, Taylor Kitsch, Vince Vaughn e aggiungiamo anche la macbethiana Kelly Reilly) non c'è nessuno che in quanto a carisma possa competere non solo con quelli della prima stagione ma anche con i nomi illustri che erano stati fatti nei mesi successivi (Cate Blanchett, Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Jessica Chastain etc etc). Si dice che proprio queste scelte di casting siano state uno dei motivi di rottura tra Fukunaga e Pizzolatto; che sia vero o no, non sarà facile raccogliere questa pesantissima eredità, e di certo un solo episodio non è sufficiente a darci indicazioni in questo senso: da quello che abbiamo visto però Farrell ci sembra senza dubbio molto in parte e il migliore del gruppo, seguito dal tanto criticato Vaughn, mentre un po' un oggetto misterioso per il momento rimane Kitsch, tanto carismatico in Friday Night Lights quanto insignificante nei progetti successivi. Sarà questa la volta buona per dimostrare che non si tratta di un bluff?
4. I flashback
Un'altra caratteristica fondamentale della prima stagione fu l'utilizzo di più linee temporali (1995, 2002, 2012) e anche quello (limitato soltanto ai primi episodi) degli interrogatori ai due protagonisti da parte di altri due detective. Furono due soluzioni che permisero a Pizzolatto di sviluppare e raccontare al meglio i sui due protagonisti ma anche di avvincere fin dall'inizio lo spettatore che doveva così cercare di ricostruire e immaginare quanto successo negli anni "mancanti".
I flashback sono presenti fin da subito anche in questa seconda stagione e, almeno per quanto riguarda il personaggio interpretato da Farrell - con la tragica storia dello stupro della moglie e l'inizio della collaborazione con Frank Semyor - effettivamente contribuiscono anche qui a creare quel senso di curiosità necessario per uno nuovo show. Sempre il Detective Velcoro, all'inizio dell'episodio, sembra prendere parte ad un interrogatorio molto simile a quelle della prima stagione, ma qui Pizzolatto vuole prendersi gioco di noi, perché l'intervista si conclude subito e con essa la possibilità di avere nuovamente un accesso diretto ed immediato al passato di questi nuovi personaggi: se al termine del primo episodio della prima stagione conoscevamo già molti aspetti di Rusty e Marty e del loro rapporto, ed eravamo desiderosi di saperne molto di più, questa volta dovremo attendere molto di più per capire le motivazioni, i segreti e anche le filosofie di questi quattro personaggi che sono più cupi, più misteriosi e più autodistruttivi che mai.
5. L'indagine
L'abbiamo tenuta per ultima perché così sceglie di fare Pizzolatto, ed è forse proprio questa, fra tutte, la scelta che potrebbe spiazzare molti spettatori. Nella prima stagione fin da subito ci veniva mostrato il luogo del delitto, le sue caratteristiche raccapriccianti e mistiche, ed era proprio da quelle immagini che la serie gettava le basi per tutto il resto. In The Western Book of the Dead dobbiamo invece attendere quasi l'intera ora per capire finalmente quale sarà il cuore dell'indagine e aspettare il successivo episodio per comprenderne gli elementi più macabri.
Non è certamente un caso che si sia voluto dare così tanta importanza al background dei personaggi e in particolare alla corruzione della polizia e della politica locale: se con la prima stagione l'influenza letteraria era soprattutto quella di Robert W. Chambers e Thomas Ligotti (ai limiti del plagio secondo alcuni), questa volta siamo certamente più dalle parti di un veterano dello schermo come James Ellroy (The Black Dahlia, L.A. Confidential, La notte non aspetta) e di coloro che, a loro volta, ne sono stati ispiratori: Dashiell Hammett e Raymond Chandler.
E ora?
E ora il "peggio", se proprio così lo vogliamo definire, è passato, il confronto impossibile è stato fatto, l'inevitabile "delusione" è pronta ad essere archiviata. Quello che resta, adesso, è una serie di fatto completamente nuova, una serie di indubbia qualità che, se non si fosse intitolata True Detective, sarebbe probabilmente stata acclamata anche dalla spietata critica americana come una delle "must see" di questa estate.
Se così non è stato, è perché si portava appresso aspettative altissime, se non impossibili; ma se, nonostante la delusione, tutti noi comunque non vediamo l'ora di mettere le mani sui prossimi episodi, qualcosa vorrà pure dire. No?
Movieplayer.it
3.5/5