True Detective: Night Country tira una linea netta rispetto al passato, pur prendendone l'ispirazione assoluta per una storia nerissima come è nera la notte perpetua dell'Alaska. Tira una linea, a cominciare dalla geografia, sempre protagonista nelle precedenti stagioni. Perché le storie antologiche di True Detective sono fortemente influenzate dall'ambiente circostante. Un ambiente a tratti onirico, a tratti selvaggio, brutale nella sua inarrestabile divulgazione del Male. Del resto, se per migliorare bisogna cambiare, ciò che esce fuori dai sei episodi di True Detective: Night Country ha la forma sformata di un incubo vissuto a occhi aperti (come scritto nella nostra recensione), e tratteggiato dalla messicana Issa López, regista e sceneggiatrice, in una storia che segue le tostissime Liz Danvers (Jodie Foster) e Evangeline Navarro (Kali Reis), detective che tornano a sfogliare uno scottante caso irrisolto - l'omicidio di una nativa - quando scompaiono otto uomini di una stazione di ricerca.
Così, dopo l'umidità della Louisiana, dopo l'aridità della California, e dopo la pioggia dell'Arkansas, eccoci tra i ghiacci dell'Alaska, nell'immaginaria cittadina di Ennis. Lì, nevica. Nevica e non la smette. È tutto bianco, è tutto nero. Di conseguenza, un ambiente del genere, prevede un set complicato e proibitivo, ricreato in Islanda, con le riprese notturne a -23 °C. "Sono messicana, e non amo il freddo", racconta Issa López in un'intervista ad AV Club, "Abbiamo girato per 49 notti consecutive. Inutile prepararsi, a quel freddo non sei preparato". Niente artifici, quindi: un clima che taglia in due, che spaventa, e che mette in condizione gli spettatori di provare gli stessi brividi degli attori. Se Matthew McConaughey e Woody Harrelson, dieci anni fa, grondavano di sudore, Jodie Foster e Kali Reis, che sono le loro evoluzioni moderne, suggeriscono allo spettatore - attraverso lo schermo - lo stesso identico freddo provato, battendo i denti nelle loro giacche trapuntate.
True Detective: Night Country, un racconto da liminal space
Ecco, quello che colpisce subito di True Detective: Night Country, disponibile su Sky e in streaming solo su NOW, è una sensazione quasi fisica (e metafisica), nonché proibitiva dal punto di vista geografico. Ci troviamo idealmente davvero al centro di Ennis, sperduta città che non esiste inghiottita da una storia che vibra sotto i riverberi di Edgar Allan Poe o di John Carpenter, finendo per ammiccare all'immobilità glaciale dell'Overlook Hotel di Stanley Kubrick. La storia, del resto, inizia nell'ultimo giorno di sole, quando sull'Alaska cala l'oscurità polare. Una notte lunga quasi tre mesi. Va da sé, che le indagini di Danvers e Navarro, acquisiscono tutt'altro spessore, in un gioco di ombre e di luci che enfatizzano la costante percezione liminale. Sì, True Detective: Night Country è un'esperienza grazie allo splendido lavoro narrativo, quanto tecnico: il concept visuale di Alex DiGerlando, il set disegnato da Cynthia Slagter e, soprattutto, la fotografia di Alex DiGerlando, capace di creare uno spettrale e folgorante liminal space. Perfetto per un'epoca in cui il vuoto riesce a creare la più spaventosa delle paure (basti pensare a quanto gli spazi liminali funzionano su Internet nei racconti creepypasta).
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Dall'Overlook Hotel a John Carpenter: Issa López e una scrittura glaciale
Lo scenario artico, quindi, è un punto di partenza e un punto d'arrivo per la quinta stagione antologica della serie targata HBO. L'impressione, infatti, è che la stesura dello soggetto sia iniziato proprio dalla location. In questo senso, le sei puntate, sono per dichiarazione di Issa López l'opposto diretto alla leggendaria prima serie: "True Detective è maschio e sudato, Night Country è buio, freddo ed è femmina". Un intento mantenuto, che non rinuncia poi alle sfumature sovrannaturali, pur restando fedele ad una razionalità quasi scientifica, che vive in simbiosi con lo stesso territorio raccontato. Del resto, l'Alaska è una terra di frontiera, lontana dalla pancia degli Stati Uniti, che vive quasi a statuto speciale. Gli ammiccamenti, anticipati dall'autrice, si legano a La cosa di John Carpenter, finendo poi per sfiorare l'apporto claustrofobico di Alien. In questo senso, la Carcosa in cui si calò il detective Cohle, alla fine della prima stagione, è l'intero luogo in cui si ritrovano Liz Danvers e Evangeline Navarro, affrontando ogni singolo evento legato ad un mistero senza apparente spiegazione.
Ma gli spazi di True Detective: Night Country, su cui aleggiano gli sperduti fantasmi di un territorio brullo e inospitale (legandosi agli eventi che iniziano dalla Tsalal, la stazione di ricerca), sono anche lo spunto per svelare uno sconfinamento poco battuto, approfondendo un luogo complesso (anche) socialmente. Come? Facendo di Kali Reis, discendente nativa americana, una perfetta Inuit (popolo artico discendente dai Thule). C'è quindi una forte identità culturale, rintracciata da Issa López "in una sceneggiatura che cercasse e rispettasse le voci degli Inuit". Per una maggiore aderenza, la scrittura è stata accompagnata da uno scambio con due produttori, uno Inupiat e l'altro Inuit, che hanno avallato i luoghi, gli abiti (di Daniel Taylor e Alex Bovaird) e la scenografia. Un insieme di espressioni, dunque, giocando su due non-colori che si inseguono, fondendosi al centro di un orizzonte che non esiste: il bianco e il nero. Guarda caso, le stesse tonalità che hanno il Bene e il Male.