True Detective 3, recensione episodi 1 e 2 – Avvoltoi e prede nel nido del Male

La recensione di True Detective 3x01 e 3x02: due primi episodi che rievocano i fasti degli inizi della serie.

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True Detective: Mahershala Ali durante una scena della terza stagione

Inutile provare a difendersi. Guanti, precauzioni e vaccini non servono a niente. Il male è contagioso. E non lascia scampo alle persone che lo guardano in faccia almeno una volta. Una materia vischiosa che rimane addosso, una sostanza virale che cresce dentro l'animo afflitto di chi l'ha dovuto maneggiare. Per questo le prede del Male non sono soltanto vittime e assassini, ma anche quelle figure di legge chiamate a sporcarsi le mani con omicidi, indizi, indagini logoranti e autopsie. Tutto questo lo abbiamo imparato soprattutto grazie a True Detective e ai suoi investigatori stanchi, disillusi, nichilisti, ma comunque indomiti nel cercare di far vincere la luce sul buio.
Così, anche in True Detective 3 l'infaticabile caccia a serial killer e maniaci di turno si è trasforma poco per volta in un pretesto per sondare con sguardo lucido gli effetti del male sulle coscienze di chi è chiamato non solo a combatterlo, ma soprattutto a riconoscerlo, ben mimetizzato com'è nel balordo quotidiano. Se nella prima stagione il cuore del disincanto era l'indimenticabile Rust di Matthew McConaughey, nella meno ispirata (ma non pessima come si dice in giro) seconda stagione gli affranti Velcoro e Bezzerides (Colin Farrell e Rachel McAdams) avevano trovato l'uno nell'altro un disperato motivo per sopravvivere. Questa volta però, niente coppie e niente quartetti: la terza stagione lavora di sottrazione e fa della semplicità la strada migliore per ritornare sulla retta via.

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True Detective: una scena con Mahershala Ali, terza stagione

Un solo protagonista raccontato attraverso tre linee temporali (1980, 1990, 2015) che si intrecciano di continuo. A tornare, però, è quel profondo senso di insofferenza e impotenza che affligge e tortura un protagonista che non riesce a liberarsi di un caso che lo infesterà per tutta la vita. In questa nostra recensione degli episodi di True Detective 3x01 e 3x02 vi racconteremo per filo per segno le nostre prime impressioni per provare a orientarci nell'ennesimo labirinto costruito da Nic Pizzolatto dentro una delle serie tv più attese del 2019 e in onda su Sky Atlantic. Un ritorno in grande stile che rievoca i fasti della prima, amata stagione. Caro vecchio Rust, stando al tuo ragionamento sulla miserabile natura umana che andrebbe condannata all'estinzione, questa volta siamo tornati ad avere il True Detective che non meritiamo. Qualcosa di buono e di bello, insomma.

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True Detective 3x01 - The Great War and Modern Memory

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True Detective: una scena della terza stagione

Lontano dalle derive filosofiche ed esistenziali della prima stagione, il nuovo True Detective va subito al sodo, scegliendo di calarsi con modestia ed efficacia in un crudo realismo senza fronzoli. 1980: siamo nel desolato altopiano d'Ozark, una zona particolarmente brulla e squallida dell'Arkansas. In un sonnacchioso primo pomeriggio, un ragazzino di 12 anni si allontana da casa in biciletta assieme alla sorellina. I due non faranno più ritorno. Parte così The Great War and Modern Memory, in modo classico e brusco, scomodando subito l'agente Wayne Hays (un perfetto e misurato Mahershala Ali) e il suo collega Roland West (un ispido Stephen Dorff), catapultati in un caso in cui omicidio e scomparsa, dolore e speranza si mescolano, avvolti nel mistero. Una trama che inizia, come sempre, a cercare sospetti e tracce di malessere in un ambiente familiare malsano, colmo di sospetti (quel buco nel muro nella cameretta è un indizio che rimane in testa) e di malesseri repressi troppo a lungo. Quello che colpisce è la capacità con cui questa terza stagione prima si avvicina e poi prende le distanze dal primo illustre predecessore. Il punto di contatto più evidente è senza dubbio l'ambientazione.

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True Detective: Stephen Dorff e Mahershala Ali in una scena della terza stagione

Arido, polveroso, svuotato di anime e stracolmo di alberi secchi, l'Arkansas diventa co-protagonista della storia, luogo inospitale che abbraccia ogni cosa nei suoi luoghi mortiferi e fangosi. Il che ci riporta alla mente le panoramiche ariose ma allo stesso tempo claustrofobiche della Lousiana attraversata in auto da Rust e Marty. Ed è proprio nei duetti tra colleghi che Nic Pizzolatto ha preso saggiamente le distanze dalle prime due stagioni. I dialoghi ora non sono né intellettuali come nella prima, né artefatti e ricercati come nella seconda, ma più semplici e schietti, coerenti con una storia più terrena e materica, lontana da qualsiasi volo pindarico. Un realismo amaro dettato soprattutto da dialoghi taglienti nel loro essere crudi ed essenziali. Se il primo episodio ci introduce nell'indagine e nei tre assi temporali in cui si snoderà, il secondo inizia a delineare con più cura la complessa personalità del detective Hyes. Perché, ormai lo sappiamo, l'indagine più interessante è lì dentro e non là fuori.

True Detective 3x02 - Kiss Tomorrow Goodbye

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True Detective: una scena con Mahershala Ali

Amarezza, speranza, spaesamento. I tre segmenti temporali di questa stagione si potrebbero specchiare e riconoscere dentro queste parole, ovvero i sentimenti che dominano l'inquieto Wayne Hays. Tre linee che si annodano attorno al collo di un uomo destinato a portarsi dietro (e dentro) i traumi del suo passato e delle digraziate esperienze in cui è immerso. Reduce del Vietnam dal quale non si è mai del tutto ripreso, Hyes ci viene descritto con contagocce, con pazienza e dedizione. Ne emerge il ritratto accurato di un predatore attento, che preferisce lavorare da solo piuttosto che in coppia, libero di cacciare ad "armi pari" come farebbe con cervi, volpi e cinghiali. Ed è proprio quel "ad armi pari" a destare qualche sospetto su quanto Hyes si sia spinto oltre pur di arrivare alla verità. Attraverso gli occhi cangianti di uno straordinario Mahershala Ali, capace di apparire deciso, afflitto e assente a seconda del decennio messo in scena, True Detective torna a imporre il potere straordinario dei luoghi sulle persone, e lo fa non solo attraverso un protagonista segnato dalla guerra, ma soprattutto grazie a una persona che ama studiare l'ambiente in cui si muove.

True Detective The Great War And Modern Memory 12
True Detective: un primo piano di Mahershala Ali in The Great War and Modern Memori

Kiss Tomorrow Goodbye, secondo episodio dello show HBO, diretto con rigore e sapienza da Jeremy Saulnier (Green Room, Hold the Dark), inizia a ispezionare con cura tanti abitanti dell'Arkansas (vicini, parenti, insegnanti) mettendo in scena anche le inevitabili conseguenze che la duplice scomparsa dei fratelli Purcell ha sui cittadini e sulle loro abitudini quotidiane. Da qui deriva lo sguardo sempre lucido e attento di Hyes, un uomo in apparenza arginato e inscalfibile ma che il tempo e l'amore sono riusciti ad ammorbidire. Però, la chiave di volta dello show arriva soprattutto dalla storyline ambientata nel 2015, che ci mostra un Wayne ormai anziano e vittima di demenza senile. Un dettaglio essenziale che insinua nello spettatore un dubbio non da poco. Se stiamo ascoltando la storia attraverso un uomo incapace di ricordare bene ogni cosa, è possibile che anche la nostra percezione dei fatti sia sfasata? E se quello che stiamo vedendo fosse soltanto la sua versione di fatti avvenuti in modo diverso? Abbiamo la felice sensazione di essere davanti a un enigma che gioca con i buchi neri della memoria e con la forza della rimozione. Un puzzle di cui non vediamo di raccogliere i pezzi. Siamo certi che dentro ci saranno persone e luoghi malconci di cui, una volta finito, sentiremo persino la mancanza.

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4.0/5