The Handmaid’s Tale 4, la recensione: Sentirsi una donna normale... Quando sarà possibile?

La recensione di The Handmaid's Tale 4: la quarta stagione della serie, dal 29 aprile su TIMVISION, continua a raccontare il percorso di June Osborne, una grande Elisabeth Moss, dalla resilienza alla resistenza.

Quando mi sveglio, prima di truccarmi, dico una piccola preghiera per te

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The Handmaid’s Tale 4: Elisabeth Moss in una scena

La recensione di The Handmaid's Tale 4, l'acclamata serie TV con Elisabeth Moss che torna in anteprima esclusiva su TIMVISION dal 29 aprile, a 24 ore dalla messa in onda in USA, inizia come l'episodio 1 della serie. Con un tocco di musica soul - le canzoni finora erano caratterizzate da una decisa atmosfera New Wave - e una canzone delicata come quella di Aretha Franklin ("The moment I wake up, before I put on my makeup, I say a little prayer for you"). È un brano che lavora a contrasto con quello che vediamo sullo schermo: June è ferita, dopo aver ricevuto un colpo di pistola nel finale della stagione 3, sanguina e viene portata in salvo. E così, le immagini di una donna che lotta per la sua vita stridono con quegli spaccati di vita quotidiana, il risveglio del mattino, che ascoltiamo nella canzone. Non c'è make up, non c'è trucco sul volto di June, e l'unico colore che arriva è quel rosso sangue che sgorga dalla sua ferita. In questo momento di grande impatto possiamo capire lo iato tra la vita di June e la vita che vorrebbe. Una vita di piccoli gesti quotidiani, truccarsi, sistemarsi, e scegliere cosa indossare. Tutte cose che diamo per scontate, ma che sono quasi impossibili in una vita senza libertà. "And wonderin' what dress to wear now" "E mentre penso a cosa indossare", dice la canzone della Franklin. A Gilead le donne non possono pensare a che vestito mettersi. A parte le privilegiate, sono spesso rosse, le Ancelle, o grigie, le "Martha". Ma The Handmaid's Tale ha cambiato tono, è diventata una ballata soul? A tratti potrebbe sembrare. Ma è sempre quello spigoloso, duro, oscuro brano New Wave.

Ancelle in fuga

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The Handmaid’s Tale 4: Elisabeth Moss in un'immagine della quarta stagione

Nel primo episodio della quarta stagione June (Elisabeth Moss), audace leader dei ribelli, è ferita e in fuga insieme alle altre ancelle. Trova rifugio in una fattoria dove viene accudita da una giovane ragazza che la cura per farla tornare in salute. Insieme alle cure, la ragazza fa conoscere anche una pianta velenosa, e a come estrarne il siero. Sarà qualcosa che a June potrà essere molto utile. Nel frattempo, in Canada, Fred Waterford (Joseph Fiennes) e Serena (Yvonne Strahovski), che si sono consegnati alle forze dell'ordine, sono in stato di fermo. E Luke Bankole, il compagno di June, mentre si occupa della bambina di June che gli è stata affidata, continua le ricerche della moglie.

The Handmaid's Tale 3, la recensione dei primi episodi: la Resistenza delle donne di Gilead

Spogliarsi di quel colore rosso è possibile?

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The Handmaid’s Tale 4: una foto di scena

La stagione 4 di The Handmaid's Tale, di cui abbiamo visto le prime tre puntate, si apre con il solito colore rosso cardinale che si staglia contro il bianco della neve. Un colore che, nel corso di questi anni, è diventato iconico, immediatamente associato a una condizione di asservimento delle donne di Gilead, e anche capace di creare un senso pittorico in tante inquadrature. Per la prima volta, nel primo episodio della quarta stagione, vediamo le ancelle spogliarsi di quelle vesti, per indossare quelle, meno opprimenti, della "Martha", di quelle ragazze che aiutano nei lavori domestici. È un momento catartico, che ci fa percepire un senso di liberazione. Ma, in quella fattoria, le ancelle sono davvero libere? L'inizio di The Handmaid's Tale 4 vede tutti in una situazione di stallo, tutti fermi in attesa di ricominciare ad agire.

Tra gli Stati Uniti e il Canada

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The Handmaid's Tale: una sequenza del finale della terza stagione

Il racconto di The Handmaid's Tale è ancora una volta connotato da quella sua tipica luce livida, tra il grigio e un azzurro spento. Ogni giorno, a Gilead, sembra una fredda e nuvolosa mattina d'inverno. È il clima plumbeo che si respira in quel mondo che una volta era una parte degli Stati Uniti. Al di là del confine, non troppo lontano, c'è il Canada. È più luminoso, sereno, ma non assolato né colorato. Quelle che vediamo sono comunque le vite dei profughi americani, quelli che il regime di Gilead l'hanno vissuto o sfiorato, e ne portano con sé il peso. Il Canada non è la felicità. È solo il momento in cui tiriamo un sospiro di sollievo. È la nostra vita com'è oggi (o com'era comunque fino a un anno fa...). Gilead è quella che potrebbe essere se non teniamo alta l'attenzione: sui diritti civili, contro le discriminazioni, contro le violazioni di ogni libertà di scelta.

The Handmaid's Tale 3x13: la recensione del finale di stagione, Mayday

Non diamo mai per scontata la libertà

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The Handmaid’s Tale 4: Elisabeth Moss in una foto di scena

È per questo che The Handmaid's Tale ci colpisce così duro. Perché racconta un regime totalitario, un integralismo religioso, la morte dei diritti civili non in un posto dove non ci sono mai stati, o lontano da noi per tradizioni e cultura, ma nella "civile" America, e in pratica nell'Occidente, un mondo dove i diritti e le libertà sono - o dovrebbero essere - condivise e accettate. Veder crollare all'improvviso le libertà dove una volta c'erano, in un mondo simile al nostro, ci ricorda che non le dobbiamo mai dare per scontate.

Serena e la solidarietà femminile

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The Handmaid's Tale: un primo piano di Yvonne Strahovski nella terza stagione

Nella sua quarta stagione The Handmaid's Tale sembra diventare un racconto più corale, e non più incentrato sulla sola June, che ovviamente resta l'anima della storia. Seguiamo le vicende di Emily (Alexis Bledel), ex ancella e la sua nuova vita, e quelle di Serena in Canada. Serena sembra essere vista da un punto di vista che, da antagonista, la assimila quasi a una protagonista. Una volta accolta, ma anche fermata, in Canada, c'è chi le suggerisce di dichiararsi una vittima del regime di Gilhead, e di salvarsi, accusando il marito di abusi. Ma lei vive in un dubbio. Perché in quel regime ci è vissuta, era connivente. Ma forse era anche condizionata. Il personaggio di Serena, ancora una volta, non è banale: è una donna che apparentemente non è stata discriminata perché parte dell'establishment, ma in fondo è discriminata lo stesso (non lavora, non legge, non decide) anche se per lei è più difficile rendersene conto. Più volte, durante le passate stagioni, Serena è stata sul punto di schierarsi dalla parte di June, in nome di una solidarietà femminile che dovrebbe esserci, nel mondo di finzione di Gilead come nella vita reale. Combattuta tra la sua natura di donna e il suo ruolo, quello di far parte di un'élite, Serena è un personaggio interessante e sfaccettato. E, in fondo, con un desiderio semplice e condivisibile. Quello di essere madre. Speriamo che il prosieguo della serie continui a raccontarci la sua storia.

Uguali ma diverse: da The Handmaid's Tale a Feud, la TV racconta la pluralità femminile

The Handmaid's Tale continua ad essere una doccia scozzese

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The Handmaid’s Tale 4: un'inquietante immagine della quarta stagione

Nelle prime puntate della stagione 4, almeno le prime due, The Handmaid's Tale sembra anche meno violento, più psicologico e riflessivo. Alcune morti avvengono fuori campo. E il clima sembra meno teso. Ma già nell'episodio 3 le cose cambieranno, e torneremo ai racconti dell'ancella che conosciamo, duri e dolorosi. Ma non vogliamo svelarvi troppo. The Handmaid's Tale continua ad essere una doccia scozzese, calda e poi gelida, il bastone e la carota. Una fuga e una cattura, una boccata d'aria fresca e di nuovo l'odore di chiuso. Anche se è presto per giudicare dopo tre soli episodi, la serie sembra però aver imboccato una via d'uscita dalla claustrofobia e la perdita di ogni speranza che era il racconto delle prime due stagioni, una via d'uscita che dovrebbe compiersi nella quinta, e probabilmente ultima, stagione. June è sempre più consapevole e non rassegnata, il suo percorso da resiliente a resistente, da vittima a rivoluzionaria, è iniziato e sembra non poter più tornare indietro. Così come noi non possiamo più tornare indietro una volta iniziata la visione di questa serie.

David Bowie, Radiohead e Aretha Franklin

The Handmaid's Tale: una foto della seconda stagione
The Handmaid's Tale: una foto della seconda stagione

Il rapporto tra le immagini e la musica diventa sempre più importante e vario: oltre ad Aretha Franklin ascoltiamo Suffragette City di David Bowie e Street Spirit (Fade Out) dei Radiohead, che sottolineano in modo epico o drammatico alcune sequenze importanti nell'economia del racconto. E quell'episodio 1, che si era aperto con I Say A Little Prayer, si chiude ancora con la voce di Aretha Frankiln. Che in You Make Me Feel Like A Natural Woman riesce a raccontarci lo stato animo di June. "Nell'osservare la pioggia mattutina al di fuori mi sentivo banale. E giacché sapevo di dover affrontare un altro giorno, signore, mi faceva sentire tanto stanca". E ci trasmette le sue aspirazioni, e quelle che ogni donna avrebbe se vivesse a Gilead. Qualcuno - non solo una persona, ma un mondo, una società - che la faccia sentire una donna normale.

Conclusioni

Nella recensione di The Handmaid's Tale 4 vi abbiamo raccontato come la serie tratta dal romanzo di Margaret Atwoood abbia intrapreso un percorso di cambiamento, che è quello di June: da resilienza e resistenza. La serie si fa più corale e meno claustrofobica, ma è la solita, dura, doccia scozzese. Anche se una speranza si vede all'orizzonte. L'uso delle musiche è sempre centrato, e la qualità è sempre altissima.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Tratto dal classico di Margaret Atwood, lo show di Hulu è un'opera coraggiosa, illuminante e tempestiva.
  • L'incredibile tour de force fisico ed emotivo a cui si è sottoposta Elisabeth Moss.
  • L'accostamento tra la nostra contemporaneità e gli orrori di Gilead è davvero produttivo.
  • La capacità di non ridurre alla prospettiva della protagonista una storia che illustra le conseguenze del totalitarismo sull'intera società.

Cosa non va

  • Una parola sola: angoscia.