Talk to me è uno dei film horror più sorprendenti dell'anno: esordio alla regia di Danny e Michael Philippou, youtuber, utilizzando uno dei topos per eccellenza del genere, ovvero le sedute spiritiche, parla in realtà di empatia.
Nelle sale italiane dal 28 settembre, distribuito da Midnight Factory, la trama di Talk to me ruota attorno a Mia (Sophie Wilde), ragazza che soffre per la morte della madre e, a una festa a cui non è stata invitata, accetta di fare da cavia per evocare anime dall'aldilà, toccando una mano che, si dice, sia quella mummificata di un potente medium.
L'idea della mano è venuta al regista Danny Philippou, ripensando a un fatto tragico accadutogli da adolescente, come ci ha detto: "A 16 anni ho avuto un incidente d'auto: mi sono fratturato la spina dorsale e mi si è aperto un occhio. In ospedale non riuscivo a smettere di tremare: i dottori hanno alzato la temperatura, mi hanno coperto cercando di scaldarmi. Ma niente, continuavo a tremare. Poi mia sorella è venuta a trovarmi, si è seduta vicino a me e mi ha stretto la mano. In quel momento ho smesso di tremare. Il potere del tocco di una persona che amo mi ha fatto uscire dallo stato di shock. Quel momento mi è rimasto impresso: nella prima stesura della sceneggiatura non sapevamo ancora cosa sarebbe stato l'oggetto da toccare. Nella seconda questa idea della mano continuava a tornare: e alla fine abbiamo scelto proprio la mano"!
Talk to me: intervista a Danny Philippou
Talk to Me, la recensione: Stringere la mano all'ignoto
Talk to me: la mano
La mano di Talk to me è già un oggetto di culto (ed anche in vendita): come ci ha detto il regista viene da un'esperienza personale, ma si adatta anche molto bene agli ultimi anni che abbiamo vissuto tutti. Anni in cui il contatto umano improvvisamente ci è stato negato per molto tempo.
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Philippou conferma che il desiderio di contatto umano è uno dei temi alla base del film: "Penso sia stata la prima volta in cui tutto il mondo abbia provato quella solitudine nello stesso momento. Tutti non vedevamo l'ora di uscire. Fino a quel momento davamo per scontata l'interazione con le altre persone: vicini, amici... Il contatto con gli altri è importante per noi esseri umani. Anche io mi sono sentito solo e isolato e in quel momento non avevo mia sorella ad aiutarmi".
Il cinema horror contemporaneo
L'horror è uno dei generi che meglio si presta a più livelli di lettura: il cinema horror contemporaneo si sta concentrando sempre più su come affrontare traumi e sull'importanza dell'interazione tra persone. Il cinema horror contemporaneo a volte può servire quindi quasi come terapia? Per Danny Philippou: "È uno degli aspetti più entusiasmanti dell'horror: permette di affrontare temi molto dark e spaventosi in modo divertente. Con l'horror non c'è bisogno di sbatterti in faccia un messaggio: è un modo perfetto per esplorare il lato oscuro della vita facendo comunque intrattenimento".
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Gli spiriti del questo film sono una metafora potente: cosa si può imparare dai mostri? Per il regista: "I mostri in Talk to me sono le persone che non imparano dai propri errori e che cedono alle parti più oscure dei propri pensieri. Nel nostro film ci sono tanti spiriti, ma anche una specie di predatori di spiriti, che li utilizzano per i loro scopi. I veri mostri sono le persone che perdono l'empatia, che non trattano da esseri umani le altre persone".
Un altro tema importante di Talk to me è la sessualità: i protagonisti sono un gruppo di adolescenti, che mescolano la morte al sesso. Per Philippou era fondamentale parlarne perché: "Volevo che gli spiriti rispecchiassero diverse caratteristiche dei protagonisti. Questi ragazzi stanno capendo chi sono, hanno pensieri confusi sulla propria identità e vanno incontro a un risveglio sessuale. Gli spiriti si attaccano a questi loro desideri e se ne approfittano. Abbiamo fatto una specie di Bibbia della mitologia del nostro film, in cui abbiamo descritto le caratteristiche di ogni personaggio. E questo era uno degli elementi che abbiamo considerato".
Talk to me: gli effetti speciali
Talk to me fa grande uso di practical effects: per i registi era molto importante utilizzare effetti speciali più artigianali: "Amiamo gli effetti pratici da sempre: anche sul nostro canale YouTube ne abbiamo sempre parlato. Ci hanno permesso di sperimentare molto. Se guardi gli horror degli anni '70 e '80 sono migliore di quasi tutto quello che è uscito negli ultimi cinque anni, che si basa sopratutto sulla CGI. La computer grafica non invecchia quasi mai bene. Riprendere oggetti reali è tutta un'altra cosa. Gli attori reagiscono in modo diverso. Qui abbiamo costruito facce da mettere sulle vere facce degli attori! Ci siamo divertiti molto: costruire queste cose sul set è fantastico. Abbiamo usato la CGI in piccoli tocchi: per rendere tutto più omogeneo".
Talk to me: le scene di possessione
Talk to me è pieno di scene di possessione. Il film ha settato un nuovo standard per questo tipo di scene. Danny e Michael Philippou dovrebbero davvero scrivere un libro sull'argomento. Il regista ci ha spiegato come sono riusciti ad arrivare a quel livello di naturalezza: "Ogni attore ha fatto la possessione degli altri! Tutti hanno provato a fare la possessione di Danny e Mia. Non solo loro: anche io e mio fratello, il nostro produttore, il cameraman. Tutti l'hanno fatta! In questo modo nessuno ha provato imbarazzo. Vedere l'approccio degli altri alla possessione ha inoltre permesso a ogni attori di creare la sua. Inoltre abbiamo cercato di muovere la telecamera come se fosse lo spirito che si impossessa dei protagonisti. E un altro elemento chiave è stato il sound design".
Talk to me: il sequel
Il sequel di Talk to me è stato confermato: a dirigerlo saranno di nuovo i fratelli Philippou, mentre Danny sta scrivendo la sceneggiatura insieme a Bill Hinzman. Per il regista però la cosa più importante non è il budget, ma il controllo artistico: "_Talk to me è stata la mia prima volta come regista e sceneggiatore: non riuscivo a immaginare di fare qualcosa con cui non sentissi una forte connessione. Non posso girare qualcosa in cui non credo. Avevo grande paura di non avere il controllo sulla scelta degli attori, sulla sceneggiatura e sul final cut. Per me era un'idea terrificante. Quindi abbiamo deciso di rimanere indipendenti: meno budget, ma più controllo".