L'instant classic: un prodotto che per le dimensioni del suo immediato successo, ma anche per la natura di una popolarità capace di generare un fandom particolarmente acceso, può ambire fin da subito ad essere considerato un'opera di culto. Con qualche punto di bonus se l'instant classic in questione riesce a giovarsi dell'effetto nostalgia facendo leva sui richiami a classici autentici e ormai ben consolidati nella memoria collettiva.
È l'impresa che sta riuscendo, in appena una manciata di giorni, a Stranger Things, fiore all'occhiello del catalogo Netflix per questa estate e, un po' a sorpresa, la serie che ha polarizzato l'attenzione e gli entusiasmi del pubblico a partire dal 15 luglio, la data della sua release in tutto il mondo tramite il servizio streaming di Netflix. Difficile farsi già un'idea precisa delle proporzioni di un fenomeno divampato in maniera così repentina: del resto il binge-watching, favorito dalla possibilità di avere subito a disposizione tutti gli episodi di una serie (caratteristica tipica dei titoli Netflix), dissipa inevitabilmente quella progressiva crescita di interesse alimentata dai cliffhanger, dall'attesa della puntata successiva e dalle discussioni, i commenti e le ipotesi che riempiono lo spazio fra gli episodi (Twin Peaks docet).
Ma pur non potendo contare sui vantaggi di una tradizionale programmazione settimanale, Stranger Things è piombato nella bonaccia dei palinsesti di mezza estate con la potenza di un uragano, diventando la serie di cui tutti parlano fra social network e dintorni. Il mistero attorno alla scomparsa del dodicenne Will Byers nella fittizia cittadina di Hawkins, in Indiana, il 6 novembre 1983, e gli inquietanti fenomeni paranormali che, in contemporanea, iniziano a turbare la tranquillità dei personaggi, ha conquistato il pubblico che ha 'divorato' gli otto episodi della serie; e probabilmente continuerà a raccogliere spettatori nelle settimane e nei mesi a venire, complice un passaparola martellante. Da queste colonne abbiamo già avuto occasione di parlare delle virtù del mystery thriller ideato, scritto e prodotto dai fratelli Matt e Ross Duffer, nonché della sua fitta rete di citazioni del cinema degli anni Ottanta; e aspettando di constatare fino a che punto arriverà la 'febbre' per Stranger Things, e se la serie saprà effettivamente ritagliarsi un posto nell'immaginario contemporaneo, proviamo ora ad indagare le ragioni di quello che, a parte tutto, può essere definito senz'altro un clamoroso successo, con un'analisi di sette fra i suoi elementi chiave...
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1. Un coming of age fra sentimenti e avventura
Partiamo dall'anima narrativa di Stranger Things: un'opera che, dietro gli stilemi dell'horror e del thriller soprannaturale, si propone anche come un canonico racconto di formazione, assumendo come prospettiva privilegiata quella dei giovanissimi protagonisti. Mike Wheeler, Lucas Sinclair e Dustin Henderson, i compagni di giochi del piccolo Will, sono tre preadolescenti per i quali la sparizione del proprio coetaneo costituirà un'occasione irripetibile: proiettare le situazoni e le sfide del loro gioco preferito, Dungeons & Dragons, dal piano ludico della finzione a quello più concreto - e doloroso - della realtà. Non a caso Dungeons & Dragons rimarrà il parametro di riferimento durante la loro indagine per ritrovare Will: un'avventura affrontata con un misto di timore ed eccitazione, e nel corso della quale Mike, Lucas e Dustin dovranno mettere alla prova e ridefinire la reciproca amicizia. Ma se per questi tre dodicenni il coming of age consiste in un primo, duro confronto con la realtà, e quindi con la paura e la sofferenza, in Stranger Things il tema del coming of age è elaborato pure in un'altra declinazione, quella dell'adolescenza e delle piccole, grandi scelte che essa comporta: il desiderio di emancipazione di Nancy Wheeler, la sorella maggiore di Mike, le sue prime esperienze sessuali con il compagno di scuola Steve Harrington, così come il gigantesco carico di responsabilità che grava invece su Jonathan Byers, il fratello di Will, costretto a dividersi fra la scuola e il lavoro e a prendersi cura della sua famiglia per supplire ad un padre assente.
2. Outsider alla riscossa
Strettamente correlata al racconto di formazione è la caratteristica peculiare di questi quattro compagni di giochi: ragazzi comunissimi, è vero, ma di cui gli autori sottolineano la natura di outsider rispetto al microcosmo sociale a cui appartengono. Mike e i suoi amici, appassionati di giochi da tavolo, di Dungeons & Dragons, di Guerre stellari e de Il Signore degli Anelli, presentano quelle sfumature cosiddette "nerd" che hanno contraddistinto quasi tutti i bambini cresciuti negli anni Ottanta e Novanta e che qui sono sapientemente accentuate, anche per favorire l'empatia del pubblico. I modelli presi in prestito dai fratelli Duffer sono evidentissimi, da I Goonies a Stand by Me - Ricordo di un'estate, così come il "Club dei Perdenti" del capolavoro It di Stephen King: come da tradizione, anche i piccoli eroi di Stranger Things vengono puntualmente derisi e vessati dai bulletti di turno e anche per loro, quando meno se l'aspettano, arriverà il momento della 'riscossa', scoprendo di possedere più risorse e più coraggio di quanto avessero mai immaginato.
3. Il cast: i talenti emergenti...
E se ci siamo affezionati così presto a questi personaggi e alle loro storie, il merito, oltre che degli sceneggiatori, dipende in buona parte da un casting quanto mai azzeccato, con un manipolo di giovani e giovanissimi attori, esordienti o quasi, che si sono rivelati abilissimi nell'attrarre le simpatie del pubblico. Dal Mike di Finn Wolfhard, intraprendente e generoso, con un visetto che sembra uscito davvero da un film di trent'anni fa, ai suoi 'seguaci', il Lucas di Caleb McLaughlin e il Dustin di Gaten Matarazzo, personaggi complementari fra loro ed entrambi dotati di un notevole carisma, a Noah Schnapp, che trasmette allo sfortunato Will un'infantile dolcezza, per arrivare a Millie Bobby Brown, bravissima interprete della taciturna bambina soprannominata Undici. Senza dimenticare gli altri comprimari di Stranger Things, ovvero quei ragazzi di pochi anni più grandi e anch'essi coinvolti nel mistero della scomparsa di Will: Natalia Dyer, altro volto tipicamente Eighties, conferisce alla sua Nancy un'aura di innocenza e determinazione ma con un accenno di ribellione, mentre Charlie Heaton offre un magnifico ritratto del suo Jonathan, altro ragazzo emarginato, la cui timidezza lascia intravedere una profonda sensibilità.
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4. ...e il grande ritorno di Winona Ryder
Insieme all'ambiguo dottor Martin Brenner di Matthew Modine, c'è solo un altro volto veramente noto all'interno del cast di Stranger Things: quello di un'attrice, la quarantaquattrenne Winona Ryder, troppo spesso e troppo a lungo tenuta ai margini dell'industria cinematografica, dopo una folgorante ascesa che, tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, l'aveva vista al centro di successi come Beetlejuice - Spiritello porcello, Edward mani di forbice, Sirene, Dracula di Bram Stoker, L'età dell'innocenza e Piccole donne. Ostracizzata da Hollywood dal 2001, in seguito ai problemi di depressione e dipendenza da psicofarmaci e al suo arresto per furto, dopo i trent'anni l'ex fidanzatina d'America aveva visto la propria carriera intraprendere un rapido declino. Un declino a cui sembrava alludere addirittura la sua breve apparizione nel film Il cigno nero del 2010.
Prima scelta dei fratelli Duffer per il ruolo di Joyce Byers, madre single di Jonathan e Will, Winona Ryder ha colto al volo il suo miglior ruolo da circa vent'anni a questa parte. La sua Joyce, cuore emotivo della serie, è una credibile donna della working class, nonché una madre affettuosa e sconvolta dall'angoscia, la quale non esiterà a rischiare di essere presa per pazza pur di seguire il proprio istinto, nella speranza di riabbracciare il suo Will. E alla Ryder, privata di ogni traccia di glamour e con un'acconciatura ricalcata su quella di Meryl Streep in Silkwood (film datato 1983, forse non a caso), sono bastate le prime, struggenti sequenze per risfoderare quel talento per tanti anni drammaticamente sottovalutato o dimenticato.
5. L'orrore senza volto
Esaminate le componenti del racconto di formazione, l'altro aspetto alla base di Stranger Things è la sua dimensione horror. Il cimento dei vari personaggi della serie con il paranormale, con l'oscurità dei boschi dell'Indiana e con il pericolo senza nome che trapela - letteralmente! - dalle pareti domestiche, assume un valore emblematico rispetto alle differenti prove che ciascuno di loro deve affrontare: che si tratti di un percorso di crescita, del primo incontro con la sofferenza e la morte, dell'elaborazione di un lutto o del terrore originato dalla possibilità di una perdita. Sul piano narrativo, qual è dunque la personificazione dei singoli spettri di ciascuno dei protagonisti? Gli autori evitano di identificare da subito un antagonista ben preciso, ma giocano piuttosto con le tenebre, con il "non visto", adombrando un mostro dalle fattezze indistinte, che più personaggi descriveranno come una creatura senza volto. E a rendere ancora più perturbante questa demoniaca presenza risultano essere appunto la sua indefinitezza, assimilabile a quella del villain eponimo di It, e la sua associazione con il più temibile avversario di Dungeons & Dragons: il Demogorgone, mostro infernale comparso già nella letteratura del Medioevo, e qui ripreso come fonte delle suggestioni più spaventose per questi piccoli eroi.
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6. Un tuffo negli anni Ottanta, fra nostalgia e disillusione
È l'elemento di cui più si è parlato in relazione alla serie, nonché il fulcro di quell'effetto nostalgia su cui Netflix non ha mancato di puntare fin dal marketing. Dal periodo dell'ambientazione ai numerosissimi riferimenti dal punto di vista della cultura pop, Stranger Things pesca a piene mani dall'immaginario di quel decennio, come un'ideale "macchina del tempo" che strizza continuamente l'occhio ai suoi spettatori di età compresa fra i trenta e i cinquant'anni. Attenzione, però: sarebbe riduttivo catalogare la serie dei fratelli Duffer come un puro divertissement citazionista, benché nei sei episodi abbondino la citazioni più o meno esplicite, da Steven Spielberg a Stephen King, passando per dozzine di cult della fantascienza e dell'horror dell'epoca (con un'eco, quelle fotografie rivelatrici, perfino da Blow-up di Michelangelo Antonioni). Stranger Things dimostra infatti l'intelligenza di non riproporre quell'immaginario in maniera sterile e derivativa, innervandolo invece di alcuni tratti decisamente moderni: a partire dalla sottile disillusione, dallo sfiduciato distacco rispetto alla generazione precedente, che trapela dalle parole e dai comportamenti dei due protagonisti adolescenti, Nancy e Jonathan.
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7. Atmosphere: la colonna sonora
E sempre nell'ambito dell'omaggio agli Eighties, impossibile tralasciare l'apporto di una colonna sonora perfettamente funzionale alle atmosfere della serie. Ai musicisti Michael Stein e Kyle Dixon è stato affidato l'incarico di comporre le musiche originali di Stranger Things: una partitura synth le cui sonorità elettroniche, simili a quelle dei film di John Carpenter, fungono da eccellente veicolo di suspense. A queste si aggiunga una vera e propria compilation di metà anni Ottanta: con l'eccezione di alcuni pezzi del decennio precedente, volti ad esprimere l'anima idilliaca e country della provincia americana (Tie a Yellow Ribbon Round the Ole Oak Tree di Tony Orlando e The Bargain Store di Dolly Parton) o a vagheggiare lo spirito della cultura hippie post-sessantottina (White Rabbit dei Jefferson Airplane), la soundtrack della serie ci traghetta tra Africa dei Toto e Hazy Shade of Winter delle Bangles, Waiting for a Girl Like You dei Foreigner e Atmosphere dei Joy Division, con il breve spazio per un 'anacronismo' (la recente cover di Peter Gabriel di Heroes di David Bowie).
Con una particolare importanza riservata a Should I Stay or Should I Go, storico successo dei Clash, ma anche una canzone dal significato speciale per Will, che da Jonathan aveva assimilato l'amore per la musica rock. E nel secondo episodio proprio il brano dei Clash, ascoltato al massimo volume dai due fratelli durante una lite fra i genitori, offre lo spunto per uno dei dialoghi più belli della serie: "Sta cercando di forzarti ad amare cose normali", spiega Jonathan a Will con fare protettivo, a proposito dell'ennesima delusione provocata loro dal padre. "Ma non ti dovrebbero piacere le cose solo perché qualcuno ti dice che devono piacerti, ok? Specialmente se è lui a farlo", gli intima Jonathan, per poi aggiungere: "Ma i Clash ti piacciono? Sul serio?". E la risposta colma di gratitudine del fratellino è di quelle che strappano il sorriso e che arrivano dritte al cuore: "Sul serio! Davvero".