Il fumetto Smetto quando voglio – Masterclass: stupefacente cultura nerd

Pochi giorni prima dell'uscita del sequel diretto da Sydney Sibilia, assieme alla Gazzetta dello Sport arriva in edicola un albo spin-off che racconta una breve avventura della folle banda di ricercatori. Tra citazioni, ammiccamenti, giochi metatestuali, scopriamo il lavoro di Roberto Recchioni e Giacomo Bevilacqua.

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Dicevano di smettere, invece con loro qualcosa è iniziato. Promettevano a se stessi di dire basta, ma grazie a loro qualcosa ha ripreso a battere. Esattamente tre anni fa Smetto quando voglio arrivava nei cinema italiani assieme ad una stramba, improvvisata e ben assortita banda di trentenni delusi. Menti eccellenti costrette ai margini, uomini brillanti a cui lo studio aveva regalato soltanto precarietà, lavori dietro banconi di squallidi ristoranti asiatici o al fianco di pompe di benzina gestite da severi capi cingalesi. Ecco un gruppo di personaggi a cui è stato facile voler bene, con cui si entra immediatamente in empatia, perché simili ad una generazione intera di spettatori. Un pubblico che, come con Walter White di Breaking Bad, si schierava senza sforzi con la loro folle ribellione, con il loro piano mosso da una brillante disperazione: sfruttare una falla della legge italiana per spacciare smart drugs.

Colorato da una fotografia allucinata e affidato a personaggi credibili nel loro essere sopra le righe, Smetto quando voglio è stato tra i fautori del risveglio del cinema italiano; quello capace di rischiare, di richiamare generi allergici qui in patria, di essere radicati nel territorio senza perde slanci spettacolari. Prima di Suburra, di Lo chiamavano Jeeg Robot e di Veloce come il vento, la banda capeggiata da Edoardo Leo aveva smosso le acque stantie del nostro cinema e trovato la formula magica: adrenalina, protagonisti accessibili, scrittura brillante. E soprattutto uno spirito pop, furbo senza essere ruffiano, in grado di carpire il meglio dei grandi allargando lo sguardo oltre lo schermo cinematografico.

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Quindi, adesso, smettiamola noi. Smettiamo di sorprenderci se stiamo per recensire un fumetto tratto dal sequel di una futura trilogia cinematografica tutta italiana. Il cinema italiano può sfornare operazioni (commerciali) oltre che opere, può aprirsi e abbracciare altri media ed espandere i suoi universi narrativi. È quello che succede con questo albo di 40 tavole, scritto da Roberto Recchioni e disegnato (e colorato) da Giacomo Bevilacqua. Un fumetto denso, che in poche pagine ha molto da dire su se stesso e sul mondo dell'intrattenimento.

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Fumetto quando voglio

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Esistono persone per cui ritenere Star Wars ep. I - La minaccia fantasma un buon film equivale a pura eresia. Gente che se ti chiede il nome da nubile di zia May Parker pretende una risposta corretta. Il fumetto Smetto quando voglio - Masterclass è dedicato a loro e si prende gioco di loro; è accessibile a tutti, ma ha più di un occhio di riguardo per chi con orgoglio o fastidio è ascrivibile dentro quell'abusata categoria nota come nerd. Una sottocultura sempre più ampia e popolata, una galassia umana piena di passione, qualche fondamentalismo di troppo e piccole, grandi contraddizioni. Nonostante il tratto agile e sintetico di Bevilacqua, abilissimo nel cogliere le peculiarità espressive di Edoardo Leo, Stefano Fresi e compagni, molte vignette sono cariche di dettagli e indizi più o meno nascosti, piene di easter egg e di ammiccamenti rivolti a chi si nutre di fumetti, serie tv e cinema.

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Il tutto all'insegna dell'autoreferenzialità. Tutti i protagonisti sono consapevoli di essere dentro un fumetto e, proprio come visto di recente con Chuck Palahniuk in Fight Club 2, Recchioni e Bevilacqua irrompono in una vignetta nel bel mezzo del loro processo creativo. Un modo per prendersi in giro confermato anche da altri riferimenti al fumetto italiano (da Dylan Dog a Sio, da Zerocalcare a Leo Ortolani) e a riferimenti fondamentali per la genereazione dei trentenni (Ken il guerriero, Dragon Ball). Una scelta divertente e divertita, che porterà a sfogliare più di una volta l'albo, sicuramente ancora più godibile dopo aver visto l'opera seconda di Sydney Sibilia.

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Droghe (da) leggere

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L'operazione ricorda molto quella di un anno fa, avviata qualche giorno prima dell'uscita di Lo chiamavano Jeeg Robot. Lo fa sia per i nomi coinvolti che per le scelte di pubblicazione che, come 12 mesi fa, torna a proporre 4 copertine variant ad opera di Roberto Recchioni, Giacomo Bevilacqua, Zerocalcare e Riccardo Torti. In quel caso il fumetto, onestamente poco riuscito nel complesso, fungeva da sequel del film, mentre qui siamo davanti ad una storia parallela a quella che vedremo in sala. Il fumetto racconta una vicenda contenuta nel film, ma che nel film non viene mostrata, ovvero la ricerca di una sostanza illegale contenuta in un luogo curioso, quasi impensabile, fondamentale per il senso dell'albo. Una sorpresa che, quindi, non vi rovineremo in questa recensione. Però, vi diciamo che l'esiguo spazio di Smetto quando voglio - Masterclass è sfruttato molto bene, a partire dallo schedario iniziale in cui ci vengono introdotti Pietro, Alberto, Bartolomeo, Andrea e gli altri componenti degli "Ocean's Eleven de'noantri", tutti presentati con la giusta ironia.

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I più penalizzati sono ovviamente i nuovi personaggi e tutti coloro che non hanno visto il primo film, fondamentale per cogliere l'alchimia corale e lo spirito a metà strada tra il goliardico e il disperato della ciurma. Qui Recchioni si dimostra fan della saga (sì, possiamo definirla tale in attesa del terzo capitolo) e sintonizzato sul registro di ogni personaggio: l'istinto goffo di Alberto, la risolutezza traballante di Pietro, l'abilità mimetica di Andrea, l'inutile saccenza di Arturo e così via. Sotto questo colorato carnevale di citazioni, al di là di queste situazioni surreali e grottesche, nell'albo serpeggiano tante frecciate critiche nei confronti di un mercato fumettistico viziato, o meglio, drogato da una serie di operazioni commerciali che creano strane dipendenze. Malsane abitudini feticiste che mostrano il lato oscuro delle opere che diventano solo operazioni. In questo caso, invece, le due dimensioni (commerciale e artistica) sono coerenti, bilanciate, sensate. Ed è anche grazie a progetti ambiziosi come Smetto quando voglio che il cinema italiano è ancora eccitante, tutt'altro che spacciato.