"E' sempre la complessità della mente umana con i suoi labirinti la cosa che mi interessa di più", dice Alejandro Amenábar durante il nostro incontro a Roma dopo la presentazione di Regression, il nuovo film da lui scritto e diretto. Ci ha messo sei anni per trovare una storia che lo convincesse finalmente a tornare al dirigere "ma a me non è sembrato cos' tanto tempo, siete voi che me lo ricordate" e se è vero che regressione, oltre che il processo psicoanalitico di cui si parla nel film, significa tra le altre cose anche ritorno, possiamo interpretarlo appunto come un ritorno al genere suspence e mistery horror, quello che ha segnato il suo debutto cinematografico nel 1996 con Tesis.
Un film rivoluzionario per l'epoca, precursore di quello che sarebbe e poi divenuto il fortunato filone del cosiddetto nuovo cinema horror spagnolo, che grazie al talento di registi come Alejandro è riuscito nell'intento di varcare i confini nazionali diventando un fenomeno internazionale. Le allucinazioni febbrili in cui sogno e realtà coesistono, esplorate successivamente in Apri gli occhi e culminate con la virata nei classicismi horror del capolavoro The Others, ritornano in questo nuovo film ispirato a eventi realmente accaduti e ambientato nel mondo delle sette sataniche e del fanatismo religioso della Chiesa Evangelica nel Midwest della superstiziosa provincia americana tra gli anni '80 e '90. Di questo ritorno al mistery horror, del concetto di paura ma anche di quali sono e quali erano le sue proprie paure, Amenábar ha parlato in questa lunga intervista.
Il lato oscuro della mente
Come e quando comincia l'avventura produttiva di Regression?
Alejandro Amenábar: Sono stato sempre affascinato sin da ragazzo dai film horror, è un genere con cui mi sento molto a mio agio, anche Tesis, il mio primo film, era una sorta di mistery horror. Prima ancora di girare Agora avevo in mente di fare un film che parlasse del diavolo e del satanismo ma non ero riuscito ancora a trovare il giusto soggetto: lo spunto è venuto quando mi sono imbattuto nelle cronache di un'ondata di accuse e confessioni su abusi sessuali all'interno di rituali satanici avvenuti nelle provincia americana durante gli anni '80, una serie di eventi realmente accaduti in un periodo in cui l'isteria collettiva fomentata dalla politica e dalla chiesa aveva preso piede negli Stati Uniti e da lì, con intensità diversa nel resto del mondo. Allora ho pensato che quello fosse l'approccio giusto per il film che volevo fare, un thriller psicologico con elementi perfetti per il genere horror, che mi facesse soprattutto esplorare i labirinti della mente e la sua complessità che è la cosa che più mi interessa.
Qual è la parte più affascinate e allo stesso tempo più rischiosa di questo processo della "regressione" che voleva approfondire?
Quello è che ho imparato facendo la ricerche per il film é quanto in realtà sia fragile la nostra mente ed in particolare i ricordi. Diamo per scontato che i nostri ricordi rappresentino in effetti quello che è realmente successo in passato: ma se li confrontiamo con quelli di altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza vediamo l'esperienza risulta diversa a seconda di come la mente e il cervello li hanno elaborati, in base a tanti fattori com i nostri desideri e le nostre paure. C'è un film non molto noto di John Huston con Montgomery Clift dal titolo Freud, passioni segrete in cui sono presenti alcuni di questi temi che ho affrontato qui.
Credere o non credere?
Al di là del genere, dramma, thriller, horror, quello che sembra interessarle di più è appunto l'esplorazione della mente umana, la forza della mente sulla realtà...
Mi sono reso contro che in fondo quasi tutti i film che ho fatto sono incentrati sul tema "credere o non credere?". Non mi interessa tanto la capacità di ingannare ma la nostra volontà di credere. Credo che l'anima abbia sede nel cervello, credo che la mente ci imbrogli in molti modi fino quasi a giocare con noi, ci nasconde le cose, le mistifica, le ribalta. Un tema che in effetti ho esplorato praticamente in tutti i miei film.
Il protagonista ad un certo punto dice: "Il diavolo non esiste, esistono solo cattive persone". Lei cosa ne pensa?
Guillermo del Toro è solito dire che ci sono film sul diavolo di due tipi: quelli dove il diavolo viene da fuori e quelli dove il diavolo è dentro di noi. Questo film è decisamente più in linea con il secondo tipo. Ho fatto mia quella battuta, sono convinto che esistano persone buone e cattive da entrambe le parti.
La figura del prete è molto enigmatica, lei sembra dipingerlo come uno di quelli che pensa che l'esistenza del diavolo sia necessaria...
Girando l'America si nota percepisce c'è una forte influenza della Chiesa Evangelica, non volevo però troppo enfatizzare quest'aspetto, volevo soprattutto mostrare invece come due istituzioni generalmente in opposizione tra loro come scienza e religione, qui collaborino per risolvere il puzzle. E come infine sbaglino entrambe clamorosamente. Volevo dimostrare che tutti possono commettere errori e in questo film tutti i protagonisti ne commettono, non volevo enfatizzare solo il ruolo della Chiesa, soprattutto mi interessava l'aspetto psicologico. In ultima analisi questa è la storia di un grande errore collettivo fatto da un intera comunità.
Nel film lo psicologo dice al protagonista che da ateo, cioè uno che non crede, sta diventando agnostico, definendolo come uno che vorrebbe credere ma non ci riesce. Poi in un certo senso diventa credente, fino a che il cerchio si chiude e lui ritorna a smettere di credere e "a pensare con la testa". Una sorta di percorso circolare che rispecchia anche il suo personale?
Intanto diciamo che io rispetto tutti i tipi di approccio al tema del voler credere o non credere, ci sono menti e scienziati brillanti che sono naturalmente anche credenti. L'agnosticismo del protagonista è una cosa che è successa anche a me, io volevo credere ma trovavo sempre più difficile riuscire a farlo. Ho appena finito di leggere The Kingdom di Emmanuel Carrère, un libro molto interessante, dove l'autore che è tornato al cattolicesimo da qualche anno analizza i Vangeli partendo da un punto di vista razionale cercando di discernere cosa è reale e cosa no. Quello che io trovo difficile è l'impossibilità di conciliare alcune storie della religione con quella che è la mia morale e la mia etica.
Tutte le paure di Alejandro
Nel film ritroviamo molta dell'iconografia classica legata a questo genere di film...
A me piace giocare con i cliché, per quello che riguarda l'iconografia del satanismo abbiamo immagini incise nella memoria che coincidono con l'immaginario cinematografico, le due cose si alimentano a vicenda perché la nostra immaginazione trae spunto da quello che vediamo nei film, e viceversa nei film riversiamo quello che vediamo con gli occhi della mente.
E la spaventa la trasformazione della paura in un incubo collettivo anche alla luce di quello che sta succedendo oggi nel mondo?
Certo che mi spaventa, è un pericolo reale e concreto. Ero fatalmente a Parigi tre settimane fa quando mi è stato chiesto quale fosse la cosa che mi spaventa di più: per essere uno che sin da ragazzo ha passato la vita a combattere le sue paure, ho realizzato che ora quello che temo realmente è la crudeltà dell'uomo e la sua volontà di provocare dolore.
E quali erano invece le sue paure da bambino?
I fantasmi, i demoni, l'oscurità, restare da solo nei luoghi bui, avevo tutte le classiche paure dei bambini. Ma non potevo fare a meno di guardare i film che fanno paura e siccome i miei genitori non volevano io e mio fratello andavamo dai vicini per guardarceli di nascosto. Credo in fondo che imponendomi di continuare a guardarli invece di scappare, e successivamente anche il fatto di aver voluto girare film horror, proprio grazie a questo sono riuscito ad esorcizzare tutte le mie paure.
Uno stile anni '70 per un film ambientato nei '90
Perché così tanto tempo per un nuovo film?
Sono passati sei anni dall'ultimo film, a me non è sembrato così tanto in effetti, me lo ricordano i giornalisti e sorprende anche me. Ai tempi dell'università vedevo il mio futuro nel cinema come un lavoro di conseguenza legato anche alla necessità di guadagnare, adesso invece lo vivo solamente come una forma di espressione e ho aspettato di essere veramente sicuro che fosse questo il film che volevo fare.
Quanto è voluto questo impianto molto old style simile ad un thriller di quelli che si giravano tra gli anni '80 e '90 ovvero il periodo in cui è ambientato il film?
Stilisticamente mi sono ispirato più ai film degli anni settanta sul genere Tutti gli uomini del presidente o Il maratoneta, senza troppi movimenti di macchina, cercavo toni lenti e moderati, oggi si tende ad accelerare i ritmi come se ci fosse la paura che il pubblico possa annoiarsi. Volevo un film come si facevano una volta, un film analogico e non digitale. Uno stile anni '70 in un film ambientato negli anni '90.
Ma con elementi perfetti per un horror?
L'idea era quella di un thriller con elementi horror tratti sempre dai film di quegli anni come L'esorcistao Rosemary's baby - Nastro rosso a New York, dove il diavolo veniva rappresentato e percepito come qualcosa di reale, una presenza da andare a ricercare all'interno delle mura di casa o di un nucleo familiare.
Alcuni modelli di registi horror a cui si ispira?
Grandi registi italiani come Dario Argento e Mario Bava ma anche Alfred Hitchcock come fonte di ispirazione per il modo in cui creare la suspence. Anche se ripeto questo non è un horror vero e proprio ma un thriller psicologico che gioca con il satanismo come hanno fatto appunto William Friedkin e Roman Polanski.
I meccanismi della paura
Questo è un horror molto moderno nel senso che smonta i meccanismi della paura, piuttosto che fare paura cerca di spiegare perché abbiamo paura...
Il film indaga su ciò che provoca la paura in ogni di noi, sul modo in cui la affrontiamo e su come le nostre paure diventano reali e si trasformano in incubi. Questo aspetto di smantellare il meccanismo della paura è quello che ha affascinato anche Ethan Hawke sin dall'inizio e lo ha convinto ad entrare nel progetto.
Perché proprio Ethan Hawke a proposito?
Pensavamo che Ethan avesse la giusta sensibilità per questa storia, siamo stati fortunati che abbia detto di sì quasi subito credo perché ha capito quello che volevamo raccontare. Non ho scritto il personaggio avendo in mente lui, ma avevo visto la Before Trilogy di Richard Linklater e ho capito che era l'attore con il giusto grado di sensibilità. Gli ho suggerito un approccio minimalista e lui mi ha detto "lo interpreterò pensando ad uno che dorme sempre"... ero perplesso, non l'avevo mai guardato da questo punto di vista, ma poi mi sono reso conto che era proprio l'approccio giusto.
E insieme a Ethan abbiamo Emma Watson in un ruolo così diverso dal solito. Come è stato dirigerla e come sta crescendo come attrice?
Credo che sia stato proprio questo ad attirarla, il fatto di cambiare genere e registro. Lei è una persona molto alla mano, le ho dato la libertà di costruirsi da sola il personaggio, cosa che faccio spesso con gli attori, cerco di creare sempre un'atmosfera rilassata.