Real Steel: John Rosengrant racconta la realizzazione

In occasione dell'uscita in homevideo di Real Steel, prevista il 14 Marzo, abbiamo indagato sugli effetti speciali del film con uno dei supervisori: John Rosengrant.

Real Steel arriva nei negozi italiani con una nomination agli Oscar per gli effetti speciali alle spalle, un riconoscimento più che meritato per il minuzioso lavoro del team della Legacy Effects. Ma non è solo effetti visivi il film di Shawn Levy, riuscita miscela di azione ed emozioni che fa capo alla figura carismatica di Hugh Jackman nei panni di un ex pugile che si trascina lungo una carriera nel mondo della boxe tra robot in un futuro prossimo: Charlie Kenton è ormai una vecchia gloria ed anche il suo robot non è in grado di reggere il confronto con i modelli più recenti e competitivi. La sua vita si complica quando è costretto a tenere con sè il figlio Max, che alla lunga riuscirà a dare un nuovo senso alla sua esistenza.
Per quanto riuscita ed efficace la messa in scena del rapporto padre/figlio tra Jackman ed il giovanissimo Dakota Goyo, non si può negare l'importanza che hanno nel film gli effetti speciali supervisionati da Erik Nash (alla sua seconda candidatura all'Oscar dopo I, Robot del 2004), John Rosengrant, Dan Taylor e Swen Gillberg, tutti alla prima nomination.
Abbiamo incontrato John Rosengrant, al lavoro nel settore sin da Terminator e tra I responsabili di opere come Total Recall ed Avatar, il recente John Carter ed i prossimi The Avengers e The Amazing Spider-Man, per discutere con lui proprio le problematiche della realizzazione di Real Steel, ma anche l'evoluzione tecnologica e l'importanza di una figura come quella di Stan Winston, col quale ha lavorato fin da inizio carriera, nel campo degli effetti visivi.

Nella realizzazione di Real Steel avete implementato tecniche nuove che non erano state usate prima?

Diciamo che abbiamo migliorato ampiamente tecniche già esistenti. In particolare il nostro sistema di controllo, una pompa idraulica leggerissima e portatile, che ci ha permesso di preparare questi robot di quasi due metri e mezzo e 90 chili e renderli pronti per le riprese in dieci minuti. L'altra innovazione riguarda il nostro flusso di lavoro interno, che ci permette di andare dal modello digitale al primo prototipo in tempi molto rapidi e di pianificare ogni parte e tutto lo sviluppo ingegneristico prima ancora di realizzare nulla nel mondo reale. Questo ci aiuta ad evitare ogni tipo di correzione a posteriori e qualsiasi errore strutturale.

Qual è la sequenza più complessa che avete dovuto affrontare durante la lavorazione?

Come tutti I film con effetti speciali, ce ne sono tante. Ma una mi salta alla mente, quella della prima accensione di Atom quando viene tirato fuori dalla discarica. Abbiamo dovuto coprire il robot con il fango e farlo sedere. Non c'è stato tanto tempo nella preparazione quanto avremmo voluto, ma credo che il risultato sia fantastico. E ne sono molto orgoglioso.

Qual è stata la sfida nel fondere CGI ed animatronics?

La maggior difficoltà è di rendere la fusione invisibile. Con Shawn Levy, i produttori ed il gruppo della Digital Domain condotto da Erik Nash, ci siamo impegnati in questo lavoro con una logica di squadra, aiutandoci l'un l'altro a rendere il tutto credibile, anche in sequenze in cui non sarebbe stato possibile avere i modelli, ma solo CGI. Avere il robot fisicamente sul set aiutava nella gestione delle luci e delle dimensioni, oltre a favorire gli attori nella loro interpretazione, perchè dava loro qualcosa a cui reagire.

Come avete lavorato per creare questa fusione? Che criteri avete usato per decidere quando usare una tecnica e quando l'altra?

Il criterio di base è stato se i robot dovessero interagire materialmente con gli attori o con altri elementi fisici, che sarebbe stato più difficile da realizzare in CGI. Per esempio, quando Atom si mette a sedere con il fango che gli scrivola addosso. L'altra discriminante riguardava le situazioni in cui Dakota avrebbe dovuto interagire con Atom, perchè tutti siamo stati d'accordo che sarebbe stato d'aiuto dare al ragazzo qualcosa di concreto a cui reagire.

Quanto tempo è necessario per preparare animatronics come quelli che appaiono nel film?

Il processo ha richiesto cinque mesi. Sei settimane per la progettazione e la scultura dei robot dal punto di vista digitale per realizzare tutti i pezzi per mettere insieme i prototipi. Ogni robot è composto da trecento parti. Il tempo rimanente è stato necessario per costruire effettivamente I robot.

Di cosa sono fatti i robot?

I pannelli ed i gusci sono fatti di fibra di vetro ed una miscela di uretano. La struttura meccanica interna è una combinazione di ferro ed alluminio e molti robot sono composti da parti di alluminio stampato. Gli Eroi sono in parte mossi da componenti idrauliche, in parte da tecniche simili a quelle dei burattini.

Nello speciale "Costruire i robot", il regista Shawn Levy spiega come Steven Spielberg abbia sottolineato quanto l'uso degli animatronic fosse importante ai fini della riuscita del film. Pensa che autori con questo atteggiamente siano una specie in via d'estinzione? La Legacy Effects sarà al lavoro anche sul prossimo Robopocalypse di Spielberg?

Gli animatronic hanno ancora molta importanza in questo tipo di film. Molti giovani cineasti non hanno molta esperienza con il lato più materiale degli effetti visivi, ma una volta che toccano con mano quanto possono essere di beneficio al loro film, penso che non ci penserebbero due volte. Robopocalypse di Spielberg è un progetto a cui sarebbe fantastico partecipare.

Quale robot è il suo preferito?

Sono tutti come dei figli, perchè impieghi così tanto tempo ed energia nel realizzarli. Ma penso che Atom dimostri così tanta anima e cuore per un robot, così penso di tendere verso di lui.

Quante persone sono state coinvolte nella realizzazione di Atom?

Un paio della mia squadra sono stati categorici nel voler lavorare ad Atom. Jason Matthews è stato l'artista chiave del personaggio. Ian Joyner è stato invece lo scultore digitale che si è occupato di tradurre i progetti di Tom Meyer in 3D. Naturalmente alla Legacy c'è un gruppo di ingegneri, meccanici e modellisti, guidato da Dave Merritt, che ha seguito il lavoro. Inoltre sono stati coinvolti nel lavoro finale anche artisti e pittori.

Con che strumenti software lavorate alla Legacy?

Facciamo molto del lavoro con Z Brush, Maya ed un programma chiamato Magic che sono tutti parte della nostra catena di montaggio.

Come è finito a lavorare nel mondo del cinema ed in questo campo specifico?

Da quando ero bambino, ho sempre voluto fare mostri. Mi sono laureato in arte al college, ma in realtà volevo fare questo tipo di effetti speciali. Mi sono trasferito in California per rincorrere questo sogno e Stan Winston mi ha assunto per lavorare al primo Terminator, dandomene l'opportunità. Ho lavorato con Stan per 25 anni, fino alla sua morte. Con gli altri tre soci che conducevano lo studio di Stan abbiamo fondato la Legacy Effects in suo onore e per portare avanti la sua eredità.

In che modo il lavoro è cambiato dai tempi di Terminator?

In questo film abbiamo realizzato veri robot, mentre in Terminator facevamo finta di cotruire veri robot. In più la tecnologia che abbiamo usato per scolpire i robot e le loro parti digitalmente per realizzare rapidamente dei prototipi nel mondo reale ci ha permesso di fare cose che non erano possibili allora.

Ha lavorato ad Iron Man, tutti I Jurassic Park, la serie di Terminator... può descrivere che miglioramenti ci sono stati nel corso del tempo fino a Real Steel?

Alcune delle principali migliorie riguardano i programmi digitali che usiamo per scolpire e creare, in questo caso i robot. Ci permettono di visualizzare completamente come apparirà ogni singola parte e possiamo previsualizzare come la struttura meccanica funzionerà all'interno del robot, mentre pianifichiamo, assicurandoci che ogni componente si integrerà nel progetto finale. Possiamo testare il movimento per vedere se i gusci si romperanno, risparmiandoci molto tempo nella fase di montaggio successiva. Ci sono anche più materiali a disposizione, realizzati da noi per essere solidi e leggeri e per avere le caratteristiche di cui avevamo bisogno, così come abbiamo perfezionato dei modi per simulare finutire metalliche su componenti plastiche.

Secondo lei, che contributo ha portato Stan Winston al mondo del cinema? Qual è l'essenza della sua... eredità?

L'essenza dell'eredità di Stan è che mi ha insegnato quale sia il nostro lavoro nel creare personaggi. Non riguarda solo gli effetti speciali, ma la creazione di personaggi memorabili. Stan era un grande artista, ma originariamente venne ad Hollywood per fare l'attore e penso che abbia enfatizzato molto l'aspetto interpretativo del nostro lavoro. Che fosse la Regina di Alien o Terminator o i dinosauri di Jurassic Park, hanno sempre avuto un preciso atteggiamento e sono sempre apparsi vivi.