21 maggio 1994: 25 anni fa al Festival di Cannes veniva presentato in anteprima mondiale Pulp Fiction, il secondo film di Quentin Tarantino, quello che lo avrebbe consacrato definitivamente come uno dei grandi autori del cinema contemporaneo. Le parole che potete leggere di seguito sono tratte dal famoso monologo di Jules Winnifeld, uno dei tanti momenti del film passati alla storia.
"Ezechiele, 25:17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che, nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è, in verità, il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te".
Pulp Fiction vinse la Palma d'Oro assegnata dalla giuria presieduta da Clint Eastwood, e l'anno seguente il premio Oscar per la migliore sceneggiatura su sette nomination, tra cui quella per miglior film e miglior regia. In Italia avremmo visto il film qualche mese dopo il Festival di Cannes, nell'autunno del 1994. Arrivati al cinema, non sapevamo esattamente cosa aspettarci. Un gangster movie, un film d'azione violento, un noir contemporaneo? Pulp Fiction non era niente di tutto questo: restammo tutti stupiti dalle continue sorprese del film, e dal divertimento che suscitava la pellicola. Da quel momento, Tarantino è un genere a sé. E, come tutti i casi di successo, ha avuto decine di imitazioni. Ma ha anche cambiato il modo di fare cinema, ispirando decine di autori e produttori a rischiare, a raccontare in modo nuovo.
Chiedi chi era Quentin Tarantino
Ma chi era, nel 1994, Quentin Tarantino? Che ne sapevamo di lui? Sulle riviste specializzate, ma anche in quelle più generiche, si cominciava a parlare di questo regista, enfant prodige americano, autore di un cinema sorprendente e violento. Avevamo sentito parlare, magari non ancora visto, Le iene, una tragedia elisabettiana virata in noir, soprattutto per la sua violenza (in Italia fu vietato ai minori di 18 anni). Ma in Italia era arrivato anche un film più sfaccettato e sentimentale, True Romance, da noi distribuito con il titolo Una vita al massimo, che Tarantino aveva scritto prima de Le iene, e a cui aveva sempre pensato come al suo film d'esordio. Non poteva essere il suo film n.2, così lo cedette a Tony Scott, che ne fece un film più commerciale, ma ugualmente intrigante. In quel film si trova già tutto il Tarantino che conosciamo: la passione per il Kung Fu, per Elvis Presley (al centro di un dialogo cult). La sceneggiatura originale era collegata a Le iene ed era la prima parte di una storia che comprendeva anche Assassini nati. Come sapete, quel film, con Tarantino accreditato solo come autore del soggetto, venne girato da Oliver Stone, che riscrisse la sceneggiatura, e così andò perduta tutta l'ironia di partenza.
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I favolosi anni '90
Ma Quentin Tarantino era la punta di diamante di un nuovo cinema indipendente americano che stava fiorendo negli anni '90. Era decollato il Sundance Film Festival di Robert Redford, culla del cinema indipendente, dove proprio Tarantino aveva presentato Le iene. Insieme a lui c'era Roger Avary, coautore della sceneggiatura di Pulp Fiction, e in seguito regista di Killing Zoe, ambientato a Parigi. Ma in quel cinema indipendente esplodeva (anche se sarebbe stato un fuoco fatuo) anche Kevin Smith con Clerks - commessi, un film in bianco e nero pieno di dialoghi fittissimi, girato nel negozio di alimentari dove lavorava come commesso. Un tratto in comune con Tarantino, anche lui commesso in una videoteca, che gli ha permesso di vedere centinaia di film e diventare un'enciclopedia di cinema vivente. Un lavoro molto più strano lo faceva Robert Rodriguez, che in Messico lavorava come cavia per esperimenti, e, dopo aver scritto e prodotto El Mariachi, entrerà nel mondo del cinema indie americano diventando un sodale di Quentin Tarantino. Il cinema americano degli anni Novanta era un mondo aperto a tutto, dove chi avesse talento e idee nuove era destinato ad emergere, riuscendo a girare ottimi film con budget ristrettissimi.
Quei dialoghi un po' così...
Una volta entrati in sala, dopo aver assistito ai dialoghi tra Tim Roth e Amanda Plummer, e aver sentito quella canzone così particolare sui titoli di testa, siamo rimasti tutti a bocca aperta davanti a quei due killer che andavano a regolare i conti con degli spacciatori, parlando del più e del meno, cazzeggiando come facevamo noi tra amici. Jules Winnifeld (Samuel L. Jackson) e Vincent Vega (John Travolta) parlavano di Amsterdam e Parigi, di hashish, maionese sulle patatine, big mac e cheeseburger (anzi... Royale con formaggio), birra da bere al cinema e massaggi ai piedi. Quentin Tarantino era stato davvero ad Amsterdam per scrivere la sceneggiatura, e aveva portato tutto questo nel film. Ma chi, fino a quel momento, aveva visto al cinema due killer ciarlare così? Non li avevamo sempre visti seriosi, concentrati sull'obiettivo, e in vena al massimo di scambiarsi i dettagli dell'operazione? Non a caso, Jules e Vincent, un attimo prima di entrare in azione e bussare a quella porta, si dicono "entriamo nei personaggi". Tarantino è consapevole del gioco, delle sue regole e di come le sta violando. Chi, prima o dopo Pulp Fiction, ha visto Le iene, non ha potuto non notare il dialogo iniziale su Madonna. La scrittura, libera e impregnata di cultura pop, è il vero tratto dirompente del cinema di Tarantino. Ed è quello che ha influenzato decine di sceneggiatori e registi. Per guardare in casa nostra, nel 2001 sarebbe uscito un film rivoluzionario, Santa Maradona, che si apre con un dialogo su Sharon Stone, che è puro Tarantino: un miracolo che accadesse qualcosa di simile nel nostro cinema.
La struttura circolare e il montaggio non lineare
Ma se immagini e parole, in Pulp Fiction, sorprendono ad ogni scena, Quentin Tarantino usa un espediente in più per lasciarci a bocca aperta. Il film, infatti ha una struttura circolare si conclude, cioè, con i personaggi che ritornano molto vicino al punto di partenza, non dove li avevamo lasciati, ma quasi. Pulp Fiction finisce con Jules e Vincent, che avevamo conosciuto e amato all'inizio, uscire da un ristorante con la valigetta. La cosa ci lascia con la bocca dolce, e ci fa scordare che nel frattempo (possiamo parlare di spoiler per un film di 25 anni fa?) uno dei personaggi è scomparso. Per permettere al film di avvitarsi su se stesso, Tarantino usa un montaggio non lineare, non cronologico: il terzo atto del film avviene subito dopo il prologo, prima del primo e del secondo. Quentin Tarantino farà tendenza: proprio in quel 1994 sarebbe uscito Prima della pioggia del macedone Milčo Mančevski, vincitore del Leone d'Oro a Venezia.
Si tratta di un film in cui i fatti sono raccontarti in maniera atemporale e che ha una struttura circolare che, grazie a un paradosso, fa chiudere il terzo atto con un'azione che origina la storia del primo. Dall'altra parte del mondo, un altro cineasta giocava con il tempo come Tarantino. Ma Pulp Fiction aveva rotto un argine: le storie non dovevano più per forza seguire un ordine cronologico dei fatti. Sarebbero poi arrivati Memento di Christopher Nolan, un film raccontato al contrario, dalla fine all'inizio, e Amores perros (e i seguenti 21 grammi e Babel) del messicano Alejandro González Iñárritu, che intreccia tra loro tre storie apparentemente slegate, ma in realtà connesse, che inaugurerà il suo tipico montaggio a mosaico.
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Tarantino e i suoi... follower
Ma, al di là della scrittura e del montaggio, Quentin Tarantino e Pulp Fiction hanno dato il via a un nuovo modo di fare cinema. Una nuova generazione di registi si è sentita libera di inventare, di dare il via alla propria fantasia, di portare al cinema storie che venivano dai B Movie e dal cinema di genere che guardavano da ragazzi. C'era finalmente la libertà di raccontare storie e personaggi amorali, i "cattivi" ora potevano diventare protagonisti, e non solo antagonisti. E potevano essere divertenti. I produttori, poi, cercavano di replicare il fenomeno lanciavano prodotti di nuovi autori. Un esempio lampante è l'inglese Guy Ritchie, con Lock & Stock - Pazzi scatenati e il successivo Snatch, così come il Doug Liman di Go - Una notte da dimenticare. Ma, di tanto in tanto, il cinema lancia un "nuovo Tarantino" con una frequenza molto più alta di cui il calcio lancia i nuovi Maradona. C'è stato Joe Carnahan con il suo Smokin' Aces, Paul McGuigan con Slevin - Patto criminale. E tanti altri. Da noi, in Italia, detto delle influenze che ha avuto su Marco Ponti, ha dimostrato di avere uno sguardo alla Tarantino Gabriele Mainetti con il suo Lo chiamavano Jeeg Robot. I seguaci più accreditati di Tarantino sono forse quelli che lui stesso ha investito, portandoli a lavorare con lui: Eli Roth (Hostel), più tendente all'horror, e soprattutto Robert Rodriguez, che ha collaborato con lui in Grindhouse - Planet Terror. La differenza? Soprattutto la scrittura, che in Tarantino è unica. E il fatto che, con questi autori, i B Movie vengono riletti per restare B Movie. Mentre con Tarantino diventano altro, cioè cinema d'autore.
Creatore di icone
Da Le iene, ma soprattutto da Pulp Fiction in poi, ogni cosa che tocca Quentin Tarantino diventa immediatamente icona, pronta ad essere stampata ovunque, sulle t-shirt, sui poster, e soprattutto nel nostro immaginario. Quelle divise dei protagonisti de Le iene, ispirati a quelli dei personaggi di A Better Tomorrow II di John Woo, ripresi da Jules e Vincent di Pulp Fiction, sono diventate immediatamente riconoscibili (tanto da ispirare un nostro programma televisivo). La Uma Thurman con caschetto nero alla Louise Brooks da quel momento ha iniziato a campeggiare ovunque (e pensare che Mia Wallace non avrebbe dovuto essere lei, in ballo per la parte c'erano Michelle Pfeiffer, Meg Ryan, Joan Cusack, Isabella Rossellini, Annabella Sciorra, Daryl Hannah, Alfre Woodard, Halle Berry, Julia Louis-Dreyfus e Holly Hunter) e, una decina di anni dopo, sarebbe diventata di nuovo icona in tuta gialla e katana per Kill Bill.
Un'altra grande dote di Tarantino è quella di riportare in auge attori dimenticati: il John Travolta che dà vita a un indimenticabile Vincent Vega era fuori dal giro da qualche anno, e dopo Pulp Fiction avrebbe iniziato una nuova fase della carriera, richiestissimo da tutti, da John Woo a Terrence Malick. I recuperi di Tarantino sono ormai storia, da Pam Grier in Jackie Brown a David Carradine in Kill Bill fino a Kurt Russel in Grindhouse - A prova di morte.
Il film come greatest hits e l'universo di Tarantino
La cosa incredibile è che ogni film di Tarantino ne contiene altri. In Pulp Fiction c'è già il seme di Kill Bill: nella storia di Volpi Forza 5, la serie tv di cui Mia Wallace ha girato il pilota e che racconta di cinque ragazze assassine di cui lei è l'esperta in lame affilate. E anche nella katana che il Butch di Bruce Willis trova nel banco dei pegni. I personaggi di Tarantino non vivono nella realtà, ma in un altro mondo, che è il mondo del cinema. E si tratta di un universo dove tutto è connesso, come vi abbiamo spiegato anche in un nostro articolo su l'universo di Quentin Tarantino e i collegamenti ai suoi film. Di recente Movieplayer ha anche analizzato le tre sequenze cult di Pulp Fiction: se Hitchcock ammetteva di costruire i suoi film attorno a due o tre scene madri, Tarantino ha cambiato anche questa regola. In Pulp Fiction ogni scena è memorabile: se fosse un album sarebbe un greatest hits, dove ogni momento è un successo.