La storia racconta che alcune delle più efferate opere dedicate al mondo dell'orrore e del fantastico siano nate in gioiosi contesti conviviali, basti pensare al Frankenstein di Mary Shelley (senza dimenticare che, in quella stessa circostanza, vide la luce Il vampiro, racconto nero di John Polidori che anticipa non pochi spunti del successivo Dracula di Bram Stoker). Questa tradizione sembra trovare nuove conferme nel percorso che ha portato alla creazione dei tredici episodi che costituiscono la prima serie dei Masters of Horror. La genesi di questa produzione, ormai quasi "leggendaria", è nota ai più. Il regista Mick Garris, autore per lo più di adattamenti dei romanzi di Stephen King per la tv americana, riunisce a cena alcuni tra i più famosi e blasonati "colleghi". Rigorosamente bandite mogli e fidanzate nonché ogni altro intruso non appartenente al settore. Il banchetto losangelino riscuote enorme successo tanto che, tra un brindisi a base di birra e un boccone di carne (al sangue, of course), Garris propone di riportare alla luce lo spirito dei tanto amati B-movie orrorifici mediante un progetto che permetta la massima creatività e libertà artistica con un budget minimo.
Una manciata di regole sottende al progetto dei Masters of Horror: tutte le pellicole sono mediometraggi di un'ora circa senza particolari limiti sotto il profilo del sangue e degli orrori mostrati. Sesso, belle donne e tanta musica i contorni ideali. Ogni autore ha a disposizione dieci giorni di riprese e un budget fisso di due milioni di dollari, inoltre, per abbattere ulteriormente i costi, viene scelta come unica location Vancouver e tutti i registi vengono affiancati dalla stessa troupe tecnica composta da abili professionisti (unica eccezione Takashi Miike che ha scelto di realizzare a Tokyo il proprio episodio). Mick Garris, che si è interamente accollato la parte organizzativa e produttiva, si dimostra molto più abile nel marketing che nell'attività di regista: intuendo la direzione più redditizia da imprimere al progetto punta sul mercato televisivo e sull'home video riuscendo a vendere la serie all'importante tv via cavo americana Showtime e al colosso Anchor Bay. Sul fronte artistico aderiscono con entusiasmo alcuni tra i più grandi registi horror, da John Carpenter a John Landis, da Joe Dante a Dario Argento. Uniche defezioni di lusso, dovute principalmente a impegni lavorativi sono quelle di George A. Romero, Wes Craven e Roger Corman (che probabilmente parteciperanno, insieme a David Lynch, all'eventuale seconda serie). Tra i registi emergenti e poco noti dalle nostre parti, John McNaughton e Lucky McKee.
Un bilancio consuntivo del prodotto ottenuto non è semplice da farsi, specialmente vista la varietà dei risultati ottenuti nei singoli episodi: la qualità risulta, infatti, piuttosto altalenante ed era facile prevederlo considerando le differenze tra i vari autori; si passa così dai picchi di Cigarette Burns (struggente riflessione metafilmica sul potere del cinema e sui suoi terrificanti effetti sulla natura umana) o Homecoming (lucido pamphlet politico coraggiosamente pacifista, dove un polemico Joe Dante punta il dito sulle magagne dell'amministrazione Bush e sulle menzogne che hanno portato alla guerra in Iraq) allo stile piatto e patinato di Chocolate dello stesso Garris (che ha scelto di ritagliarsi una nicchia creativa scrivendo e dirigendo personalmente uno degli episodi). In mezzo molto mestiere, un po' di sano terrore e qualche piccolo momento "cult" come quelli offerti da John Landis, istrionico e irriverente come suo solito, che sceglie di buttarla sul ridere confezionando Deer Woman, episodio ispirato ad un'antica leggenda indiana e infarcito di numerosi siparietti irresistibilmente comici. Delude Dario Argento, unico italiano del lotto, incapace purtroppo di risollevarsi dalla pesante crisi creativa che lo perseguita ormai da anni. Il suo Jenifer, al di là del gusto barocco per le immagini suggestive e d'impatto, presenta enormi buchi di sceneggiatura e dialoghi finto-morbosi assai poco credibili. Un vero peccato.
Un discorso a parte va fatto per l'altro outsider: il grande maestro giapponese Takashi Miike, regista istrionico, estremo ed iperattivo, venerato dai fan dell'horror sadico ed orientale, che anche in questo caso ha scelto di non smentirsi realizzando un'opera che pare sia assolutamente sconvolgente e profondamente disturbante. Nonostante la scelta di dare massima libertà a tutti gli autori, il canale televisivo Showtime ha infatti deciso in extremis di censurare Imprint, l'episodio girato da Miike e ambientato nei bassifondi del Giappone fine '800, episodio che, sulla carta, si preannuncia come il più terrificante tra tutti i Masters e che per questa ragione verrà distribuito esclusivamente in DVD con buona pace dello stesso regista. Una notizia dell'ultim'ora annuncia la vendita di Imprint alla pay tv britannica Bravo. Quello che si preannuncia come il miglior episodio della serie verrà dunque trasmesso il 7 aprile in Gran Bretagna in versione integrale e mentre l'attesa per la sua visione comincia a crescere, Mick Garris è già in trattative per realizzare una seconda stagione della serie per la gioia di tutti i fan dell'orrore.